Animali in libertà

Gli animali in questo periodo sono diventati improvvisamente visibili. Forse era prima che non li vedevamo, o forse sono loro a essersi spinti fino alle nostre porte, incoraggiati dal silenzio, dallo spazio, dalla calma in cui è precipitato questo strano mondo di umani spaventati e prudenti. In realtà gli animali sono con noi, nelle nostre teste, nei nostri pensieri, fin dall'alba dei tempi. Immaginati, disegnati, scolpiti, riprodotti in tutti i modi, e per vederli basta essere sensibili alle figure e ai loro racconti. Come Giulia Mirandola che li ha adocchiati sulle porte Berlino, durante l'ultima passeggiata in libertà per la città. Qui ce ne parla.

[di Giulia Mirandola]

Un mattino di febbraio sono giunta a Berlino, in Elsa-Brändström-Straße, nel distretto di Pankow. Ho affittato una stanza a casa della signora Ruth. Sono i giorni dell’uragano Sabine in Germania, in strada tira un vento freddo e ho voglia di appoggiare i bagagli. In anticipo rispetto all’orario concordato suono al campanello e Ruth mi apre. Provo una simpatia immediata per l’edificio nel quale abiterò e prima di entrare lo saluto: «Ciao».

La mia nuova stanza ha due finestre grandi dalle quali entrano il sole e la luna, un pianoforte a muro che mi ricorda i miei studi musicali, una storia dentro che mi fa contenta: prima di Ruth nell’appartamento viveva Frau Nachtigall, letteralmente la “Signora Usignolo”. Adesso c’è Ruth, la quale canta per ore accompagnandosi alla chitarra e all’ukulele e ogni mattino pratica un tipo di meditazione basato sui vocalizzi. Con lei vivo io, che non canto, ma che secondo la mia amica Elisabetta sono una cinciarella e che quando avevo i capelli corti venivo soprannominata “nido di merli” dai Topipittori.

Da qualche giorno anche a Berlino la popolazione è invitata a stare a casa. Mi stavo appassionando a un corso di ceramica e a un corso di yoga, entrambi sospesi dal 13 marzo. Facevo la volontaria un pomeriggio a settimana presso un centro per bambini in una struttura per profughi e richiedenti asilo dove l’accesso non è più consentito. Attendevo con desiderio l’inizio il 19 marzo del corso di tedesco organizzato dall’università popolare, che due giorni prima ha comunicato la cancellazione. I piatti di ceramica realizzati nelle prime due lezioni sono rimasti in laboratorio, i miei piccolissimi progressi nello yoga sono stati scalzati da un leggero, ma progressivo, richiudersi delle spalle e della schiena. L’umore no, quello resta a un livello accettabile e a giorni perfino alto.

Di punto in bianco abbiamo tutti cambiato posizione ai calendari e alle abitudini, alle cose da fare sempre e a quelle da non fare mai. Giovedì 12 marzo dall’Italia ho ricevuto una notizia finalmente positiva. Si tratta di un messaggio di posta certificata nel quale è scritto che sono ammessa al programma di mobilità transnazionale MoVe-Mobilità verso l’Europa 2020. Questa è la comunicazione che attendevo fiduciosa da settimane ed è il motivo principale che mi ha spinta in Germania. La data di inizio del programma prevista per il 3 maggio è posticipata a causa dell’emergenza sanitaria in atto, quello che è certo è che la borsa di tirocinio a Berlino è vinta e che durerà ventiquattro settimane. La mia permanenza nella capitale tedesca sarà lunga almeno quanto questo 2020 a tratti impervio, a tratti incoraggiante.

Sabato 14 marzo sono dovuta andare a Kreuzberg a recuperare un pacco alla libreria Dante Connection. Ho deciso di andare a piedi sia all’andata sia al ritorno per evitare i mezzi pubblici e per il piacere di camminare. Da Pankow, dove vivo, sono in tutto sedici chilometri circa. A un certo punto ho realizzato che sarebbe stata la mia ultima uscita lunga e che doveva essere all’altezza del cielo azzurro che Berlino mi stava regalando.

Questo pensiero nitido ha fatto fare uno scatto al mio sguardo, al mio stato d’animo, al mio modo di usare il telefono per fotografare. Sono tornata a casa con una serie di fotografie che fanno parte di questo articolo. In questi giorni le riguardo spesso perché mi riportano con la memoria a questa giornata particolare, al modo di toccare le cose con gli occhi prima che con il pensiero o con le parole o con le mani e questa dimensione è per me fonte di estremo benessere.

Il pacco spedito dai miei genitori è un Natale ricco. Dal contenuto riconosco mia madre e mio padre, mi sembra di vederli nelle cose: mezzo chilo di Parmigiano Reggiano, un sacchetto di ovetti di cioccolato fondente, al latte e gianduia, una mascherina protettiva, un disinfettante per le mani, un disinfettante per l’ambiente, una dose da 40 ml di concentrato balsamico, un flacone da 20 ml di Xanax, un braccialetto di stoffa rosa, una banconota da cinquanta euro, i numeri di febbraio e marzo di Montagne 360. La rivista del Club alpino italiano, una copia del nuovo romanzo di Sandro Campani Passi nel bosco (Einaudi, 2020), una copia del saggio Occhiacci di legno. Dieci riflessioni sulla distanza di Carlo Ginzburg (Quodlibet, 2020).

Passeggiare è il modo che ho adottato presto per conoscere la città. Ora le mie esplorazioni si sono accorciate in modo considerevole sia nella durata dei percorsi sia nella loro ampiezza. Qualche mattina fa, dopo avere buttato la spazzatura, ho esaudito quello che era un desiderio trascurato da settimane: osservare bene gli animali e i personaggi che decorano la porta d’ingresso di casa mia e quelli delle porte vicine.

Decorazioni analoghe le ho trovate anche lungo un tratto di Trelleborger Straße e Westerland Straße, vie prossime a Elsa-Brändström-Straße. Mi bastano pochi passi fuori dal portone, altrettanti prima di rientrare perché mi senta ripagata della loro mitezza. Se faccio la loro strada so che le incontrerò e la loro compagnia mi piace mentre cammino da sola di giorno o di notte. Tra i miei soggetti preferiti ci sono l’orso con il favo, l’upupa e lo scoiattolo. Anche il cervo però, per non dire l’elefante. E il vostro preferito qual è?

Fino ad ora non sono riuscita a reperire informazioni più approfondite dal punto di vista storico architettonico. Questo limite ha il vantaggio di liberare associazioni, di farmi stare davanti a queste figure come una bambina che qualcosa sa, qualcosa inventa.

Elsa-Brändström-Straße è dedicata a Elsa Brändström, una donna coraggiosa e impegnata per il riconoscimento dei diritti umani. Fu soprannominata “Angelo della Siberia” perché durante la Prima Guerra Mondiale, diventata infermiera e crocerossina, prestò soccorso ai prigionieri di guerra tedeschi in Siberia. Durante il nazismo si rifugiò negli Stati Uniti dove prestò aiuto ai profughi tedeschi e austriaci. Terminata la Seconda guerra mondiale rivolse il suo impegno ai bambini poveri tedeschi e fu tra le iniziatrici dell’organizzazione benefica C.A.R.E. (Cooperative for American Remittances to Europe), che destinò alla Germania occidentale e ad altri paesi europei milioni di pacchi-dono contenenti alimenti, medicinali e altri generi urgentemente necessari.

Nei giorni in cui mi preparavo alla partenza dall’Italia ero alle prese con una difficile separazione, con la necessità di affrontare un cambio radicale nel mio lavoro e nella mia esistenza e con la promessa a me stessa di uscire a testa alta da tutte queste rogne. L’oroscopo che Rob Brezsny dedicava al mio segno parlava di Germania nazista, di olocausto, di resistenza danese, di ebrei portati in salvo a bordo di barche da pesca, e poi si rivolgeva a me: «Nel 2020 forse non avrai l’opportunità di fare qualcosa di così eroico, Ariete, ma penso che esprimerai un notevole idealismo pratico, che potrebbe spingerti a compiere una delle tue imprese più nobili e valorose di sempre. Ispirati alla resistenza danese» (Internazionale, 27.12.19/1.01.2020).

Quando scrivo a qualcuno il mio indirizzo postale, la storia di Elsa e quella contenuta nell’oroscopo mi tornano in mente e se non sto bene attenta le incrocio con il rischio di confondere l’una e l’altra. Ma il gioco di immaginazione che più si avvicina alla mia immaginazione, e dunque alla mia realtà, è quello dei tarocchi che mi ha letto quest’estate Francesca Genti, poeta e fondatrice delle edizioni Sartoria Utopia, e anche quello di chi mi chiama “nido di merli”, per dire Giulia, aspettando che sulla mia testa tornino i capelli corti e gli uccelli.


[Giulia Mirandola si occupa di educazione visiva e progettazione culturale. Nel 2016 ha fondato Il Masetto, una casa della cultura in montagna con sede in Trentino. Scrive di editoria, librerie e biblioteche berlinesi per la rubrica Finestra su Berlino del magazine culturale di Goethe Institut Italia.]