Ditelo ai grandi

La rivista mensile Bambini è stata fondata da Loris Malaguzzi oltre trent'anni fa. Come si legge sul suo sito «è dedicata a educatori di nido, insegnanti di scuola dell'infanzia, ricercatori, studiosi e amministratori che avvertono il significato culturale e sociale e l'urgenza della qualità dei servizi socio-educativi [...] e si propone di promuovere l’attenzione all’infanzia, e lo sviluppo della qualità dei servizi educativi per l’infanzia favorendo il lavoro in rete di ricercatori e studiosi delle scienze dell’educazione con gli operatori (educatrici, insegnanti, tecnici specializzati) che operano nei servizi per l’infanzia.»

Sul nuovo numero della rivista, uscito da alcuni giorni, trovate un'intervista che mi ha rivolto Lorenzo Luatti: Ditelo ai grandi. Saper leggere gli albi illustrati. Quattro pagine di riflessioni sui libri illustrati del presente del passato, sul rapporto fra i bambini e gli adulti, sulla relazione fra immagine e parola nei libri illustrati, sull'esperienza editoriale di questi dieci anni di Topipittori e molto altro. L'intervista ha anche una estensione on line di due pagine che si può scaricare dal sito della rivista. Abbiamo chiesto il permesso di pubblicarne un estratto (più la breve introduzione che la precede). Ringraziamo, per avercelo accordato, Lorenzo Luatti e la redazione di Bambini, ma soprattutto li ringraziamo per lo spazio importante di riflessione che ci hanno offerto. Segnaliamo che la rivista, fra l'altro, in questo numero ha un interessante approfondimento: Educazione e genere.

Le nostre interviste

[di Lorenzo Luatti]

Questo mese il nostro viaggio approda al grande e affascinante tema dei libri illustrati per l’infanzia. Abbiamo chiesto a Giovanna Zoboli di accompagnarci e illuminarci. Autrice di numerosi libri per bambini – poetici, aperti a più livelli di lettura, accurati – è cofondatrice e responsabile editoriale della milanese Topipittori (tra le più innovative e brillanti case editrice dell’odierno panorama editoriale per l’infanzia), nonché studiosa di illustrazione e attenta osservatrice di tutto quanto si muove, in Italia e all’estero, nel mondo dei libri per bambini.  Con lei abbiamo parlato del suo lavoro di scrittrice, di libri e illustrazioni per l’infanzia, del (differente) rapporto che piccoli e adulti hanno con le storie e le figure dei libri, delle trasformazioni, delle novità del mercato editoriale e di molto altro ancora.

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Illustrazione di Simona Mulazzani per Al supermercato degli animali di G. Zoboli.

L.L. Frequentando alcune scuole dell’infanzia, noto che certe tipologie di libri non trovano (ancora) spazio tra i ripiani della Biblioteca di Sezione e talvolta sono viste con diffidenza dalle insegnanti. Prendiamo i libri senza parole (silent book), sempre più frequenti nell’editoria italiana: negli adulti, in molti adulti, ma non nei piccoli), provocano un certo spaesamento perché sono costretti a trovarle loro le parole. Puoi indicare tre  buone ragioni per il loro utilizzo a scuola e a casa?

G.Z. Anche in questo caso credo che la diffidenza sia la conseguenza di lacune e pregiudizi. L'immagine, nell'opinione corrente, e in particolare in ambito educativo, è considerata inferiore alla parola, legata al dominio dell'estetica e del gusto, quindi vincolata alla soggettività, alla sfera dell'irrazionale, dell'emotività, del sentimento con cui si tende a identificare il lavoro degli artisti; nei libri illustrati per i bambini, poi, si tende ad assegnarle una funzione accessoria, didascalica, come fosse una sorta di seducente, ludica decorazione per rendere accattivanti i contenuti. Le immagini, invece, costituiscono un linguaggio dotato di codici propri, sofisticati, per la cui interpretazione sono necessarie competenze cognitive e culturali specifiche. Per questo motivo le immagini, che rappresentano un linguaggio molto vicino alla sensibilità dei bambini, i quali sono grandi osservatori, sono uno strumento fondamentale nella formazione di processi di elaborazione e strutturazione del pensiero. Comprendere una storia senza parole costringe a uno sforzo di lettura che richiede autonomia. Il lettore, da solo, è chiamato a costruire attraverso le immagini le articolazioni logiche della narrazione e questo perché manca la parola a fare il lavoro di sintesi. Per esempio, manca l'ordine della frase a stabilire la priorità di verbo, soggetto, complemento oggetto. Il bambino deve fare tutto da solo. Questo lo diverte molto: è un lavoro  simile a quello di un detective esperto. Per cui non c'è nulla di più errato che considerare un libro senza parole privo di valore educativo, pedagogico. Ciò che è importante è fornire strumenti che aiutino i bambini a strutturare, ordinare il loro pensiero, le loro visione e possibilità di espressione delle cose. Se questo avviene attraverso immagini o parole, cosa cambia?

Illustrazione di Simone Rea per L'uomo dei palloncini di Giovanna Zoboli.

L.L. Quanto sopra evidenzia, tra l’altra, la modesta educazione all’immagine degli adulti. Tanto più cresciamo quanto più sembrano scomparire in noi le capacità di leggere le figure. Parrebbe strano in una epoca in cui siamo bersagliati continuamente da immagini di ogni tipo. A cosa si deve? Quali sono, a tuo avviso, le motivazioni profonde?

G.Z. È un discorso molto complesso. Nel Rinascimento erano i papi e i principi a stabilire insieme agli artisti i programmi iconografici di quadri e affreschi, ossia i significati politici, spirituali, storici, letterari di cui questi erano intessuti. Questo per dire che il linguaggio delle immagini è sempre stato strategico, e oggi non è diverso. Pensiamo agli enormi investimenti che le aziende fanno in comunicazione, per costruire, appunto, l'immagine adeguata al mercato dei loro prodotti. Ma pensiamo anche al valore che le immagini hanno in tutti i campi della comunicazione umana: dalla segnaletica stradale, ai libretti delle istruzioni di migliaia di prodotti tecnologici, all'informazione, che sia veicolata in rete attraverso giornali, tv, siti, blog, social network; ai manuali tecnici e scientifici, ai manifesti politici. Le immagini hanno un'efficacia immensa. L’illustratore Saul Steinberg affermava che: “Disegnare è un modo di ragionare”. E sappiamo quale inimitabile strumento di indagine e studio fosse per Leonardo il disegno, in grado di sondare tutti i campi del sapere umano - pittura, scultura, architettura, anatomia, ingegneria, idraulica. Non conoscendo latino e grammatica, Leonardo aveva difficoltà con la parola scritta, che gli era ostica; così per riflettere sulle cose, disegnava. Italo Calvino nel capitolo Esattezza di Lezioni americane riporta una frase che Leonardo scrisse su uno dei suoi quaderni di anatomia: “O scrittore, con quali lettere scriverai tu con tal perfezione la intera figurazione qual fa qui il disegno?” Saper leggere, decodificare le immagini, è sempre stata una competenza fondamentale. Io credo che l'aniconismo, come è definito l'analfabetismo iconico, sia conseguenza di una cultura che nel tempo ha perso la capacità di considerare forme e contenuti come parte dello stesso processo di trasmissione della cultura e del sapere. Si attribuisce alla parola un primato sull'immagine, identificandola con il principale veicolo dei contenuti. È un errore clamoroso. Anche perché in questo modo si consegnano le immagini al dominio degli specialisti, creando una frattura pericolosa fra chi le crea in modo mirato e chi le fruisce, senza alcuna consapevolezza. 

La casa editrice.