L’avventura di costruire

ovvero Giocare con lo spazio tra architetture, città e paesaggi

[di Alessandra Falconi, Centro Zaffiria e Emilia Ficarelli, Castello dei ragazzi]

È stata inaugurata a Carpi presso il Palazzo de Pio lo scorso 15 febbraio una mostra sui giochi di costruzione, che rimarrà aperta sino al 3 maggio, curata da Alessandra Falconi, Centro Zaffiria di Rimini e Castello dei ragazzi: L'avventura di costruire, giocare con lo spazio tra architetture, città e paesaggi. È una mostra fatta di giochi che arrivano da tutto il mondo per far scoprire come i bambini e le bambine nutrono la loro fantasia e immaginano nuovi edifici, città, parchi gioco, alle diverse latitudini. Ci sono giochi “da museo”, ideati e prodotti dal MoMA di New York o dal Centre Pompidou, che hanno il merito di farci assaporare come il design del giocattolo possa confrontarsi con le domande dell’architettura.

Concepire una città come nel caso di Play Town, oppure capire il funzionamento e le caratteristiche di un edificio-icona come il Pompidou, diventano giochi nuovi e diversi per bambini e bambine.

Play Town del MoMA e Memory Archi del Centre Pompidou.

Alcuni giochi arrivano da altri continenti: gli Hangzhou blocks sono un kit di costruzione cinese prodotto in una fabbrica certificata per il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. È una Cina nuova che vuole proporre prodotti vicino ai valori delle costituzioni europee, attenta alle persone e alla natura. Arrivano invece dagli Usa gli House Industries di Uncle Goose: negli anni Ottanta il signor William Bultman rimase sorpreso nello scoprire che nessuno in America producesse blocchi di legno. All’inizio li produrrà a mano poi con il marchio Uncle Goose. Ancora oggi sono apprezzati nel mondo per la loro qualità.

Gli Hangzhou blocks.

House Industries.

Blockitecture è invece il gioco progettato da James Paulius, un giovane architetto americano che cerca di sensibilizzare a una maggiore attenzione all’ambiente. Ogni persona, già da bambino, ha la capacità di influenzare la società e la cultura. Giocare bene ha effetti anche sul mondo. Blockitecture è ispirato a Habitat 67, un complesso edilizio costruito sulle rive del fiume San Lorenzo, a Montréal in Canada, ideato dall’architetto Moshe Safdie in occasione dell’Expo1967. Safdie cercava soluzioni architettoniche in cui non venisse sprecato terreno, ma nelle quali, contemporaneamente, le persone non perdessero il senso della comunità.

Blockitecture.

Il legno è il materiale più diffuso, ma i giochi esposti ci presentano una ricchezza di sperimentazioni: tipologie diverse di carta e cartone, ma anche velluto, bambù e materie plastiche innovative. I materiali, grande passione degli architetti, educano quanto la stessa azione-gioco ed attivano esplorazioni sensoriali fondamentali nell’infanzia. L’esposizione, che prende spunto dai giochi di architettura e completa la panoramica con i testi divulgativi dei pannelli, presenta anche alcuni oggetti che hanno fatto la storia del toydesign. Nel 1951, gli Eames, la famosa coppia della omonima poltrona, icona del design, hanno cercato di dare alcuni strumenti del loro mestiere in mano ai più piccoli lavorando sul concetto del contenitore, della scatola, e creando giochi con i quali assemblare, fare e disfare gli spazi continuamente. Costruirsi i propri rifugi è infatti uno dei primi progetti di architettura di bambini e bambine. Gli Eames ne hanno progettato uno gigante che si chiamava The Toy e si presentava «Grande-Colorato-Facile da assemblare-Per creare un mondo luminoso e espandibile, abbastanza grande da poterci giocare sia dentro sia intorno». Tornato in commercio nel 2017, ci si può giocare in mostra a Carpi.

Nella famosa scuola di architettura del Bauhaus, nel 1923, fu Alma Buscher-Siedhoff a presentare al pubblico, per la prima volta, dei prodotti per bambini. Blockhaus di Zoe Miller e David Goodman, designer inglesi, reinterpretano il lavoro del Bauhaus creando cubi modulari che recuperano la miglior tradizione visiva declinandola con la voglia di gioco e leggerezza dei bambini.

Blockhaus.

Il percorso espositivo propone infine un omaggio a Ladislav Sutnar, inserito dal MoMA tra i designer più importanti del secolo scorso, definito come il Century of the Child. La sua scatola di architettura, dall’infelice destino (sarà autoprodotta e difficilmente venduta) ha ispirato l’installazione e il kit di costruzioni ideato ad hoc per il Castello dei ragazzi.

Nativo di Pilsen (Repubblica Ceca), Ladislav Sutnar (1897–1976) si è guadagnato la fama in patria e nel mondo per la sua grafica moderna e l’allestimento di mostre, oltre ad essere un noto insegnante di design presso la Scuola Statale di Arti Grafiche di Praga. La mostra omaggia il suo lavoro di designer di giocattoli e di spazi per bambini e bambine. Il suo set di costruzioni Imaginary city è stato proposto dal MoMA di New York tra i giochi più belli al mondo. Disegnare giochi era, per Sutnar, la «più importante arte». Nel 1920 arriva il primo premio per i suoi giochi di architettura: si trattava di una Città pieghevole (il nome originale era Skàdacì mesto). Il set di costruzioni era composto da diversi blocchi di tre forme geometriche di base: mattoncini per la casa, per il tetto e per i camini, colorati in rosso, blu e giallo, con motivi di finestre e porte dipinte in bianco. Dopo l’occupazione nazista del suo paese, nel 1939 emigrò negli Stati Uniti, dove progettò il padiglione ceco per l’esposizione mondiale di New York.

Sutnar progetta per primo gli spazi per bambini nei grandi supermercati americani negli anni Cinquanta. Per lui era fondamentale che fossero attraenti e inaspettati e la prova del successo sarà che «i bambini e le bambine ne vorranno parlare». In futuro, l’idea dei kids corner diventerà molto diffusa: lui fu il primo a svilupparla recuperando ispirazioni e immagini dal folklore cecoslovacco e dal teatro delle marionette.

Invenzione, creatività, immaginazione

L’architettura è uno dei primi giochi dell’infanzia: mettere un cubo sopra l’altro, costruire alte colonne, sfidare l’equilibrio e la forza di gravità, distruggere e ricostruire sono tra i primi gesti del nostro giocare per assaporare il mondo, per capire cosa sappiamo fare, per sfidare il limite. Fuori dall’ambiente domestico, sono i parchi ad avere un ruolo fondamentale: disegnare parchi gioco è una sfida che mette in dialogo architettura e infanzia. Se c’è uno spazio della città dedicato ai più piccoli, spesso si tratta di un parco. E’ qui che i diritti naturali dei bambini trovano il loro spazio: il diritto di sporcarsi, di sbucciarsi un ginocchio, di respirare i profumi dei prati, di fare amicizia e sfidarsi… La mostra racconta il lavoro di alcuni architetti famosi in tutto il mondo. Aldo Van Eyck, architetto olandese che disegnò quasi settecento parchi gioco, nel dopoguerra, decise di dare risposta al bisogno di tornare ad essere una comunità con rinnovati luoghi di incontro: le sue architetture giocose incoraggiano bambini e adulti a trascorrere del tempo insieme.

«L’ambiente che non è adatto per il bambino non è adatto neanche per l’adulto.»

La sua idea di fondo era quella di non proteggere dai pericoli i bambini e le bambine con recinti e barriere, ma di studiare una progettazione architettonica attenta a far nascere relazioni di cura: era quindi la comunità che si occupava del gioco dei bambini. Lo spazio educava le persone incoraggiandone l’interazione: gli adulti erano invitati a fermarsi e riposarsi o avevano percorsi obbligati in modo da poter sorvegliare i momenti di gioco dei più piccoli. Capire i pericoli e gestirli era una competenza che veniva potenziata dalla progettazione di van Eyck: non era recintando lo spazio di gioco, non si trattava di isolare dai pericoli, ma di fidarsi invece delle relazioni di cura che lo spazio sapeva stimolare. Egli stesso studiò e si occupò direttamente del design dei singoli elementi di gioco, concependoli come strumenti per l’immaginazione.

I parchi sono anche il luogo dove arte, architettura e infanzia si incontrano: ne è un esempio il lavoro di Isamu Noguchi che propose di rinunciare alle solite altalene per immaginare sculture giocose. In un articolo di ARTnews dell’aprile 1952, Noguchi racconta che «invece di dire al bambino cosa fare, il parco diventa un luogo di esplorazione senza fine, di infinite possibilità di cambiare gioco». Non c’erano regole prestabilite o un unico modo di giocare: invece di avere altalene e scivoli, Noguchi progettò forme geometriche scolpite per un “gioco non direzionale”. Alla fantasia dei bambini decidere come divertirsi. I bambini, attraverso il gioco creativo, sperimentavano un “modo per conoscere il mondo”.

Ma nemmeno una città all’avanguardia come New York fu pronta ad accogliere le sue proposte innnovative: le architetture di Noguchi venivano giudicate dai funzionari troppo pericolose, incontrollate, non in linea con quello che avrebbe dovuto essere un parco giochi. E mentre i disegni dei suoi progetti finivano in mostra nei musei, i bambini americani dovettero attendere il 1976 (il primo progetto era del 1934) per giocare in un suo parco.

Le aree gioco nei centri urbani o rurali, i parchi di scuole e condomini sono luoghi in cui anche gli architetti si mettono a giocare. Se spesso le camerette e le case si rimpiccioliscono, ecco che allora lo spazio pubblico deve proteggere il diritto al gioco di bambini e bambine.

Nei parchi gioco si possono frantumare anche le distanze tra l’immaginazione degli adulti e quella dei più piccoli.  Nel 1957 viene lanciato dai russi lo Sputnik e appena due anni dopo, nel 1959, in un parco giochi di Praga, l’artista Zdenek Nemecek disegna la Sputnik play sculpture.

L’architettura entra a scuola già nella prima infanzia. Chi non ha mai giocato con i cubi? Da più di 150 anni il gioco dei blocchi è stato oggetto di attenzione da parte di grandi pedagogisti, tra cui Friedrich Froebel e Maria Montessori. 
Il blocco apparve per la prima volta nelle aule moderne a metà degli anni quaranta del XIX secolo, quando l’educatore tedesco Friedrich Froebel formulò il concetto di scuola materna attraverso il suo lavoro presso il Play and Activity Institute, da lui fondato nel 1837. I diversi cubi introducevano idee sulla geometria, sulle relazioni spaziali, l’attrito e l’equilibrio, nonché concetti architettonici di base per la costruzione di edifici.
 Per Maria Montessori, i blocchi erano oggetti attraverso i quali i bambini potevano stabilire relazioni matematiche e spaziali. La sua iconica Torre Rosa, dieci blocchi impilati in una tonalità pastello, ha insegnato la precisione a bambini e bambine di tutto il mondo.

Dentro le mura di casa, oggetti di uso comune ma anche belle scatole-gioco ci aiutano a sbirciare il mondo con gli occhi degli architetti.
 Nei materiali più diversi, dal cartone al legno, alle materie plastiche, l’architettura ha sempre ispirato i designer di giocattoli e non solo.

L’immancabile Bruno Munari progetta due scatole gioco: la Scatola di architettura prodotta con Danese e Labirinti che della città richiama le texture e la struttura. In un gioco continuo di montaggio e smontaggio, progettazione e ripensamenti, i bambini potevano anche personalizzare il gioco con apposite tessere. Anche nei suoi libri di divulgazione per insegnanti e atelieristi, dedicherà al tema dell’architettura e dello spazio notevole attenzione.

La mostra propone una sezione più divulgativa, con testi e illustrazioni e materiale gioco per poter manipolare le idee proposte; pone ai bambini, in modo leggero e divertente, alcuni dei problemi degli architetti anche con l’obiettivo di raccogliere i disegni e le proposte progettuali dei più piccoli. Il gioco è l’elemento che cuce le varie sezioni: gioco d’artista, con materiale progettato per il castello, gioco libero sollecitato dalle informazioni fornite, gioco strutturato negli atelier programmati. E il gioco/giocattolo come oggetto per ispirare adulti e bambini coltivando un’educazione alla bellezza anche nei momenti di svago e tempo libero delle famiglie.