Per non dimenticare niente

Qualche tempo fa, peruna lezione sulla fiaba, ho scelto come tema la fiaba nell'alboillustrato: non nel senso di “fiabe illustrate”, cioè di fiabepiù o meno note accompagnate da illustrazioni, ma in quello dipresenza del 'fiabesco' nell'albo secondo le prospettive più diverse:personaggi, temi, struttura narrativa, immagini, lessico, simboli,ambientazioni... Dalle ricerche sul tema, la prima cosa emersa èstata la straordinaria varietà di modi in cui il fiabesco (di cuisarebbe interessante definire i contorni) da una parte si manifesta edall'altra pervade le narrazioni, non solo negli albi, ma per esempioin film, romanzi, fumetti, albi, spot, graphic novel.
Mentreandavo in cerca di albi che contenessero elementi fiabeschi, mi sonoimbattuta in un libro del 2006, edito da Autrement Jeunesse, Chosequi font peur, testo di BrunoGibert, illustrazione di PierreMornet, mai tradotto in Italia.
Ecco comeinizia:

Per non dimenticare niente,
bisogna fare delle liste. Così, ci sono liste per tutto.
Liste di commissioni, liste di tutto quello che si deve fare,
liste di libri da leggere, di cose da portare in viaggio.
E c'è anche la lista di cose che fanno paura.


Un incipit di grande precisioneche sotto una semplicità all'apparenza quasi banale, innesca unmeccanismo di straniamento, di scivolamento dal piano ordinariodella realtà quotidiana, del conosciuto, della razionalità, dellecertezze, a quello del mistero, dell'inconoscibile, dell'irrazionale,dell'inquietudine.
Esiste qualcosa di più comune di unalista di cose (che peraltro così comune non deve essere se GeorgePerec, cultore e studioso di elenchi e liste, la praticava comegenere letterario)? Gibert ne elenca alcune, due relative alla normaleamministrazione della vita quotidiana, due più specifiche, libri evacanze. E all'improvviso, cammuffata da pratica ordinaria, eccola:la lista delle cose che fanno paura.

In verità, già la prima frase,Per non dimenticare niente, (scritta in rosso e incorpo più grande, a evocare forse l'incipit piùfamoso della letteratura: C'era una volta...) èquanto mai ambigua nel dichiarare il proprio assunto, surretiziamente,come universale e condiviso dato di fatto.
Perché nonbisogna dimenticare niente? Chi l'ha stabilito? Come è possibilenon dimenticare niente? Sappiamo che esiste una patologiache consiste nell'essere afflitti da una memoria prodigiosache trattiene tutto, incapace di selezionare, problematicaquanto la perdita della memoria (ne tratta Aleksandr R. Lurija inun suo bel saggio). Siamo dunque così sicuri che davverobisogna ricordare tutto? Che, al contrario, dimenticare non siaessenziale: dimenticanza come vera e propria necessità vitale? E che,pertanto, quella che ci sta suggerendo di ricordare tutto non siauna voce perfida, in qualche modo malvagia, che vuole instillarciun'idea pericolosa, e che per farlo ci manipola, si approfittadella nostra credulità di lettori?
Non solo: sappiamodalla psicoanalisi che la paura è una delle emozioni più fortie condizionanti, causa di meccanismi psichici difensivi, quali lasostituzione, la censura, lo spostamento, che consentono al soggettodi preservarsi dal ripetersi della sua esperienza.
Eallora? In questo libro, contro ogni buon senso, si suggerisce inveceche sia necessaria una lista di cose paurose, addirittura da nondimenticare mai.
Diligentemente, ubbidisco alla voce. Mimetto a pensare di stilare questa lista. Dopo quattro parole mi ègià passata la voglia. Mi dico che non ho alcun desiderio di pensarealla paura e alle cose che fanno paura.

Emi viene subito anche un altro pensiero: questo è un libro cattivo. Unlibro ambiguo, che vuole sembrare una cosa e invece è un altra. Comeaccade in certe fiabe, quando si scopre dietro un volto familiare, unvolto sconosciuto e temibile. Ecco, sono già precipitata, se non nellapaura, nel disagio: in cinque righe. E solo attraverso parole, senzaun'immagine. A testimoniare che le parole sono strumenti affilati, damaneggiare con cura e attenzione.
In questo libro, le immaginisono nascoste. Ogni immagine è chiusa dentro una doppia pagina di testo:bisogna aprire la pagina a destra, ripiegata, e aprirla, per accederealla figura. A questo punto, l'immagine si rivela: un'immagine grande,dai colori vividi, che salta fuori dal fondo marrone delle pagine ditesto, inattesa, con potenza. Su tutto, prevale il rosso. Un rossointenso, seguono il nero e il bianco.

Il meccanismo visivo del libroè simile a quello utilizzato dal testo. All'interno di un'apparenzauniforme, monotona, ripetitiva e previdibile, si scopre una dimensioneimprevista e imprevedibile, inquietante. Questa struttura a battentefa sì che le immagini non siano lette insieme al testo, ma soloin seconda battuta, separatamente. E del testo siano percepite comeconseguenza, fioritura ultima e smagliante, verso una dimensione semprepiù lontana, elusiva. Il fondo del pozzo dopo una lunga caduta.

Attraverso queste immagini, infatti, accediamo alsimbolico. Sono scenari quasi astratti, dove da sfondi bruciati emergonofigure nitide, stranamente statiche, come assorte nella messa in scenadi un destino fissato altrove. Visioni oniriche, che del sogno hanno nonla sfocatura che si attribuisce loro al risveglio, ma la stupefacentenitidezza che le connota quando le si osserva nel sonno. Anche inquesto caso, dunque, le immagini sono strumenti affilati, da avvicinarecon cautela.
È grazie alle immagini, poiché il testorimane scrupolosamente impersonale, dall'inizio alla fine, che ci sipalesa la protagonista di questo libro.

È una donna adulta? Èuna bambina? In che relazione è con la voce che parla? È sua? O invecene è lei stessa, come il lettore, vittima, oggetto di un esperimentograuitamente perverso?
Non lo sappiamo: tutto è tenuto,volutamente, nell'ambiguità. Sappiamo che questa protagonista èfemmina, che è vestita di rosso, che ha capelli e occhi neri, pelleimmacolata, bocca di corallo. Che è gelida e lontana come una bamboladi porcellana. Nelle sue diverse apparizioni, di immagine in immagine,chiama in silenzio la memoria di alcune celebri sorelle: una bambinaperseguitata da un lupo, una ragazza avvelenata da una mela, un fanciullabianca come il latte e rossa come il sangue uscita nuda da un melograno,una eterna dormiente, una sirena consumata dal desiderio... Guardandola,penso che se la paura avesse un volto, le somiglierebbe:così fragile, mutevole, seducente, distante, imprevedibile,enigmatica, aliena, imperscrutabile.

La paura,suggerisce Chose qui font peur, è tutto. Omeglio, è la base di tutto: è da qui che nasce ogni costruzioneumana. La meraviglia della fiaba è anch'essa una sua cangiantemanifestazione. La paura è il terreno più fertile da cui possagermogliare il pensiero. E penso che questa ipotesisia abbastanza corrispondente al vero.

Matorniamo alla nostra lista di cose che fanno paura. Nella seconda paginadi testo si legge:

Quando con la linguasi sente un dente che dondola, solitario, questo fa paura. Un denteche se ne sta andando: questo fa paura. Ci sono la caramella e il denteche si inghiottono insieme, il buco liscio e caldo sulla gengiva.
Davanti allo specchio, il sorriso ha qualcosa in più.
Unbuco, come nella bocca delle vecchie streghe e dei pirati. I buchi,questo fa paura.
I buchi nelle pareti delle montagne. Icrepacci e le fenditure.
Quando si getta una pietra, la sisente rotolare all'infinito, via via verso l'abisso, via via semprepiù debolmente. Ci si dice fra sé e sé  che questa pietraavremmo potuto essere noi o un piccolo animale distratto.


Come si nota, si tratta di una lista molto suigeneris. E tuttavia, sì: a suo modo è una lista. Dove, comeuna pietra che rotola via via verso il fondo, ogni parola è legataalla successiva da nessi sottili, ma saldi, in un processo associativodi progressiva caduta verso il profondo. Il dente, la sua perdita, ilbuco, le streghe, la montagna, i crepacci, la pietra lanciata, il vuoto,la caduta, l'abisso di cui si percepisce la profondità... come in certisogni in cui ci si sveglia di soprassalto.

Il testo procedein questo modo, fino alla fine del libro, sapientamente, affondando diimmagine in immagine nel territorio della paura, configurandosi come unasorta di silenzioso, puntuale catalogo di situazioni terrorizzanti: lamateria cieca, il corpo dentro e fuori, la catastrofi, la sporcizia,gli abissi, i fantasmi dell'immaginazione, le guerre, gli incubi,gli animali, la violenza, le tempeste, la solitudine, il mistero, lascuola... Ogni dettaglio, nel grande affresco del terrore, rimandaa qualcos'altro, in una catena infinita che suggerisce quanto lapaura sia anzitutto una dimensione mentale, immaginaria. E proprioper questo umanissima e familiare a chiunque. Perché la paura èun'esperienza che hanno fatto tutti, e che tutti continuiamo a fare. Edalla quale rinasciamo, ogni volta, trasformati. Spesso in meglio,come dimostra questo libro magnifico, che ha un testo strepitoso eimmagini perfette, su cui ci sarebbe ancora moltissimo da dire, mache limiti di spazio ci precludono.
Dove sta il fiabescoin Chose qui font peur? Dappertutto: a cominciaredai capilettera in rosso del testo, per continuare alle parole, aicolori, ai simboli, ai personaggi, alle situazioni, alle percezioni,alle emozioni... perché la fiaba è un catalogo, sì di destini,comeha scritto Italo Calvino, ma insieme anche dipaure, capaci di prendere corpo attraverso le più diverse,sfavillanti, seducenti apparenze. Esiste un soggetto, un moventepiù attraente, più fiabesco? (gz)