Il segreto delle cose

di Maria José Ferrada e Gaia Stella, 2017

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«Il linguaggio segreto me lo ha insegnato mia nonna. Un giorno mi chiamò. Mi disse che prima di morire voleva lasciarmi qualcosa. La mia eredità era una scatola di biscotti con gomitoli di lana e scontrini. Là dentro, c’erano le parole». Maria José Ferrada è la scrittrice e giornalista cilena (già ospite al Salone del libro di Torino del 2013) che più di ogni altra sa interrogare gli oggetti, lo fa con immagini poetiche, raccontando possibili visioni e liberando la creatività dei bambini e degli adulti.

In Italia è appena arrivato sugli scaffali delle librerie, per le edizioni Topipittori, il suo meraviglioso albo Il segreto delle cose, accompagnato dalle felici illustrazioni di Gaia Stella (traduzione di Marta Rota Núñez, pp.54, euro 16). Nel libro sboccia un universo inaspettato, guidato dalle trasformazioni delle «cose» più quotidiane, capaci di accendere la via verso il fantastico i ombrelli che somigliano a giardini camminanti con quei loro «petali» aperti e variopinti, i divani «nonni dei mobili».

Così troviamo le matite precisissime dei contabili, quelle dei bambini mordicchiate e abitate da interi zoo, quelle dei poeti che sospirano e cancellano, i quadri che «sono i francobolli di case viaggiatrici», le zuccheriere che sognano minuscoli bambini affondati nella neve dolce, la macchina fotografica che «è uno studio di pittura buio e molto piccolo», mentre le stufe «sono scatole che contengono raggi di sole». Stanza dopo stanza, si dipana per il lettore un teatro magico costruito semplicemente con frigoriferi, divani, vecchie librerie, tazze da caffè. «La casa – infatti – non è mai in silenzio perché dentro abitano le persone. E anche il segreto delle cose. Che si può ascoltare passando lungo il corridoio, sedendosi su una sedia o mangiando pian pianino la zuppa della sera».

Maria José Ferrada ha un’abilità fuori dal comune nel raccontare in versi anche tragedie contemporanee. Come quella che affronta in un libro ipnotico – da noi ancora non tradotto – dal titolo Niños .

Pubblicato nel 2013 a Santiago del Cile dalle edizioni Grafito (disegni di Jorge Quien), proprio quarant’anni dopo il colpo di Stato dell’11 settembre 1973 che cancellò la democrazia e i diritti umani, è dedicato alla memoria di trentatré minori giustiziati, uno dei quali risulta ancora desaparecido.

Non amoreggia con la morte la narrazione, anzi è un inno allo stupore dell’infanzia e all’armoniosa convivenza di quell’età con la natura. C’è chi entra in contatto con gli alberi seguendo le stagioni e le mutazioni dei colori delle foglie a chi, come Lorena, ha un amico immaginario che gira senza scarpe e nessuno lo può sentire salire le scale. Solo lei ci riesce, con la potenza inarrestabile della sua fantasia. E Rafael che si avvia verso la sua sorte oscura, camminando con in tasca un’arancia che brilla. O Nelson che cerca la luna in un bicchiere d’acqua e si prepara a conservare un’intera notte stellata, caduta lì dentro.

Da Le stanze parlanti, di Arianna di Genova, in Il Manifesto, 15.04.2017