Adelchi

Adelchi Galloni è un pilastro dell’illustrazione italiana: autore prolifico e forsennato sperimentatore, la sua opera – che attraversa il cinema d’animazione, la pittura, l’illustrazione, la narrazione per l’infanzia – è rimasta ingiustamente in ombra. Hamelin Associazione Culturale gli dedica, durante i giorni di Bologna Children’s Book Fair, Adelchi Galloni. Il cacciatore di immagini (Bologna, 4 aprile – 17 maggio), una mostra che condensa cinquant’anni di lavoro e fotografa il sorprendente immaginario di uno degli autori più grandi della storia dell’illustrazione italiana. Insieme alla mostra, esce per la Fiera un numero di Oblò, la collana di monografie dedicata ad autori e illustratori per l’infanzia a cura di Hamelin, tutto dedicato a Galloni, che raccoglie approfondimenti, immagini inedite, un’intervista all’autore. L'articolo che oggi proponiamo di Luigi Raffaelli è tratto da questa monografia.

Oblò n° 4 – Adelchi Galloni è in vendita allo stand di Hamelin (stand F5, padiglione 29) a Bologna Children’s Book Fair dall’1 al 4 aprile, alla mostra Adelchi Galloni. Il cacciatore di immagini, oppure online su hamelin.net.

Adelchi Galloni. Il cacciatore di immagini

4 aprile – 17 maggio 2019, presso Hamelin Associazione Culturale, via Zamboni, 15, Bologna.

Inaugurazione con l’autore: 3 aprile h 20. Ingresso libero.

Incontro con l’autore: 4 aprile h 10 – Accademia di Belle Arti di Bologna
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Proiezione con l’autore: 4 aprile h 18 – Cinema Lumière.

Orari della mostra: 
4 aprile h 11 – 13 / 15 – 18
; 5 aprile h 11 – 13 / 15 – 17
; lunedì > venerdì h 10.30 – 13 / 15 – 18.30.
 Chiuso durante le festività
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[di Luigi Raffaelli]

Prologo. Quattro riproduzioni.

Nella casa di campagna di famiglia, un vecchio casolare colonico sulle colline marchigiane, c’è una piccola stanza arancione. L’arredamento è curato ma spartano, composto da pochi mobili: un letto, un comodino, una specchiera. Nella parete ci sono quattro immagini con cornici rosse, a formare un quadrato. Da bambino, nelle ore più noiose e calde dei pomeriggi estivi, mi perdo dentro quei disegni per far passare il tempo, in attesa di proseguire la guerra contro tutte le creature del bosco. Un transatlantico in partenza, un treno sul binario, uno spettacolo circense e un camion dei pompieri. Ogni scena è affollata di persone, animali, oggetti, situazioni; tante piccole storie, innumerevoli possibilità. In ognuna di queste la realtà vacilla e la follia diventa regola: ci sono gatti che guardano la televisione, palloncini che diventano teste umane, facchini giganti che trasportano valigie llillipuziane, coccodrilli equilibristi, vigili del fuoco che giocano a carte mentre fiori escono dagli idranti. Sullo sfondo ciclisti corrono sui tetti dei palazzi, granchi enormi forzano casse di legno pronte per essere caricate nella grande nave, che sembra essere l’Arca di Noè ma che forse è solo un nuovo Titanic: un pittore la sta già ritraendo, sul marciapiede del porto, in pieno naufragio. I miei occhi rimbalzano da un dettaglio all’altro, e riconoscendo gli stessi personaggi e colori lisergici, inseguono il segno nervoso, tremolante ma sicuro. Nell’angolo di ogni quadro lo stesso nome, piccolo, in stampatello maiuscolo: ADELCHI.

Edizioni speciali per La Monda, non in commercio.

Milano. Gli allievi.

Sul finire degli anni Novanta leggo per la prima volta il nome di Galloni. Sto salendo le scale della scuola, una locandina fotocopiata sulla tromba rosa dell’ascensore comunica una conferenza dell’autore. Nell’immagine ci sono dei personaggi umani, forse una coppia. Le teste, piccolissime su corpi statuari, attraggono la mia attenzione. La seconda volta è già un mio professore. Insieme ai miei compagni lo studiamo: alto, massiccio, la barba lunga, i capelli cortissimi e gli occhi di ghiaccio. A differenza degli altri docenti, che sono tutti illustratori con l’aria di esserlo, Galloni potrebbe sembrare un falegname, un corazziere, un uomo di frontiera. Indossa maglioni colorati, da cui affiorano colletti di camicie spesse e T-shirt consumate, pantaloni di jeans o di velluti robusti, sopra scarpe di pelle con suole da montagna. Il suo portfolio è pesante, lo porta sempre con sé a fatica. Quando lo apre ne escono meraviglie: tavole illustrate di ogni tipo, forma, materiale. Ci sono disegni per riviste, libri illustrati per ragazzi, campagne pubblicitarie, poster, copertine e progetti più personali.

La tipologia del segno e di figurazione varia a seconda della funzione, ma tutte le immagini contengono la stessa energia, che si sprigiona prima di tutto da un tratto grasso, feroce, e poi dal colore, che, in tutte le tecniche, rimane straripante, indomito. Niente può trattenerlo. L’impressione finale è che non esista confine tra la linea e le campiture: l’una a sostegno dell’altra compongono figure potenti ed espressive, che sembrano essere state catturate in movimento. L’alternanza ripetuta di contrasti nei primi piani e negli sfondi tende a creare una tessitura compatta e un ritmo vibrante: tutto nella tavola è vivo, ed è la raffigurazione chiara dei gesti dell’autore: guardare le immagini di Galloni è come guardarlo mentre le disegna. Le tecniche, principalmente pittura acrilica, Ecoline, grafite e collage, sono usate con maestria, ma per la prima volta la nostra attenzione non si ferma lì. Per la prima volta vediamo il cielo oltre al dito. Per la prima volta capiamo.

Illustrazione per il racconto Una telefonata di Dorothy Parker.

Milano. I Maestri.

Adelchi Galloni aggiusta i nostri disegni con il suo matitone. Interviene direttamente sulle nostre immagini, cambia la direzione dei contorni, scurisce gli sfondi, aggiunge elementi figurativi. Commenta sempre le correzioni mentre le sta facendo, borbotta, si diverte. Spesso ci porta dei libri e ce li mostra. Non perde tempo con autori che non lo interessano, e a volte li prende in giro; è una nota del suo carattere: oppone ciò che ama a ciò che non ama, per farci capire dove stanno le differenze tra il lavoro dei grandi e quello degli abili. Lo fa con il cinema, lo fa con la pittura e con l’illustrazione. Le esercitazioni su cui lavoriamo cercano di simulare committenze possibili e si basano sul suo lavoro, ma la valutazione su quello che produciamo non si ferma lì. Galloni cerca nei nostri disegni qualcosa che viene prima dello scopo e che deve sopravvivergli una volta raggiunto. Un valore intimo all’immagine, durevole, che superi la contingenza. Forse è per questo che mette in luce elementi di interesse in lavori essenzialmente sbagliati e debolezze in altri apparentemente giusti, se non perfetti. E forse è per questo che non ama dare voti, e ne assegna uno uguale per tutti. Quello che conta è comprendere, procedere, produrre. Il professore sa come starci vicino, o meglio, sa come avvicinarsi ai nostri scarabocchi. Li cresce. Con noi mantiene una certa distanza perché viene da un’altra epoca, in cui il mondo degli adulti era muto. Se nasce una confidenza la si rileva dai gesti, dall’attenzione e da certi sguardi.

Schizzo realizzato da Adelchi Galloni durante una lezione.
 
Galloni assomiglia a quello che disegna. Il mondo che dipinge sembra aderire al suo: sono storie di uomini e donne, di coppie, separazioni, silenzi, distanze. I maschi portano completi, camicie aperte, automobili; le donne sono alte, belle, incomprensibili. Lo spazio in cui si muovono è a volte dilatato al massimo, per aumentare la temperatura emotiva, altre volte è chiuso in cornici, che rivelano la finzione e la teatralità della messa in scena. È il suo cinema questo, senza suoni. Galloni confessa di ascoltare i film, mentre disegna; ci parla continuamente di Hitchcock e del bianco e nero, odia gli effetti speciali e detesta il computer perché non pensa, dice lui. Perché non può sbagliare. L’errore è elemento fondamentale del suo lavoro che in realtà sembra infallibile. Il caso è parte del suo metodo, lo costringe a deviare, a sfruttare a proprio vantaggio uno scivolone.

A differenza di molti non nasconde i suoi maestri, li ama costantemente e li analizza davanti a noi. Uno dei primi libri che ci porta è  L’uomo della luna di Ungerer. Il secondo Passaporto di Steinberg. Poi Glaser, Topor, Picasso, André Francois, Hopper, Paolo Uccello, Ernst, Pinter, Bacon, la cui opera, secondo lui, rappresenta l’uomo moderno meglio di tutte. Io sono un ragazzo magro che cerca di imparare qualcosa e liberarsi da influenze che non sono utili. Non è facile. Se ci sono le idee non c’è tecnica. Se c’è tecnica manca la magia. Un giorno mi presta un catalogo su Ben Shahn e posso tenerlo un’intera settimana! Scendo dal tram a Porta Venezia e percorro corso Buenos Aires a piedi, come il più felice del mondo.

La prima immagine che sembra segnare un cambiamento, la faccio per lui. Lo so che sta succedendo qualcosa. Lui mi guarda di traverso e mi dice: è pittura.

Epilogo. Bologna-Urbania

Dopo tanti anni ci ritroviamo per un po’ ad insegnare illustrazione nello stessa Accademia. Sono cresciuto e ho esperienza, ma davanti a lui mi sento sempre il suo allievo. Quando possiamo parliamo. Ci scambiamo dei documentari. Mi stupisce come si ricordi di me e dei miei compagni. Scatto qualche foto ad un suo incontro con un nuovo gruppo di studenti. Quando apre il portfolio, quindici anni dopo circa, si rinnova la meraviglia. Un giorno sono in campagna e giro per le stanze del casolare. Entro nella piccola stanza arancione e mi avvicino alle quattro cornici rosse. Guardo i disegni con occhi diversi. Poi scorro sulla firma. ADELCHI. Il cuore accellera. I paesaggi dell’infanzia riaffiorano con prepotenza. Il caso! Le immagini del maestro erano in me ancora prima di conoscerlo.

Illustrazione inedita.

Si ringraziano Luigi Raffaelli e Barta Edizioni per la concessione delle immagini.