La bambina di neve. Miracolo infantile

Nathaniel Hawthorne, l’autore di La bambina di neve, nacque in America nel 1804 e fu uno degli scrittori più noti e importanti di quel paese. Fra i romanzi e i racconti che scrisse ci sono due volumi dedicati ai ragazzi Il libro delle meraviglie e I racconti di Tanglewood, che narrano antichi miti greci. Hawthorne era padre di una bambina, Una, e di un bambino, Julian. Amava molto osservarli. Lo sappiamo perché nei taccuini dello scrittore - pagine e pagine in cui annotava pensieri, stati d’animo, descrizioni di paesaggi, storie - molto spazio è dedicato proprio a loro. Hawthorne riportava i loro dialoghi, le loro riflessioni, le loro scoperte, le loro domande. Una volta, la moglie di Hawthorne, Sophia, insieme a Una, si allontanò di casa per tre settimane per fare visita ad alcuni parenti. Hawthorne rimase a casa con Julian, che aveva cinque anni. Per tre settimane dovette occuparsi di lui come una madre. Di questi venti giorni, che Julian, diventato grande, definì “una serie ininterrotta di giorni beati”, Hawthorne tenne un diario molto affettuoso e divertente, che ancora oggi possiamo leggere*. Anche Una, la figlia più grande, vive negli scritti del padre. Su di lei Hawthorne modellò uno dei personaggi più belli che uscirono dalla sua penna: la piccola Pearl, del romanzo La lettera scarlatta, il più famoso di Hawthorne. Quando leggiamo La bambina di neve, i due protagonisti, Violetta e Papavero ci ricordano i figli di Hawthorne come nei suoi diari li troviamo descritti, per carattere e aspetto fisico. Sono loro, vivaci e intelligenti, che vediamo giocare; loro, pieni di fantasia, capaci di dare vita all’impossibile. Il padre del racconto, però, non è Hawthorne, ma il “buon signor Lindsey”, che, pur pieno di buone intenzioni, provoca la scomparsa della bambina di neve. Possiamo chiederci perché, sebbene Hawthorne fosse un padre attento e avesse una famiglia felice, la Bambina di neve è una storia che non va a finire bene. Forse Hawthorne sapeva che spesso gli adulti non sono capaci di stare insieme ai bambini, di capirli e ascoltarli. E voleva suggerire qualcosa a coloro che avrebbero letto il racconto. Ai bambini, che con certi adulti è meglio stare in guardia. Agli adulti, che per essere brave madri e bravi padri non è sufficiente provvedere i figli di graziosi e caldi vestiti, di una bella casa e di cibo nutriente. Bisogna anche osservare in silenzio i loro giochi, ascoltare le loro parole con rispetto e attenzione, sforzarsi di conoscerli davvero, mettendo da parte le proprie opinioni e convinzioni. In fondo, Hawthorne ha scritto una storia triste proprio per amore dei bambini. Non solo dei suoi, di tutti.

* Nathaniel Hawthorne, Venti giorni con Julian, Adelphi 2004.

Un libro per:

  • osservare la vita misteriosa che è nelle cose 
  • rispettare la fiducia dei bambini nell’invisibile 
  • dare credito alle parole e ai pensieri dei bambini 
  • imparare a difendersi dall’arroganza
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