Insegnare

[di Giulia Andrei*]

In ogni epoca il ruolo dell’insegnante/educatore è continuamente ripensato e dialoga con i fermenti culturali e vitali delle diverse società. Il bello di questo lavoro è, quindi, che esso non si ripete mai uguale a se stesso e si muove in sintonia con l’evolversi delle realtà umane (o almeno, così dovrebbe essere quando le cose funzionano). Oggi che senso ha per noi insegnanti porci come punto di riferimento per i nostri alunni? Insegnare ai ragazzi dei giorni nostri credo significhi innanzitutto farli innamorare della vita, farli appassionare, attraverso gli strumenti della cultura e della bellezza. L’idea di insegnare esclusivamente a livello nozionistico è ormai ampiamente superata da tempo, lo sappiamo; se il ruolo di noi insegnanti si riducesse a ciò, saremmo ben poca cosa, perché saremmo una copia sbiadita e imperfetta, perennemente incompleta di quello scibile umano di cui i ragazzi sono sempre assetatissimi e che ormai, nella nostra contemporaneità, è molto più facile afferrare, attingere e verificare attraverso molte possibilità.

Chiudilettera stampato a Norimberga nel 1910, raffigurante l’imbuto di Norimberga, metafora sull’apprendimento che prende il nome da un’incisione settecentesca in cui l’insegnante versa il sapere dentro la testa dell’allievo tramite un imbuto, appunto.

La figura dell’insegnante trova il suo pieno senso nell’essere un educatore, ed ex-ducere, lo sappiamo bene, è un’arte delicata e raffinata, di grande potenza quando è ben condotta, ma che rischia di fare danni se praticata maldestramente. Non si tira fuori del buono a spintoni, spremendo o schiacciando: è il canto dell’usignolo che fa far capolino agli esseri della natura, è la luce del sole che invoglia le foglie a schiudersi; è questa la vera forza che permette di tirar fuori, di far esprimere, un’energia che l’insegnante può e deve avere per compiere bene il suo mandato.

Se partiamo dal presupposto - come è giusto che sia - che ciascuno dentro di sé ha un tesoro e che uno scopo nobile della nostra vita sia farlo rilucere pulendolo da tanti intralci, blocchi e cattive abitudini, per non dire anche da paure soffocanti o cupi pensieri, l’insegnante educatore si inserisce proprio in tale scia e aiuta il ragazzo a far esprimere - in maniera costruttiva e il più solida possibile - il tesoro che egli possiede in sé. È una gioia commovente vedere cosa tirano fuori i ragazzi dal proprio bagaglio di risorse intime e personali, quando correttamente invitati a farlo, è un onore mettersi in ascolto loro. Purtroppo quando ciò non si verifica - ahimè, inutile negare che nella difficile quotidianità ciò non sempre accade - i ragazzi non danno il meglio di sé, rimangono come inattivati, apatici, in alcuni casi possono dare anche il peggio di sé per la rabbia di non essere ascoltati e di non trovare il proprio posto.
L’insegnante educatore è, allora, un artista, capace di far rilucere quell’opera d’arte e unica che ciascun ragazzo è. Come il pittore compie dei gesti attraverso i colori, le forme e la materia per disvelare un senso nascosto nelle cose, così anche noi insegnanti siamo chiamati a compiere la nostra opera d’arte quotidiana, quasi come dei direttori d’orchestra che facciano uscire i suoni puri di ciascuno e li compongano in armonia nella classe. Compito arduo, arte raffinata che necessita tanta esperienza, assolutamente non riconosciuto nella sua portata e importanza, se non molto sporadicamente.
 

Una scena dal film Freedom Writers (USA, 2007), scritto e diretto da Richard LaGravenese e tratto dal libro The Freedom Writers Diary, che racconta la storia vera dell'insegnante Erin Gruwell (Hilary Swank) e della sua classe di ragazzi con difficoltà socio-culturali di un liceo californiano.

Mi capita, per collocazione geografica ed estrazione sociale dei miei alunni, di lavorare spesso coi ragazzi cosiddetti “difficili”, in un quartiere periferico di Milano, noto per problematiche sociali, specie negli ultimi tempi. Effettivamente quando a 12, 13, 14 anni la tua realtà quotidiana ti dice e ti dimostra in continuazione che te la devi cavare da solo e nel modo più furbo possibile, quando vedi che la violenza delle parole e dei gesti è lo strumento per risolvere le cose, quando i tuoi famigliari e i tuoi amici sono spesso in carcere perché non hanno saputo/potuto trovare un’altra via nella vita, non è facile affrontare gli altri con serenità. E la scuola è spesso l’unico posto diverso, l’unico luogo dove devi imparare a sottostare ad altre logiche. Porsi come degli sceriffi che controllano l’ordine pubblico (che beninteso deve chiaramente essere garantito) nel luogo scuola porta a ben poco; il massimo che possiamo ottenere è un quieto vivere nelle ore scolastiche, peraltro neanche sempre facile da ottenere. Ma vogliamo davvero questo? Per fortuna la scuola si può proporre come un’occasione molto più ricca e grande, una volta ottenuta la fiducia dei ragazzi. La fiducia è fondamentale, chi di noi si affiderebbe a qualcuno che parla un linguaggio completamente diverso dal nostro, che fa cose molto distanti da quello cui siamo abituati, se non avesse fiducia? La fiducia è quindi la base di ogni dialogo e, una volta conquistata, apre la strada verso la meravigliosa scoperta del tesoro che ogni ragazzo è. Come dicevo prima, questo cammino è un’opera d’arte, e in quanto tale è ogni volta un pezzo unico, con alcune regole di base, ma poi ogni volta bisogna reinventarsi completamente: un po’ come una partitura jazz, dove l’improvvisazione fa parte della riuscita dell’opera d’arte. Questo d’altra parte è il fascino e il motore che ci spinge verso i nostri ragazzi.
 

Una scena tratta dal film Detachment (USA, 2011), diretto da Tony Kaye e scritto da Carl Lund, con protagonista Henry Barthes (Adrien Brody), un supplente chiamato a insegnare Inglese per un incarico di un mese in una scuola superiore con molti studenti in difficoltà e dalle basse prestazioni.

Lo scorso anno ho pensato di leggere loro la riscrittura romanzata di Romeo e Giulietta a firma di Roberto Piumini. Per dei ragazzi di seconda media che non leggono mai, se non obbligati e controvoglia, abituati al linguaggio visivo veloce e accattivante degli schermi onnipresenti nella loro giornata, prendersi quotidianamente un tempo lento di attenzione e puro ascolto era una sfida. Una sfida in realtà pienamente vinta, i ragazzi fremevano per il momento di lettura quotidiana, e ogni volta essa accendeva dibattiti, domande, suscitava emozioni, portava a confronti stretti con la loro quotidianità, parlava a loro; in questi momenti privilegiati tocchi con mano la grandezza dell’arte che attraversa immortale i tempi ed è commovente vedere quanto Shakespeare abbia da dire a dei giovani che oggi attraversano un periodo difficile e di trasformazione della loro vita.

Gli alunni si sono talmente appassionati alla vicenda ascoltata che mi hanno chiesto di poterla mettere in scena; a dire il vero ero titubante, non avendo competenze teatrali né esperienze pregresse in tal senso, ma il loro entusiasmo è stato il motore di tutto. Abbiamo messo in piedi nella nostra scuola una piccola rappresentazione teatrale di Giulietta e Romeo, lavorando ai costumi, alle sceneggiature, alle scenografie, alla musica e alla presentazione.

 

  

Scaletta e sceneggiatura della rappresentazione teatrale di Romeo e Giulietta a opera dei ragazzi.

È stato commovente, per me e per chi ha assistito alla rappresentazione; quei ragazzi così avvezzi al linguaggio violento, così disillusi sulla realtà, spesso così privi di entusiasmo e prospettive, erano lì coinvolti nell’attenzione estrema, nella delicatezza, nella collaborazione costruttiva tra loro, soprattutto erano lì a parlare di sentimenti puri, di cose alte dell’uomo. Ed erano molto felici.

Dall'alto al basso: locandina dello spettacolo (i colori erano il tema dell'open day durante il quale lo spettacolo è stato messo in scena); prove generali dello spettacolo (un alunno ha preso nota degli aspetti da modificare). 

Quest’anno, infatti, mi hanno chiesto di replicare e lo abbiamo fatto in altre forme. È stato il miracolo dell’arte, quell’arte che si propaga come un’onda di energia meravigliosa dal passato fino a noi, quell’arte che permette a ognuno di dare veramente il meglio di sé, quell’arte insomma che nobilita e che chiede a noi insegnanti di essere come direttori d’orchestra o pittori: in tal modo è veramente un onore essere un insegnante.

Dall'alto al basso: scena del balcone e scena del matrimonio. 
Gli alunni della classe hanno realizzato le scenografie durante le lezioni di Arte e Immagine e per i costumi hanno recuperato dei vestiti da casa, tranne quelli di Giulietta e Romeo che sono stati gentilmente forniti da un professore che organizza il laboratorio di moda.

 

*Giulia Andrei è insegnante di lettere e storica dell’arte. Per lungo tempo in università (Università Cattolica, Milano) ha collaborato con un gruppo di ricerca sul tema di educare attraverso l’arte. Ha condotto molti laboratori rivolti ai giovani pubblici mescolando il linguaggio visivo, la musica e le parole.

Nel cover Facebook Un momento del Giulietta e Romeo con la regia di Mario Martonre, 2023, foto di Masiar Pasquali.