Cartoline da Stoccolma / Parte 1

[di Lisa Topi]

 
Il 22 aprile scorso siamo partiti per Stoccolma, dove ci attendevano una mostra delle illustrazioni di Simona Mulazzani e una conferenza sull’editoria internazionale, insieme alla casa editrice Urax, alla prestigiosa Stockholms Stadsbibliotek. Della strabiliante organizzazione degli eventi dobbiamo ringraziare Carin Bacho Carniani, fondatrice dell’agenzia BA.BO.KO
 
È stato, per me, il primo viaggio in un paese scandinavo, zona del mondo sulla quale ho fantasticato parecchio, non perché desiderassi particolarmente andarci ma perché, distante dalla mia predisposizione fortemente mediterranea, me lo figuravo con una certa curiosità. Fin da subito, a colpirmi sono state le persone per strada: inattaccabili dalle raffiche di vento e nevischio (di aprile), con il riflesso dell’acqua negli occhi e tanti piccoli biondi con giubbini catarifrangenti al seguito. Credo che a Stoccolma si possano trovare più bambini che alla convention internazionale degli asili nido. 
 
Allestimento della mostra di Simona Mulazzani all'IIC.
 
Libri Topipittori in mostra all'IIC.


Riorganizzando le impressioni a posteriori, mi sono accorta che la maggior parte delle cose che ritengo significativo raccontare hanno a che fare con la casa o con lo spazio pubblico. La mia idea di svedesità si è formata intorno alle assonanze tra l’architettura di Gio Ponti e Gunnar Asplund, intorno alle antiche case di Skansen, un incredibile museo a cielo aperto, intorno ai movimenti di lotta per la casa, ad Astrid Lindgren e ai suoi personaggi. In questo post, parlerò solo di alcuni di questi - riservando agli altri una seconda parte - a cominciare dall’Istituto Italiano di Cultura “C. M. Lerici”, che ci ha generosamente ospitato. Progettato da Gio Ponti negli anni Cinquanta, l’edificio d’impianto razionalistico ha alle spalle un parco molto vasto e ricalca la forma di una L sinuosa, tanto che l'architetto svedese Torbjörn Olsson lo definì "elegante come una scarpa da donna abbandonata in un prato". Gli ambienti dell’istituto hanno un’aria un po’ fané ma raffinata, non lontana, a pensarci bene, dai cardini estetici del design nordico.




Istituto Italiano di Cultura “C. M. Lerici”, Gio Ponti.



Istituto Italiano di Cultura “C. M. Lerici”, Gio Ponti.


È sorprendente come l’attenzione ai dettagli più minuti, nella decorazione degli interni svedesi, si combini con la purezza del vuoto grazie all’uso dello spazio, della luce, della trasparenza. Le case di Stoccolma hanno vetrate grandissime dove si confondono facilmente i confini tra dentro e fuori. Da quasi tutte le finestre s’intravede una lampada appoggiatavi accanto, una strana abitudine della quale non sono riuscita a ricevere una spiegazione ufficiale, ma solo fantasiose speculazioni. I particolari, in mezzo a un sobrio buon gusto, acquistano spesso un tono ironico. In questa città maestosa e riservata, dove le facciate raramente osano più di un color zafferano, mi ha stupito notare, per esempio, delle incantevoli piastrelle con disegni di bambini che giocano (una di queste case è quella in cui Astrid Lindgren visse fino alla morte).
Dettagli piastrelle.


Su un altro fronte, e contrariamente a quanto pensassi per via della reputazione delle culture scandinave come aperte e liberali, le scelte dei lettori svedesi sono piuttosto conservatrici. In un colloquio molto istruttivo con la direttrice dell’IIC, Virginia Piombo, riguardo ai dati statistici sulla lettura in Svezia, scopriamo che i “lettori forti” non sono così numerosi; tra gli autori italiani si preferiscono i bestseller (definizione mia); e, in generale, si legge pochissima narrativa straniera. Forse è una tradizione di lunga data: durante la visita alla casa di Astrid Lindgren, chiesi al suo bisnipote, nostra guida d’onore, quale autore citasse più di frequente la Lindgren e tra le opere a lei più care mi vennero indicate quasi esclusivamente dei classici della letteratura svedese. 
 
Conferenza sull'editoria internazionale: Topipittori, Urax, Simona Mulazzani. Moderatrice: Sara Teleman. Stockholms Stadsbibliotek.


Un’altra, inaspettata rivelazione sulla letteratura - specificatamente per ragazzi - è arrivata da Ellen Karlsson, di Urax, durante la conferenza a cui anche noi partecipavamo: la distribuzione libraria per ragazzi in Svezia è in mano a poche grandi catene che rendono molto difficile lo sbocco sul mercato di libri più innovativi e sperimentali. Questa situazione mi è sembrata in forte contraddizione, non solo rispetto alle mie attese, ma, soprattutto, con l’impatto generato del luogo che ci stava ospitando, un esempio di preziosa accessibilità alla cultura. La Stockholms Stadsbibliotek fu disegnata da Gunnar Asplund, il più noto architetto svedese del ventesimo secolo. Dall’esterno è lineare e slanciata, dall’interno monumentale. Nella sala centrale, coperta da una cupola ispirata al Pantheon, i lettori possono liberamente salire sui palchi di legno e prendere tutti i libri che desiderano, cosa sempre più rara anche nelle più spartane biblioteche della provincia italiana. Una sezione è dedicata interamente ai bambini con un piccolo teatro per la lettura sottovoce. Mi ha colpito un passaggio del catalogo pubblicato per il settantesimo anniversario della Stadsbibliotek: “Le architetture di Asplund possono sembrare fragili, spesso fatte di materiali sensibili che potrebbero essere scheggiati, danneggiati, se non trattati con cura e consapevolezza. Questa sensibilità racchiude una sfida notevole poiché mette l’utente a confronto con la grande fiducia riposta nei suoi confronti e contribuisce a renderlo più attento al coinvolgimento dell’architetto nel suo lavoro e al valore artistico dell’opera.” Ecco, al di là delle contraddizioni che, qui come altrove, inevitabilmente emergono, a Stoccolma mi è parso di cogliere prove di civiltà, che non ho saputo riconoscere istantaneamente, forse a causa del proverbiale understatement scandinavo. 
 
Stockholms Stadsbibliotek, Gunnar Asplund.
 


Stockholms Stadsbibliotek, Gunnar Asplund.


È stata la mostra Housing. Now. Then. del centro di architettura del Moderna Museet a darmene, poi, un’idea precisa. Forse perché nella città in cui vivo si parla spesso di design e architettura dal punto di vista formale, piuttosto che sostanziale, o forse perché in Italia pochi musei, ovviamente con qualche degna eccezione, propongono percorsi mirati, non solo a esporre, ma a costruire un discorso critico, ho trovato questa mostra tra le più intelligenti mai viste sull’argomento.
 


La facciata del Moderna Museet.
 


La locandina della mostra Bo.Nu.Da. (Housing. Now. Then.) e alcune installazioni.


Il tema della casa in Svezia è, da sempre, al centro di studi e dibattiti di primo piano. Negli anni Quaranta, il governo condusse una serie di ricerche al fine di capire e rispondere ai bisogni degli svedesi in materia di alloggio. Il punto di osservazione era estremamente ravvicinato e il repertorio di dati raccolti vastissimo. (Uno splendido film del regista norvegese Bent Hamer, Kithchen stories, racconta queste vicende con grande ironia e tenerezza.) Si analizzavano i movimenti delle casalinghe in cucina, le abitudini alimentari delle famiglie e degli scapoli, quante paia di ciabatte possedesse la commessa di una bottega di generi alimentari eccetera. Lo scopo era facilitare la vita domestica e garantire un adeguato livello di comfort a tutti. Sebbene queste indagini siano poi state indirettamente sfruttate dall’industria dei consumi, contribuendo alla nascita di colossi come Ikea, rispecchiavano un pensiero collettivo fortemente egualitario. Un pensiero completamente sostituito, in seguito, dalle leggi di mercato e dal dominio dei desideri individuali.




Un'immagine dal film Kitchen stories.


A me sono venuti in mente altri esperimenti del genere, usati per scopi antitetici a quelli inizialmente dichiarati. Sebbene la famosa “Frankfurt Kitchen” di Margarete Schütte-Lihotzky, razionalizzando e semplificando la vita quotidiana delle madri lavoratrici, innescò una piccola rivoluzione domestica, la sua applicazione in alcune società capitalistiche si trasformò in una trappola sociologica, piuttosto che in una liberazione. 
 


Uno scorcio di Stoccolma dal quartiere dal quartiere di Sodermalm.


La mostra del Moderna Museet smentisce molti dei falsi miti che, anche in Italia, si diffondono con estrema superficialità. Un’economia trainata dal mercato non è la soluzione alla mancanza di alloggi; non è vero che occorre abbassare i nostri standard di qualità per abbassare i costi; la segregazione non è una scelta dei migranti che decidono di andare a vivere “tra loro”; la gentrificazione non è un processo naturale; e così via. Mettendo in luce i problemi della Svezia di oggi, il percorso espositivo favorisce una profonda riflessione e restituisce alla casa, che erroneamente tendiamo a classificare nella sfera del privato, la sua dimensione pubblica e politica. S'inserisce, dunque, a pieno titolo nella tradizione svedese, che ha sempre utilizzato l’architettura come uno strumento per promuovere la democrazia e il welfare, per costruire un paese “in which everyone ranked equally”.

Forse è tutto questo che, senza averne coscienza, fin dal primo giorno, cercavo di leggere nelle lampade alle finestre e nel verde che, dai parchi, arriva direttamente ai portoni di Stoccolma. 
 
 
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