In principio era una risata

[di Lisa Topi]

Nella foresta sempre umida dei tropici, dove fra i rami di alberi giganteschi crescono orchidee e rampicanti, un bel giorno Enea e Alia, scesi dalla chioma della Ceiba, si accorsero di essere il primo uomo e la prima donna.

Leggendo e traducendo il testo di La prima risata, scritto da Gioconda Belli e pubblicato in spagnolo da Libros del zorro rojo, non avevo notato l’incongruenza tra quel primo uomo e prima donna e i due bambini delle immagini, finché non ho ricevuto l’email di Alicia Baladan, in cui mi raccontava: “nella prima tavola Enea e Alia erano adulti, ma poi, approfondendo il testo, mi sono accorta che era la scoperta a dare il ritmo al racconto e, a quel punto, mi è venuto automatico pensare ai protagonisti come dei bambini o, al massimo, degli adolescenti.”

Qualsiasi riferimento letterario o iconografico alla genesi credo rimandi ai primi abitanti della terra come adulti; è pertanto curioso il fatto che l’associazione tra nascita del genere umano e risata si sia sintetizzata in una figura infantile, non solo nel disegno di Alicia, ma anche, tacitamente, nella mia immaginazione.

Schizzi provvisori di Alicia Baldan per La prima risata.

A mano a mano che scoprono i loro corpi, solidi nella presenza, ma molli sotto le dita che li solleticano, Enea e Alia scoppiano a ridere e non si fermeranno più. In quella risata la foresta riconosce il suono, l’impetuosità e il mistero della natura che, avvinta e contagiata, si veste anche lei di nuova pelle: Guarda, Enea, come fiorisce questo albero. Guarda come ride a crepapelle!

Riflettendoci, le reazioni dei bambini piccoli davanti allo specchio sono quasi sempre o lo stupore o il riso. "Chissà se riconosce la sua faccia?" Credo si possano citare un numero sterminato di esperimenti domestici. Difficilmente si potrà obiettare che il sorriso di un neonato è la prima, discreta anticipazione di una personalità. Aristotele, affermando che fra tutti gli esseri viventi solo l’uomo conosce il riso, attribuiva all’atto di ridere il potere di caratterizzare la razza umana. E ancora nel rinascimento, ci insegna Bachtin, era diffusa l’idea che il bambino diventasse uomo attraverso il riso.

Nel suo monumentale studio sul riso e il grottesco in letteratura, Bachtin fa una distinzione fondamentale tra, da una parte, la tradizione che dall’età antica si protrae fino al Medioevo e Rinascimento, dall’altra, la visione del riso dal romanticismo in poi come espressione individuale, volta contro un oggetto distinto dal sé. Dopo Rabelais, dopo Shakespeare, Cervantes, Boccaccio, la risata anche quando non è di natura sarcastica, tende a velarsi di un sottofondo patetico, tragico o sublimante. La prima, al contrario, è una manifestazione comica che investe tutto il mondo e il soggetto stesso in un atteggiamento popolare e universale, gaio, mattinale, aurorale.

Anticamente, il riso e la parodia accompagnavano tanto i riti civili quanto la vita quotidiana; è noto che durante il carnevale le persone erano legittimate a rovesciare e a scambiarsi i propri ruoli pubblici e privati.  Spiega Bachtin che nemmeno la spiritualità - la religione, persino - ne erano esenti così, per esempio, durante il Riso pasquale (Risus paschalis), la predica del sacerdote doveva suscitare la sonora ilarità dei fedeli, anche ricorrendo a buffonate e profanazioni.

Questa pratica aveva una profonda intenzione utopica, come liberazione della verità dominante, della gerarchia e dei tabù, inclusa la morte. Un sovvertimento del tempo, contro ogni carattere definitivo. Il riso era una forma di antropologica rigenerazione. Come non confrontare la concezione carnevalesca del mondo con la disposizione tipica dei bambini? E perché non esagerare? La detronizzazione del potere di cui parla Bachtin è anche quella connaturata nel bambino che alla visita medica saluta la sua prima autorità con un lieto “ciao Fagnani!” (un bambino che conosco l’uno, il suo pediatra l’altro).

Enea e Alia ridono dei loro corpi così come facevano ridere al lettore medioevale il debordare della carne, le funzioni organiche, l’informe e l’incompiuto, tutti topoi confluiti, poi, in una letteratura considerata minore, quando non inesistente. Il corpo fa tremendamente e da sempre ridere i bambini, privi di filtri di forma e giudizio. È curioso notare che i personaggi di Alicia Baladan non hanno nulla di malfatto, nascono anzi da una ricerca estetica lungo le linee di una bellezza ideale, fiamminga, quasi ascetica, che funziona per contrasto.  

Ernst-Vollmar, immagini d'archivio per studio dei personaggi di Alicia Baladan.

La storia di La prima risata è una nascita in senso biblico-letterario e una nascita archetipica, dell’essere umano e di una cultura radicata nella terra, tema caro a Gioconda Belli. Ma soprattutto c’è nella risata di questi bambini un aspetto essenziale, più facile da cogliere che da nominare, è il suo farsi elemento travolgente e strumentale al loro essere nel mondo. Un mondo gaio, mattinale, aurorale.