Ce n'etait qu'un debut!

Entro qualche settimana cominceremo a sentir parlare del cinquantenario del Sessantotto, insomma, del Maggio francese. Insomma, di quel movimento di rivolta che ha attraversato tutta l’Europa, coinvolgendo studenti e operai delle grandi città, avviando un processo di cambiamento politico e sociale i cui effetti sono ancora oggi evidenti.

A prescindere da qualsiasi giudizio storico e politico si possa formulare su quel movimento e sulle ripercussioni che ha avuto sulla società occidentale, credo non si possa fare a meno di considerare come il Maggio francese si sia caratterizzato in maniera innovativa sotto il profilo della comunicazione, soprattutto dal punto di vista visivo. Credo si possa affermare, senza tema di essere smentiti, che la comunicazione dei movimenti politici di base sia stata veramente rivoluzionata dall’esperienza maturata in quell’anno.

Uno degli aspetti più singolari della cosiddetta “rivoluzione di maggio” è stata l’esplosione di slogan e immagini sui muri delle facoltà occupate: slogan scritti a vernice, dapprima; poi manifesti diffusi gratuitamente, affissi in ogni dove, e realizzati collettivamente.

L’8 maggio 1968,  l’Ècole del Beaux Arts di Parigi (ENSBA) entra in sciopero.  Sei giorni dopo, il 14 maggio, un comitato di sciopero informa l’amministrazione accademica della presa di possesso da parte degli studenti delle strutture della scuola. Quello stesso giorno, un gruppo di studenti si trova casualmente nel laboratorio di litografia della scuola e decide di stampare un manifesto che sottolineasse il coinvolgimento nelle proteste di tre ambiti che in precedenza erano stati considerati separati.

Nasce così "Usines Universites Union" (Fabbriche Università Sindacato): il primo di una lunghissima serie di manifesti politici realizzati nei laboratori dell'ENSBA nel corso di quell'anno.

Questo raggruppamento spontaneo di studenti (al quale si associano anche alcuni docenti e artisti esterni alla scuola) viene battezzato Atelier Populaire e si propone di favorire la partecipazione degli artisti alle lotte degli studenti e degli operai attraverso la produzione di manifesti.

Il metodo di lavoro è oggetto di riflessioni molto approfondite, ma si fonda fin dall’inizio su alcuni cardini:  decisione collettiva dei progetti e dei soggetti da produrre; ascolto delle esigenze di comunicazione degli operai e degli studenti in lotta; attribuzione al collettivo di ogni realizzazione; gratuità del prodotto.

Il processo, in sé relativamente farraginoso, veniva costantemente analizzato per individuarne le criticità, dal momento che si riteneva essenziale limitare al massimo le perdite di tempo per essere tempestivamente presenti con una comunicazione sintetica ed efficace nei luoghi delle lotte operaie e studentesche, veicolando messaggi condivisi, ma anche per evitare che la complicazione dei processi e l’incertezza riguardo all’efficacia potessero generare negli attivisti delusione e smobilitazione. Anche perché era richiesta una continuità di presenza, sia nelle fasi decisionali sia in quelle operative: nei laboratori di litografia e di serigrafia si succedevano turni di stampatori ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni alla settimana.

In un contesto come quello attuale, nel quale la comunicazione politica – pur disponendo di mezzi straordinariamente potenti – non riesce a superare la soglia di un’attenzione minima ma costante da parte, soprattutto, delle persone alle quali più di altre si dovrebbe rivolgere (cioè i non privilegiati) e si affida a un’aggressiva faciloneria fondata sulla paura e a una ricerca formale grafica ridotta ai minimi termini, credo che un’esperienza come quella di Atelier Populaire possa offrire più di un’ispirazione.

Il movimento del Sessantotto è morto. Probabilmente è morto appena nato. Ma sono passati cinquant’anni e siamo ancora qui a parlarne. Non tanto e non solo perché alcune sue conseguenze –positive come negative – sono quotidianamente palpabili, ma anche – se non soprattutto – perché ha rivoluzionato la comunicazione politica e ha creato degli strumenti e un immaginario al quale è ancora possibile attingere.