Tuttodunpezzo

di Cristina Bellemo e André Da Loba

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Nelle grandi e originali tavole dell’albo è presentato il signor Tuttodunpezzo. Pur nella stilizzazione della scelta iconografica, che non indugia su dettagli della figura, ciò che salta all’occhio è l’imponenza del personaggio. Spalle larghe – quadrate di nome e di fatto -, altezza considerevole, muscoli al posto giusto. Ed infatti Tuttodunpezzo è definito, come primo attributo, molto forte.

Poi però si aggiunge che, oltre a essere ben piantato fisicamente, è anche un tipo che sa sempre cosa va fatto, che non dimentica oggetti o impegni, che non cede ai sentimentalismi, non versa lacrime, non regala volentieri qualcosa che sia suo, né tantomeno condivide ciò che ha. Per sorridere un po’ l’autrice ci racconta che non fa, addirittura, né pipì né cacca.

Insomma, in parole povere, Tuttodunpezzo è molto sicuro di sé, non è vulnerabile, non mostra debolezze e di certo la tenerezza non è tra le sue virtù. Non si espone poi ai rischi emotivi, né tantomeno a quelli relativi al fallimento.

La sua quindi più che una gran bravura è una chiusura. 
L’essere tutti di un pezzo fa sì che il confine tra sé e il resto del mondo sia uno, ben netto e definito. Quello che è dentro resta dentro, quello che è fuori resta fuori.

Ma un giorno il signor Tuttudunpezzo, passeggiando da solo in un bosco, cade in una buca profonda.
 E accade l’impensabile: si rompe in ben tre parti. Che disdetta, che smacco, là dove prima c’era un unico e sicuro individuo, ora si trovano tre pezzetti che non possiedono certo la forza e la prestanza del tutto.
 Ecco però che i tre hanno una grande idea: basterà che uno si arrampichi sulle spalle dell’altro e quest’altro su quelle dell’ultimo per arrivare al bordo del fosso. Così, liberato un pezzo, questo potrà andare a recuperare una corda per tirar fuori gli altri due.

Questo accade: ciò che sembrava una disgrazia, una debolezza si rivela l’unica possibilità di cavarsi d’impaccio, e quindi di salvarsi.
 Nella tavola che segue le tre parti – chiamate Primopezzo, Secondopezzo e Terzopezzo – possiedono ciascuna il suo buon paio di gambe per andarsene sgambettando – diremo belnallegramente e perfino spensieratamente– per il bosco, sulla via di casa. [...]

Quando, infatti, Tuttodunpezzo nell’ultima pagina si ricompone – perché è fondamentale che si ricomponga – può fare le capriole, essere sereno. I suoi tre pezzettini sono ancora con lui, e ha imparato che ci si può rompere e non per questo andare in pezzi, anzi si diventa più elastici, più resilienti, più capaci di adattarsi e risolvere le difficoltà della vita.
 D’altra parte, condizione necessaria per imparare a rialzarsi è essere almeno una volta caduti.

Come tanti libri belli e ricchi (i libri belli non sono mai a tema, piuttosto offrono tanti temi a tanti differenti cuori e menti che hanno voglia di scoprirli), “Tuttodunpezzo” è in grado di riecheggiare per corde diverse.
 Qualcuno ci potrà ravvedere un’esortazione a essere meno rigidi e più spensierati, qualcun altro un invito ad accettare la fragilità e ad affrontare le crisi come momenti di crescita e rinascita.
 Sicuramente c’è una valorizzazione di un modo più aperto di affrontare l’esistenza, eleggendo a virtù la tenerezza, la capacità di mettersi in discussione, il confronto e la condivisione.

Da Tuttodunpezzo di Federica Pizzi, su Libri & marmellata, 20/02/2015.