Come è nata "Facciamo!"

[diLorenzo DeTomasi]

Nuovi nativi digitali
I piccoli eprivilegiati esperti di nuove tecnologie, nati tra il 1995 e oggi, chenon sanno come funzioni un mondo senza computer e Internet, sono statidefiniti “nativi digitali”, “digital kids”. Da un paio d'anni inuovi nati sono protagonisti inconsapevoli della nuova “rivoluzionetouchscreen”, che sta cambiando il nostro modo interagire con idispositivi elettronici. Stiamo gradualmente abbandonando le scomodeinterfacce-protesi come mouse, trackball e touchpad, che ci hanno abituatia una "distanza" tra il comando (premo due volte il tasto sinistro delmouse) e l'effetto (aziono un elemento sullo schermo), per passare unanaturale e impercettibile unione dei due passaggi (tocco un elementosullo schermo e si aziona).
Si sta livellando uno scalinoper molti insormontabile, una delle principali cause del cosiddetto"digital divide", che compromette la facilità d'uso, rendendo indirettae poco intuitiva l'interazione.
Si può percepire la portatadi quest'innovazione osservando la spontaneità con cui un neonato o unanziano si approcciano per la prima volta a un dispositivo touch.
Non è più necessario attivare alcuni processi d'apprendimento diprocedure innaturali che finora hanno rallentato la familiarizzazionecon molti dispositivi elettronici.
Per questo oggi si puòparlare di “nativi touchscreen”, come evoluzione dei “natividigitali”.


Un disagio, un progetto

Come la maggiorparte dei progetti, anche questo nasce da un disagio.
Miofiglio Mattia, come credo tutti i bimbi, da quando aveva pochi mesi hadimostrato una forte curiosità per tutti i dispositivi digitali e, inparticolare, per quei misteriosi computer, tablet e smartphone che mammae papà maneggiano ogni giorno. Come dargli torto? Ma, soprattutto,come impedirgli di usarli una volta che li ha intercettati? Per unbambino non c'è niente di più disorientante del divieto di farequalcosa che noi stessi facciamo. Poiché ogni “no” causavapianti disperati, ci siamo chiesti se tenerlo forzatamente allalarga fosse la soluzione migliore.

Quandoabbiamo scoperto che, in un’indagine del 2006, il 90% degliintervistati aveva dichiarato di far usare dispositivi elettroniciai propri figli, abbiamo avuto la conferma che si tratti di unproblema comune e, da genitori, ci siamo posti due problemi.
Come evitare che venisse travolto da campi magnetici daglieffetti potenzialmente dannosi per la sua salute?
Questistrumenti possono essere un valido strumento educativo e formativoper un bambino da zero a tre anni?

Larisposta alla prima domanda era semplice: basta disconnettere tuttele connessioni (WiFi, Bluetooth, Gps e 3G/4G) prima che il bambinosi avvicini al dispositivo. Tanto semplice che avrebbe senso chetutte le app che per l'infanzia lo facessero in automatico una voltaavviate e che le riattivassero solo se strettamente necessarioe/o se autorizzate da un adulto.
Per rispondere allaseconda domanda, abbiamo subito interpellato una nostra amicapsicologa, Laura Bastianelli, tra le fondatrici del Istituto peril disagio minorile (IPDM), che, dopo alcune ricerche e basandosisulla sua pluriennale esperienza, ha evidenziato numerosi puntia favore di questi dispositivi.

Leprime ricerche sembrerebbero suggerire che l'utilizzo attivodi smartphone, tablet e computer è preferibile alla visionepassiva della televisione.
L’uso di mezzi passivi,come tv e i dvd, al di sotto dei due anni di età è fortementesconsigliata in una ricerca del 1999 dell’American academy ofpediatrics (un’associazione statunitense di pediatri), in quantodisincentiva le fondamentali “interazioni con i genitori e glialtri adulti che si occupano di loro”.
L'utilizzodi prodotti multimediali sembrerebbe invece raccogliere commentipositivi tra gli esperti, anche se abbiamo a disposizione meno dati edocumentazione scientifica in merito.


L’approccio più consigliato è seguire una “dieta multimodale”sana e varia. L'utilizzo di un’app ben progettata per un tempo moltolimitato e in compagnia di almeno un adulto con cui interagirepuò stimolare positivamente il bambino. Basta non esagerare,alternandole ad altre attività come il gioco, la lettura,l'esplorazione… E poi puntare sulla qualità. Ovvio. Ma qualequalità, quando, sui vari app store, se cerchi "bambini" trovi solomilioni di obbrobri visivi, spesso eccessivamente rumorosi, in cuiè difficile intravedere un minimo di esperienza formativa? Migliaiadi cloni di memory, puzzle, colora e cancella (ma non sono meglioi pastelli?) e altre amenità.

Unodei maggiori problemi del neonato mondo delle app per l'infanzia èche la qualità è merce molto rara. Le cause sono molteplici.
Sembrerebbe che nessuno si chieda: “Perché realizzarequesta app? Ne vale la pena?”.
Probabilmente molti lofanno esclusivamente per provare a guadagnare: realizzano qualcosache pensano possa essere scaricato, lo riempiono di pubblicità o lovendono a basso prezzo nella speranza che porti qualche soldino nei lorosalvadanai.
A volte gli sviluppatori, entusiasti di averappreso come realizzare mirabolanti effetti speciali, si improvvisanoillustratori e grafici, realizzando sterili collage di interessantifunzionalità e terrificanti scarabocchi: le app tecno-centriche,brutte esteticamente, estremamente rumorose, poco creative e originali,che però funzionano benissimo.

Altrevolte sono gli illustratori e i grafici a improvvisarsi sviluppatori,hanno idee fantastiche, inventano ambientazioni e trame moltointeressanti, ma, non sapendo come realizzarle, si arrendono oscendono a compromessi che generano app poco più interattive diun filmato: sono le app creativo-centriche, belle esteticamente,raffinate e discrete, creative e originali, che però funzionano maleo sembrano incomplete.
Poi c'è chi ha buone idee e siaffida a mediocri sviluppatori e creativi per realizzarle, un po'per questioni economiche, un po' per incapacità di identificare laqualità. Sono app intelligenti e innovative che non valorizzano questiloro pregi e naufragano nell'oceano degli app store.

Principalmente è la vastità dell'oceano degli store il grossoostacolo che impedisce alle app di qualità di emergere e avere successo:riuscire a scovarle tra una miriade di icone anonime è un'impresaardua, dispersiva e scoraggiante.
In circa un anno, le appdi qualità per bambini che sono riuscito a rintracciare si contanoa dir tanto sul palmo di una mano.


Facciamone una noi!
Lecompetenze non ci mancano: ho fondato, Isotype.org, un networkdi creativi ed esperti di comunicazione. Uno dei membri,Stefano Baldassarre, avevada poco curato l'allestimento della mostra tratta L'alfabeto delle fiabe,un libro illustrato da Antonella Abbatiello, con i bei testi diBruno Tognolini, tra i preferiti del mio piccolo Mattia. Ho subitoproposto ad Antonella, e Stefano di organizzare un incontro tra imembri di Isotype interessati, e altri professionisti che avrebberopotuto arricchire il progetto.

Da qualchegiorno ci stavamo incontrando presso lo studio di AntonellaAbbatiello per decidere quale dei suoi libri convertire in un'appper l'infanzia. L'idea era quella di realizzare qualcosa di fruibileanche dai più piccolì (0 - 3 anni). Dopo aver selezionato unaprima rosa di titoli, Antonella ci ha mostrato il prototipodi Facce, la sua ultimaopera realizzata insieme all'editore Topipittori: è stato un colpo difulmine!
Il libro affianca brevi testi evocativi e ironicia una ventina di facce divertenti e originali, realizzate con ritaglidi carta colorata.
Abbiamo subito convocato i Topipittori,Paolo Canton e Giovanna Zoboli, che sono atterrati a Roma con tuttoil loro entusiasmo e qualche dubbio, tra cui la fatidica domanda“Perché fare un app con queste facce?”. Perché viene voglia ditoccarle!", è stata la risposta che riassume il principale motivodella nostra scelta definitiva. Perché davvero, subito, osservando lepagine del libro Facce abbiamo pensato al grandepiacere con cui bimbo tocca e ritocca, senza mai stancarsi, i voltidei propri genitori. Una bozza di storyboard è bastata a convinceredefinitivamente i nostri editori a procedere.

In questo modo è nata Facciamo!. Realizzarela versione digitale di un libro cartaceo non è cosa semplice:richiede una regia che, senza snaturare l'opera originale, la rinnovi oaddirittura la rivoluzioni, introducendo le funzionalità interattive. Ènecessario essere originali, non banali. La sfida principale consistevanel mantenere quell'artigianalità e semplicità che caratterizzai disegni di Antonella.


Un lavoro di gruppo
L'esperienzaci dice che, nel caso di un'opera multimediale o multimodale, siapreferibile una progettazione multiautoriale, che coinvolga piùcompetenze complementari, dall'illustratrice, al grafico, al designerdi interfacce esperto di usabilità, agli sviluppatori esperti neidiversi linguaggi e sistemi operativi, ai musicisti ecc. L'esperienzanecessaria per eccellere in ciascuna delle competenze coinvolterichiede ormai tempi di formazione e aggiornamento non sostenibili da unsingolo. L'importante è riuscire a creare un gruppo di lavoro affiatato,in cui ciascun membro sappia collaborare e criticare l'operato dei suoicompagni d'avventura in modo costruttivo, riconoscendone le competenze,senza mai scavalcarle. Se l'obiettivo di tutti è la realizzazione diun'opera di qualità, si crea un'alleanza basata sulla complicità chenon può che contribuire al successo del progetto.

Questo post riprende intergralmente l'intervento di LorenzoDe Tomasi alla conferenza Dai Silent Book all’Editoriadigitale, Biblioteca Europea, Roma 9 maggio 2013.

Trovate la app Facciamo! su Apple Store.