Cani selvaggi

[di Emilio Varrà]

A leggere il nuovo splendido libro di AmandaVähämäki (Cani selvaggi),per CanicolaEdizioni, nella serie degli albi di grande formato che ha giàvisto protagonisti Andrea Bruno, Gabriella Giandelli, Anke Feuchtenberger,e Anna Deflorian, viene in mente che Amanda non disegna le immagini, le faapparire. Ci sono autori che invitano l’occhio al lento formarsi dellefigure, il segno che via via delinea e costruisce è clessidra e bussolaper lo sguardo. Altri invece che ci mettono di fronte al fatto compiuto:l’immagine è là, davanti a noi, e sta a noi ora cercare di coglierneil senso. Spesso quando accade si tratta di figure molto sintetiche,in cui l’impatto grafico prevale sul contorno.
Non èquesto il caso di Amanda, che anzi utilizza matite grasse e pastose,capaci di creare corpi un po’ sgraziati, imperfetti, sudati (cioècorpi veri) o oggetti che hanno tutte le sporcature del tempo, o ancoraorizzonti dalla luce indefinita, che sanno di aurora e crepuscolo allostesso tempo. Eppure il senso di apparizione prevale su tutto, perchéquello che i suoi disegni comunicano è prima di tutto il grado zero,il vuoto che c’era un momento prima.

Locapiamo subito, alla tavola che apre il libro, un'unica immagine conun ragazzino su una barca a remi intento a leggere un vecchio fumettoe la grande campitura di mare e cielo. Questo spazio insondabile èla materia prima da cui nascono le cose, le persone, gli animali,tutti accomunati da questa origine e per questo senza una veragerarchia tra di loro. C’è un branco di cani divenuti randagiche sembrano fare da padroni, una gatta trovata  morta conla gola lacerata poco dopo aver dato vita a dei micini, un enormepedalò a forma di cigno che riappare dalle profondità del mare egenererà una nidiata di anatroccoli, una comunità di ragazzini cheporta avanti l’unica abitazione ancora degna di tale nome, che èanche bar o locanda, nella quale si raduna un’umanità grottescae sparuta, di cui è impossibile costruire parentela, genealogia,relazioni, tanto è diversa nei suoi individui.

Tuttisembrano avere però la medesima tensione, che è quella della purasopravvivenza, di mettere in fila azioni e gesti per dire “ci sono”,prima che il vuoto, e con esso l’oblio, si rimangi tutto.
Una volta sembra essere già successo: in un passato indefinito,ma abbastanza recente, c’è stata una “distruzione” che haazzerato la civiltà, e con essa la memoria. Pochi i resti delpassato, qualche fumetto, la pubblicità di prodotti in offertaletti come una storia avvincente, foto di famiglia in cui pochi sisanno ancora riconoscere e conservano un nome. Perché in questavita “al grado zero” anche i nomi sembrano essere scomparsi,spazzati via dalla catastrofe, insieme allo stesso fluire deltempo e alla possibilità di poter collegare le cose sulla base diuna cronologia e di un significato.

Lalogica compositiva di Amanda diventa in quest’ottica una visionedel mondo: la regola non è la concatenazione, ma la giustapposizionedi immagini: ognuna nasce dal nulla, apparizione appunto, anche quandomicro-sequenze sono riconoscibili. Separate da solo un segno di matita,senza vero margine tra una vignetta e l’altra, costruiscono mosaiciincerti e claudicanti, che inutilmente si cerca di ricomporre inintreccio, visione complessiva, orizzonte di senso. Non a caso nonriesco a immaginare il luogo in cui si muovono i personaggi se noncome un’isola, pezzetto di terra gravitante sul vuoto, tesseradi mosaico anch’essa, alla deriva.


 Non aspettatevi però aperte denunce, distopiecompiaciute, lotte per la sopravvivenza, e neppure un registro dolente,da compianto. Il tono della narrazione è neutro e lascia semplicementeche le cose esistano, nel presente della loro epifania, davanti ai nostriocchi, a compiere la breve traiettoria di un’azione: seppellire lagatta morta, allattare con un biberon da bambola i micini orfani, godersii tuffi dal pedalò appena apparso, preparare una zuppa di “pescefalso” per una sorella (se sorella è) febbricitante. Sono tutteazioni compiute dai più giovani, gli unici che sembrano ancora averel’energia e la lucidità per farlo.

Non hannoparticolare importanza né esito, eppure per il fatto stesso dicompierle suonano come un atto  di resistenza. Perché quandogli orizzonti del passato e del futuro si richiudono in sé, anche leminime traiettorie di un gesto diventano dichiarazione di volontà,certificazione di un’esistenza. In attesa che dal nulla possanoarrivare apparizioni inattese, piccoli brandelli di prospettiva anchesolo nella forma di cucciolate che hanno in sé l’impronta del giornoin cui saranno grandi. O che possano riesistere i nomi, come quelli concui inaspettatamente la ragazzina chiama i cani che pensavamo anonimi erandagi, ed essi rispondono, avvicinandosi e guardandola.  Solouno sembra sconosciuto, e riceve il suo nome nell’ultima vignetta. Unbattesimo, se non un nuovo inizio.

Ringraziamola rivista Lo Straniero per averci autorizzatoa pubblicare questo articolo, uscito nel numero di febbraio 2014. Ilpost Cani selvaggi è uscito in contemporaneasul nostro blog e sul magazine quotidiano fumettologica.it