La bambina e il gatto

di Ingrid Bachér e Susanne Rotraut Berner, 2017

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Risguardi rosso. Nero e bianco in contrasto con un giallo cadmio e un blu oltremare. Sono i colori, i primari, cinque tinte piatte, che Rotraut Susanne Berner predilige per illustrare La bambina e il gatto il cui testo, già pubblicato negli anni ’60, porta la firma di Ingrid Bachér, edito agli inizi di questa primavera da Topipittori e vincitore dell’Hans Christian Andersen Award 2016. Traduttrice di tutta eccellenza Giulia Mirandola.

E sicuramente sono i colori, di grande impatto estetico, che catturano l’attenzione ancor prima dei disegni che in seconda battuta portano a voler entrare, sfogliandolo, nel libro.

In una sequenza particolarmente divertente, in campo nero si svolge l’antefatto: un uomo e una donna si preparano. Usciranno. In leggera sottoveste a pois, la donna, assicura le calze al reggicalze, meticolosamente infila la gonna e poi la blusa, cappotto, infilato con fatica, e cappello completano la mise.

Un uomo avvolto in un telo da bagno a righe si rade, indossati calzini e camicia, provvede a infilarsi le mutande prima di presentarsi perfettamente vestito, in giacca e cappotto sotto il braccio. Mamma e papà escono anche questa sera, vanno a divertirsi, loro. Prima di uscire passeranno entrambi felici a salutare, in camera sua, la loro piccola.

E mentre i fanali gialli della loro auto che si allontana, rendono visibili una moltitudine di insetti notturni nascosti altrimenti dalla notte nera di pece e di temporale ormai prossimo, che neppure una tonda luna dal sapore fornasettiano riesce a rischiarare, una bimba resta sola nella propria casa. Nella propria camera. Nel proprio letto, dal sapore antico di una dormeuse.

Un letto di bimba allestito con cura, rivestito con tessuti a righe rosse e quadretti azzurri coperto da un piumone morbido e gonfio ricco di arabeschi, fiori e frutti.

E sino a qui leggiamo solo le figure. Il testo arriva ora.

Un fascio di luce giallo, come una passatoia, illumina la camera all’ingresso del gatto.

Un gatto nero, come la notte, come il soffitto, come la paura. Quella che ti assale quando sei solo in casa, fuori è buio e sta per scatenarsi una tempesta.

Per avere una fifa nera non manca alcun dettaglio! Ma questo è un albo sul coraggio.

È nel momento di maggiore consapevolezza della propria solitudine e dell’imminente paura che la bambina inizia a resistere, ad augurarsi di essere forte. Comincia la meravigliosa costruzione, immaginaria, di un qualcosa che la porti a non provare più quella sensazione paralizzante dove le mani a stento riescono a sollevare la coperta per nascondercisi sotto, ma non proprio del tutto, così pietrificante da non azzardarsi neppure ad alzarsi per chiudere la porta per paura di vederlo scoppiare in cielo quel lampo che illumina a giorno la camera. Così sola nella paura da desiderare di essere a casa pur essendolo già!

Almeno il gatto. Il gatto è vero non è un pupazzo, non un amico immaginario e quel qualcuno di preferito rimasto con te, col quale si può parlare, immaginare, costruire qualcosa.

Certo un leone potrebbe fare al caso.

Cosa può far resistere un bambino? Quali i pensieri che si muovono nella sua capacità di salvarsi di darsi sempre una possibilità di rendere il mondo migliore e il sé potente?

La capacità di immaginare. Se vivi una situazione, qualsiasi essa sia, nella tua testa, tra i tuoi pensieri, è come se tu potessi affrontarla prima, prepararti al vero.

E così la bimba immagina.

Immagina che il gatto nero, animale preferito, compagno di giochi, amico di casa, fratello peloso, possa diventare un leone. Un grande felino nel cui pelo, tra zampe e pancia, trovare rifugio.

Poter affondare il viso nel suo folto manto, assicurarsi tra le sue zampe, affidarsi. Invertendo le parti. Naturalmente è così: tu non potrai mai più venirmi in braccio, io invece potrò nascondermi in te.

A chi affidare la propria paura se non a qualcuno di tanto più grande di sè stessi. A un animale potente, grandissimo, in grado di mangiare i fulmini, soffocare col suo ruggito i tuoni, nel cui manto nascondersi aggrapparsi, mentre attorno tutto è scosso. In grado di scacciare, proteggere e riportare il sereno dentro di sè e nella camera che torna così, piano piano, ad essere casa. Un luogo nel quale addormentarsi sereni.

Il gatto-leone dalla criniera di fuoco aveva rimesso a posto tutto.

Ora i fanali dell’auto dei genitori di ritorno, illuminano con un fascio di luce bianca, scrosci di pioggia serena.

Nessuno, tranne la bambina, seppe le cose straordinarie che in quel momento avvennero nella stanza, i mobili sospesi nell’aria, in mezzo all’oscurità, le loro ombre proiettate sulle pareti.

Da La bambina e il gatto, di Marina Petruzio, in Luuk Magazine, 02.04.2017.