Nel cuore della notte

Oggi riprendiamo l'attività del blog con un articolo dedicato a Kitty Crowther, che Giovanna Zoboli ha scritto su invito di Associazione Hamelin per il volumetto della collana Oblò che avrebbe dovuto accompagnare la mostra nel 2020 dedicata a questa autrice, ospitata in occasione della Bologna Chlidren's Book Fair, nei locali dell'Associazione. Poi la mostra, come molte altre cose, non si è potuta fare, ma la pubblicazione è uscita, ed è molto bella. Potete acquistarla qui.

[di Giovanna Zoboli]

La copertina del numero 5 di OBLÒ, collana di monografie edita da Hamelin.

Grat grat cirp splash! di Kitty Crowther racconta la storia di un ranocchio, Giacomo, che teme il sonno, l’oscurità, la notte e i suoi rumori. Nonostante i riti affettuosi messi in atto dalla mamma per metterlo a letto, Giacomo, dopo i baci, le letture, le carezze, le mille rassicurazioni, ritrovandosi al buio, incontra la propria paura, spaventosa come una bocca spalancata:

«Sono tutto solo nella mia camera», pensa Giacomo. «Tutto solo nel mio letto, tutto solo nel mio cuore.»

Il genio di alcuni autori di libri per l’infanzia, capaci di maneggiare sia la parte visiva sia quella testuale dell’albo, risiede in una capacità di sintesi che mette la scrittura al servizio di un meccanismo narrativo esatto come un orologio svizzero senza diminuirne, tuttavia, la qualità letteraria, che, invece, rimane altissima, come dimostra questo testo.

Dalla camera al letto al cuore il climax, figura retorica mirata ad accrescere l’intensità espressiva, funziona in modo impeccabile per due ragioni. La prima: si tratta di un climax ‘al contrario’, o almeno così sembrerebbe, ossia dal grande al piccolo; la seconda: l’ultimo sostantivo, cuore, instaura una discrepanza rispetto ai primi due termini. Camera e letto sono luoghi. Il cuore è un organo che fa parte dell’anatomia dei corpi, anche di quella di un ranocchio. Se camera e letto sono spazi e in quanto tali esterni a Giacomo, il cuore è dentro di lui. E, tuttavia, in ragione della posizione in cui appare nella frase, anche il cuore diventa per prossimità uno spazio, pur mantenendo la propria natura: è uno spazio ma vivente, organico. Per questo motivo, il lettore riceve un’impressione ambivalente, leggendo: da una parte di continuità, dall’altra di dissonanza. Una ambivalenza che si manifesta in modo del tutto imprevedibile perché qui ci si potrebbe aspettare qualcosa di convenzionale come: «mi sento tutto solo al mondo». Questo scarto genera un sussulto: una scossa simile a quella che può provocare un verso poetico quando centra il bersaglio, sintetizzando forma e contenuto in una sorta di formula matematica. Qualcosa che potremmo descrivere come l’accesso improvviso a una conoscenza, una dimensione di verità.

Illustrazione di Kitty Crowther tratta da Grat grat cirp splash! (Babalibri, 2011).

Kitty Crowther arriva a questo risultato con diabolica abilità: nominando il cuore si riferisce a un dettaglio anatomico, ma insieme tocca uno dei simboli più potenti del nostro immaginario. Non certo la sede dei ‘buoni sentimenti’ così abusata in tanta deteriore letteratura per ragazzi (e non), ma lo spazio simbolico più potente del corpo umano in senso poetico, teologico, spirituale, filosofico. Grazie alla vastità di questa dimensione, ma anche alla vicinanza con i sostantivi camera e letto, Crowther segnala al lettore che cuore è parte del corpo, ma anche spazio sconosciuto che si apre all’improvviso durante la notte, contenitore di una imprevista solitudine, vuoto da percorrere e da attraversare. Uno spazio del tutto particolare, fisico e interiore, qualcosa che sta dentro di noi, ma anche fuori da noi, un luogo che può essere immenso e buio e che come molti altri spazi sconosciuti ai piccoli (e nondimeno ai grandi), è esplorabile. Grazie alla complessa dinamica su cui è costruito questo climax - che dal grande sembra andare al piccolo, dal fuori al dentro, per poi rivelare che, in realtà, dal piccolo porta all’incommensurabile misura cardiaca, e dal dentro di nuovo alla vastità del mistero -, davanti al lettore, anche piccolissimo, a questo punto della storia si spalanca la porta a una comprensione folgorante. In diciotto parole apprendiamo cos’è la paura e dove si collochi, a cosa serva e dove ci possa portare. Ossia al centro del corpo, dentro il nostro stesso cuore, dove abita quella indicibile solitudine che solo da piccoli si può sperimentare in tutta la sua ampiezza. La percezione di un vuoto improvviso si manifesta in mezzo alle faccende più normali e quotidiane, negli spazi più familiari, che siano dentro o fuori da noi. Ma è l’esplorazione di questo spazio a determinare l’accesso a una dimensione altra che è il sentire se stessi e quello che si ha intorno, il percepire per la prima volta lo sgomento della propria presenza al mondo e il mondo stesso: un passaggio obbligato.

Illustrazione tratta da L'enfant racine (Pastel - L'école des loisirs, 2003).

Illustrazione tratta da Alors? (Pastel - L'école des loisirs, 2006).

Ecco cos’è, precisamente, la paura del buio e dello sconfinato vuoto della notte, per un bambino. È questo il fulcro del libro, il suo cuore, per non uscir di metafora, quello che prepara il magnifico finale escogitato dal padre di Giacomo: perché a vegliare sugli smarriti c’è sempre, nelle storie di Crowther, una creatura gentile, grande o piccola, capace di stare accanto alla paura con pochi gesti e ancor meno parole.

Il cuore a cui fa riferimento Giacomo, nel momento di massimo sperdimento, quando si affaccia sulla soglia del continente della solitudine, mi ha fatto venire in mente la soluzione figurativa trovata da Kitty Crowther per illustrare alcuni passi del testo (bellissimo) di Alex Cousseau in Dentro me. Chi parla in questo albo è una creatura piccola e smarrita che finisce fagocitata da un orco: una vicenda fiabesca nel senso più fosco del termine. Infatti, il libro, che oggi viene proposto ai bambini e conta numerosi estimatori fra gli adulti, non ha ricevuto, all’inizio, buona accoglienza. La narrazione visiva di Crowther fa riferimento due volte al cuore (citato solo una volta nel testo e non dove Crowther lo mette in scena), entrambe nel momento in cui il protagonista visita il corpo dell’orco. Scrivo visita perché anche qui il corpo, da fisiologico luogo di inghiottimento e incontro con la paura, si trasforma in dimensione spaziale, vero e proprio territorio cavo e misterioso da esplorare e scoprire. Il testo, infatti, fa riferimento a questo dentro dell’orco come a un paese: un paese ora vuoto, ora silenzioso, ora abitato, ora deserto. Si tratta di due illustrazioni bellissime e fortissime: in una vediamo il bambino che, scivolando nel corpo dell’orco, diventa gemello di un cuore rosso acceso; nell’altra, il bambino inghiottito diventa il cuore stesso dell’orco, il suo centro.

Illustrazioni tratte da Dentro me (Topipittori, 2008).

Ripensando alla produzione editoriale di Kitty Crowther - che non si sa se sia più una straordinaria illustratrice o una eccelsa scrittrice -, mi pare che un medesimo schema o, meglio, una sorta di matrice animi e accenda tutte le sue storie, ed è la sconfinata solitudine che all’improvviso piomba sulla fragilità di un essere vivente piccolo, consegnandolo nudo alla propria verità. Una sorta di presa di coscienza estrema nel bel mezzo della vita più consueta.

I suoi racconti parlano sempre di questo istante di verità: le tre Storie della notte, L’omino e Dio, Le grand désordre, Alors, Moi et rien, La visite de la petite morte, Annie du lac, Mère Méduse, tutta la deliziosa serie di Poka & Mine eccetera.

Annie du lac (Pastel- L'école des loisirs, 2009).

Storie della notte (Topipittori, 2017).

Poka & Mine - Un cadeau pour Grand-Mêre (Pastel - L'école des loisirs, 2016).

La scoperta della solitudine che ci abita e ci circonda, suggerisce Crowther nelle sue storie, senza alcuna enfasi o drammaticità, ma con garbo, semplicità, dolcezza, in una tonalità narrativa che mescola malinconia e ironia, supportata da una magnificenza visiva al servizio della bellezza del mondo, è la scoperta stessa di essere. I suoi personaggi, investiti da questa rivelazione, non tradiscono la propria natura, non scappano, rimangono invece a contemplare le cose come sono in tutta la loro vastità e profondità, senza sottrarsi, con un atteggiamento che nulla ha a che vedere con l’eroismo o la sfida, ma, invece, molto con l’onestà e la meraviglia di chi è vivo e accetta di affidarsi al nero velluto del sonno, dell’amore, del mistero.

La visite de Petite Mort (Pastel – L’école des loisirs, 2004).