Come quando ti innamori

Ed eccoci alla quinta novità: Le vacanze del topo che non c'era, primo sequel in assoluto della nostra casa editrice, che non se l'è sentita di mandare in pensione, appena nati, due personaggi così promettenti come il topo e il gatto di Il topo che non c'era. Anche perché quei due hanno bussato con molta energia alla nostra porta, avvertendoci che avevano intenzione di andare in vacanza. Forse volevamo seguirli... Non abbiamo resistito. Lisa D'Andrea, l'illustratrice che li ha creati, racconta come è andata.

[di Lisa D'Andrea]

Lunedì 30 marzo 2015, primo giorno di fiera del libro a Bologna.
Ricordo ancora l’emozione di quella mattina. Da pochi mesi avevo consegnato ai Topipittori  le tavole del mio primo albo illustrato, Il topo che non c’era, scritto da Giovanna Zoboli (Giovanna Zoboli, capite? Proprio lei aveva scritto un testo per me, per i miei disegni… Non sono mica cose che capitano tutti i giorni!) e allo stand dei Topi spiccava il famigerato “bindellone”, il poster con l’immagine di copertina del libro che proprio in quei giorni gli editori avrebbero presentato in maquette per la vendita dei diritti stranieri.

Io avevo deciso che quella fiera doveva essere un momento di svago, di passeggiate dedicate alla scoperta di novità, di vecchi e nuovi incontri e di chiacchierate. Una piccola vacanza, insomma.

E ovviamente non poteva mancare un salto dai Topi. Così, dopo una serie di via vai e saluti di passaggio, fatti di cenni, sorrisi, sguardi (provate voi a salutare con calma Giovanna e Paolo durante la fiera), l’ultimo giorno mi affaccio al loro stand per un commiato serio, di quelli che si fanno quando poi non ci si vedrà per un bel po’ di tempo, e Giovanna mi invita a entrare. Chiacchieriamo del più e del meno, cioè del nostro libro, di Tizio e Caio, del nostro libro, della sindrome del piriforme che in quei giorni affliggeva la povera Zoboli, del nostro libro e, dopo un momento di riflessione a sguardo assorto, tipico di Giovanna, che ormai capisco che qualcosa le sta frullando in testa, lei se ne esce con: «Mi sa che quei due lì, mica possono finire così…». 

Mi ci vuole un po’ a capire che “quei due lì” sono il gatto e il topo, protagonisti del Topo che non c'era. Sorrido. E lei, con il suo sguardo a fessura, che si capisce che quel frullare è diventata una centrifuga a mille giri, comincia a raccontarmi una nuova ipotetica avventura di "quei due lì".

«Devono andare in vacanza!», dice. Io rido. Si avvicina Paolo, Giovanna lo afferra per un braccio e gli dice che il topo e il gatto devono andare in vacanza: sì, proprio come ve l’ho appena descritto, lo afferra per un braccio per dirgli che il topo e il gatto devono andare in vacanza. Io continuo a guardarli e a sorridere. E poi, assieme, cominciano a scambiarsi idee esilaranti e pazzoidi su parenti in montagna, topi al mare, gatti sciatori.
«Preparati a disegnare milioni di gatti cugini!» mi dice Giovanna. Io ci penso, eccome se ci penso! E rido. Se non si fosse capito: quando sono imbarazzata, rido. Poi però mi rivedo a disegnare i trecento e più topi del libro precedente… E non rido mica più tanto.

In conclusione: Giovanna mi annuncia che scriverà un nuovo testo su cui dovrò lavorare, e io torno a casa col panico da milioni di gatti da disegnare. Ma non pensate male: ero felicissima!

A giugno mi arriva la fatidica mail. Oggetto : Ecco “Le vacanze del topo che non c’era”.
Il testo mi piace tantissimo, ma… Mucche? Moltissime mucche? Pesci? Milioni di pesci?
Panico. Avevo passato quel paio di mesi dopo la fiera a immaginarmi i topi e gatti parenti di “quei due lì”, e ora mi ritrovavo alle prese con una fauna terrestre e acquatica del tutto inaspettata e mai disegnata prima.

L’approccio iniziale non è stato facile, quindi. Ero ancora legatissima alla sequenza di immagini del primo libro, sapevo che a Giovanna era piaciuta molto e avevo la sensazione di non essere in grado di valorizzare al meglio questo secondo testo, a mio parere anche più bello del precedente. Ho fatto, rifatto e cestinato illustrazioni non so quante tavole. Mi prendeva l’ansia al pensiero di inviarle a Giovanna e non per paura del suo giudizio (Giovanna è molto chiara, ma sempre molto premurosa), bensì per timore di deludere le sue aspettative.

Allora, preso un bel respiro, ho appiccicato un post-it sulla scrivania, per poterlo avere sempre davanti agli occhi. Su quel foglietto avevo riportato una frase che Giovanna mi aveva detto durante la nostra prima collaborazione e che io ho custodito gelosamente, fino a oggi: «Devi imparare una cosa: per fare un libro bisogna abbandonare ogni vergogna o senso di inadeguatezza e lasciarsi andare, come quando ci si innamora.»
E in effetti io il suo testo lo amavo, perciò ho provato a lasciarmi andare.

La comodità, se così si può definire, di un sequel è che si riduce una parte del lavoro iniziale, nel mio caso lo studio dei personaggi protagonisti. Tuttavia, procedendo con le illustrazioni, quell'apparente vantaggio si è rivelato un ostacolo.  Mi sono resa subito conto che non era facile reinterpretare fedelmente il disegno del topo e del gatto:  il mio tratto era cambiato, forse migliorato, fatto sta che io li vedevo diversi. Ho passato molto tempo con i disegni del primo libro al mio fianco, per controllare che la somiglianza fosse il più fedele possibile.

Si cercano spunti visivi.

Altro cruccio sono stati i paesaggi. Il testo in alcuni punti descrive scorci  di mare e montagna con caratteristiche particolari che, per com’è sviluppato il libro, ho dovuto interpretare alla lettera. L’idea iniziale proposta nello storyboard era quella di eliminare lo sfondo bianco che caratterizza le mie illustrazioni e osare una doppia pagina a sfondo colorato. Il risultato finale però non mi soddisfaceva e Giovanna capiva, e a volte conveniva, che c’era qualcosa che non andava. Io lo trovavo troppo saturo, piatto e monotono. Brutto.

Mi sono messa a leggere e rileggere il testo, a cercare immagini di mare e montagna, a fare passeggiate per combattere l’ansia, a rivedere vecchie fotografie di vacanze della mia infanzia, a ridurre decine di matite in miseri mozziconi colorati.

Il problema non era limitato a come disegnare il paesaggio, peraltro chiaramente descritto, bensì quale e quanto spazio concedergli.

Le stazioni di Arezzo e Acquanegra Cremonese fanno da modell0.

È stato ripensando al titolo che ho capito che non dovevo allontanarmi troppo dalle mie abitudini. La vacanza cui si riferisce il libro non è solo quella intesa come momento di svago, di villeggiatura. Ho compreso che Giovanna stava dando a quella parola un significato più ampio, quello di mancanza, di nostalgia reciproca, ma ancora di più io sentivo mia l’accezione primitiva del termine vacantia: essere vuoto, libero. Questo significato è stato per me un invito a non abbandonare il bianco, il vuoto attorno, quello che caratterizza i miei disegni e nel quale io mi sento completamente a mio agio, libera. E così ho trovato una soluzione, che si è rivelata un discreto compromesso.

E insomma tra alti e bassi, gatta neonata da accudire, famiglia irrequieta da gestire e rocambolesche peripezie che non starò qui a descrivere per non sforare con il numero di battute richieste, il lavoro è proseguito.
Devo ammettere che alcune tavole sono state davvero molto divertenti da sviluppare. Quella con i pesci, ad esempio, sebbene interminabile (sono arrivata a pensare che sarebbe stato meglio disegnare altri trecento topi), è stato quasi uno svago: ho usato colori diversi di pesce in pesce, e questo ha interrotto la monotonia del grigio topo e grigio gatto che ogni tanto mi assaliva. Oppure le tavole con le vignette, così minuscole che a volte non riuscivo nemmeno a gestire la punta della matita per alcuni dettagli e che mi hanno costretto, proprio per le ridotte dimensioni, a usare un segno un po’ più spontaneo.

Lisa D'Andrea, storyboard per Le vacanze del topo che non c'era.

Ma di certo la cosa che mi ha divertita di più in assoluto, è stata riportare alla luce i topi e i gatti coprotagonisti del primo libro. Ve li ricordate? E anche far indossare al gatto quell’aria ingessata che un po' mi è stata criticata e che io invece vorrei tanto si capisse quanto è voluta (e lo dico con una certa energia). Perché dico: voi non rimarreste di sasso se vi bussasse alla porta il topo che non c’era? Non sareste ingessati, se vi trovaste a tavola con tutti i tipi di topo che avete immaginato fino a un momento prima? E se vi ritrovaste in stazione con una valigia in mano pronti a partire assieme al topo dei vostri sogni? Beh, io mi immagino di sì…
Ed è con quest’aria un po’ ingessata, quindi, che vi auguro una buona lettura e che Le vacanze del topo che non c’era vi riporti un po’ indietro, ai ricordi dell’estate appena trascorsa.

Non posso non aggiungere una postilla per ringraziare pubblicamente una cara amica, Elisa Negrini, che mi ha supportato, sopportato e accompagnato (in tutti i sensi) durante la preparazione di questo libro. E devo ringraziare moltissimo anche la mitica, supersonica, straordinaria Anna Martinucci, che con la sua incredibile opera di lettering e impaginazione, ha dato anche a questo libro una marcia in più.

Lisa D'Andrea, storyboard per Le vacanze del topo che non c'era.