In epoca di vacanze estive, sono in molti a fare bagagli. A porte chiuse, c’è perfino chi esce da foto antiche senza dire una parola, per compiere traversate indimenticabili tra le cose di casa.
Chiuso per ferie è un omaggio alla fotografia attraverso il linguaggio della pittura e dell’illustrazione. È un libro che indaga questioni serie – il vedere, il raccontare – andando sotto la superficie delle cose e suscitando stupore. Ragionare sulle caratteristiche del libro, porta a confrontarsi con due ordini di problemi: il nostro rapporto con le immagini e con la realtà. A partire da un dato evidente: qui non compare scrittura. Con una definizione acquisita dall’inglese, questo è un silent book o wordless book, letteralmente, un libro muto, senza parole.
Chiuso per ferie presta ascolto all’elemento magico della realtà e si muove, nel mondo in cui viviamo, come se reale e fantastico fossero due facce della stessa medaglia. Parafrasando Georges Perec, prende le «cose comuni», le bracca, le stana, le libera dalle scorie nelle quali restano invischiate, dà loro un senso, una lingua.
L’immagine di copertina riprende in modo realistico il dettaglio di una porta d’appartamento. L’inquadratura si concentra sulla serratura. La sua forma richiama quella di una chiave e l’idea di chiave ricorda che essa fa due cose: apre e/o chiude. Un soggetto di forte valore simbolico, qui, perché la copertina è, effettivamente, una soglia d’ingresso. Il desiderio di superarla, aprirla, entrare, carica di suspence questa scena fissa, ed è accentuato da una parola che dice l’esatto contrario: la parola “Chiuso”, contenuta nel titolo. Chiuso per ferie prende l’avvio da un paradosso: ciò che è chiuso è aperto; ciò che è aperto è chiuso.
Da Un'epopea silenziosa di Giulia Mirandola, in Catalogone 2007.