Calder e Tinguely: giocattoli d'artista2

[di Lisa Topi]

Alexander Calder nella posa del leone.

Nel post di lunedì 9 febbraio, abbiamo parlato dei dipinti di Andy Warhol sulla sua collezione di giocattoli. Ebbene, di diversissima natura è il rapporto di un altro grande artista del novecento con il gioco. Alexander Calder racconta che da bambino era solito arricchire il suo ampio repertorio di giocattoli con aggiunte di fil di ferro, rame e altri materiali. Così, con un armamentario di tutto punto, lui era Tristano e il suo amico Lancillotto. Molti anni dopo, a Montparnasse lo soprannominarono le roi du fil de fer e dobbiamo a un commerciante di giocattoli serbo, che lo spronò a guadagnarsi la vita così, se Calder ci ha lasciato le fantastiche sculturine del suo circo.

Ugo Mulas, Cirque Calder, il lanciatore di coltelli.

In questo scritto, Calder racconta come sono nati il trapezista, l’acrobata, la danzatrice del ventre e – il mio preferito – il lanciatore di coltelli che, a sua volta, ha una première e una deuxième favorite: delle vallette intercambiabili. Sono figure di filo di ferro, tela, legno e sughero che contengono nei loro corpi essenziali e filiformi tutta la vastità dell’espressione umana. Come nelle sculture mobili di Calder, c’è qualcosa in loro di giocoso e rigoroso insieme, con l’impareggiabile leggerezza data dalla capacità dell’artista di scavare la materia fino a confonderla con lo spazio aereo.

Ugo Mulas, Le Cirque Calder, danzatrice del ventre.

Le Cirque Calder è nato per essere contenuto in una valigia e in un meraviglioso video si può ancora ammirare la scenografia che faceva da sfondo agli spettacoli itineranti, uno spoglio teatrino con marchingegni di ogni sorta e un grammofono azionato da un grande chef d’orchestre: la moglie di Calder. La voce roca e pastosa dell’artista non sembra poter uscire dallo stesso burattinaio che con incredibile eleganza e agilità accenna i movimenti dei personaggi.

Ugo Mulas, Le Cirque Calder, Alexander Calder.

Non c’è traccia in questo circo del patetismo che tradizionalmente richiama l’immaginario circense, piuttosto c’è il fascino dell’esotico, del nomadismo, della diversità, lo stupore che provoca nel bambino un dispositivo meccanico che anima l’inanimato o nell’adulto che nell’arte cinetica riconosce un incanto lontano. La sorpresa che ci rapisce anche di fronte alle macchine di Jean Tinguely, al colore, alla vitalità di sculture che non sono del tutto antropomorfe e nemmeno pura ingegneria, al loro moto lento, ritmico e acquoso.

Jean Tinguely con una delle sue macchine-sculture.

Warhol, Calder, Tinguely sono tutti grandi innovatori. Forse per creare linguaggi nuovi sperimentare la finzione estrema e la spensieratezza del gioco è una tappa necessaria. A loro non dobbiamo solo l'ampliamento della gamma di mezzi espressivi possibili, ma anche uno sguardo nuovo nel quotidiano. Del resto non c’è mattinata buia che non possa essere rischiarata da un video così:

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