CittàGiardino, scritto e realizzato da Marco Piccarreda e Gaia Formenti, con regia di Marco Piccarreda, è un film autoprodotto dagli stessi autori. Dopo quattro anni di coccole e attenzioni, questo piccolo lavoro muove i suoi primi passi da solo. Presentato in prima assoluta al festival internazionale Vision Du Réel, dove è stato premiato dalla Giuria Giovani, è in concorso in questi giorni al Mar Del Plata International Film Festival - Argentina. Domenica 18 novembre, alle 15, il film verrà presentato al Filmmaker Film Festival al Cinema Spazio Oberdan, Milano.
[di Marco Piccarreda]
C'è un passaggio che più di ogni altro ha segnato il mio immaginario lungo la preparazione di CittàGiardino e risale al periodo di esplorazione di quel denso microcosmo chiamato Prima Accoglienza.
Nel nostro caso quella rivolta ai Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA), ragazzini, talvolta bambini, che compiono il viaggio verso l'Italia senza familiari, ed in molti casi, completamente soli.
La prima accoglienza è per loro l'inizio di un secondo viaggio, accidentato ed imprevedibile, che ha come passaggio obbligato quello della Commissione Territoriale.
Dal suo importantissimo esito dipende infatti la possibilità e la qualità della protezione a cui saranno soggetti.
Nella pratica, la possibilità di restare in Italia, i tempi di questa permanenza, la facoltà di poter avere documenti, di poter espatriare ecc.
Per i MSNA l'esito della commissione sarà determinante allo scoccare dei 18 anni, quando andranno a scadenza i benefici della tutela per minore età.
Durante la seduta di Commissione vengono interrogati sulla propria storia migratoria: da dove vengono, quale vita conducevano nel loro Paese, quali sono le ragioni che li hanno spinti a partire, come si è svolto il viaggio che li ha portati in Italia.
A queste domande i migranti bambini devono cercare di rispondere in modo preciso e il più possibile circostanziato: ogni ambiguità, ogni incompletezza, ogni incoerenza viene valutata come un sospetto indebolimento della veridicità di tutta la storia.
La nostra esperienza di ascoltatori ci ha insegnato che nella maggioranza dei casi il solo racconto del viaggio abbraccia un arco di tempo che va da pochi giorni a diversi anni.
Storie differenti: ragazzi che vengono dall'Africa profonda, dal vicino Maghreb, cittadini, contadini, studenti, analfabeti, profughi, sognatori, ricchi, poveri, tutti accomunati dal desiderio di espandere la propria vita in un altrove quasi sempre solo sognato. Tutti chiamati a raccontare la propria vicenda, incessantemente, ripetutamente a orecchie interessate: quelle del questore, del giornalista, del mediatore, del curioso, del giudice infine. Chi valica i confini di questa Europa 2018 è innanzitutto chiamato a dire chi è, cosa vuole e perché. E tanto più il suo racconto sarà coerente, afferrabile, riscontrabile tanto più sarà implicitamente validato. Il destino corre sul filo delle parole e dei silenzi tra una e l'altra.
Abbiamo avuto la possibilità di assistere a diverse sedute di preparazione alla commissione: una pratica necessaria, resa possibile dall'intervento di associazioni e volontari che aiutano questi giovani viaggiatori a prendere confidenza con il mondo delle procedure e del linguaggio normativo, del coerente e dell'attendibile; abbiamo incontrato ragazzi svegli e socievoli, altri scaltri, altri, spaesati, incapaci di esprimersi, altri ancora immobili, solidificati nel profondo; abbiamo ascoltato storie drammatiche, avvincenti, altre disarticolate, altre ancora sovrapponibili, come se provenienti da un racconto originario passato di bocca in bocca; abbiamo assistito a scene mute, a monologhi scomposti, a singhiozzi di ricordi mancanti. L'avvenire, per loro, sarà sempre di più figlio di una pratica che scarta le esitazioni, condanna il silenzio, trascura il vuoto.
Nel buio resta l'inutile, lo scarto prezioso, il bilico di un significato, l'ambiguo indecidibile e quella parte di noi che chiede il diritto di non ricordare, di non saper ancora dire, di non dire. Di mostrarci nella nostra nudità elementare di esseri in viaggio. «Sono arrivato qui e voglio vivere. Cosa volete da me?» ha detto una volta uno di loro. Ecco il passaggio, la domanda disarmante che mi è stata consegnata e che ha orientato il nostro sguardo lungo tutto il viaggio di CittàGiardino.
Riporto alcune brevi recensioni uscite sul film.
In mezzo al tumulto dell'arrivo di rifugiati, i visi di adolescenti improvvisamente fanno da specchio ai nostri bambini, ai nostri adolescenti, ai nostri amici e a noi stessi. Un salutare contro-campo alla coalizione di populisti e alle nostre rappresentazioni informi della figura del migrante. Un elogio alla giovinezza tanto quanto un inno alla fine dell'innocenza e all'inizio del coraggio.
Festival Interférences Lyon
Un'opera che supera i limiti dei film realizzati finora sui rifugiati. Visivamente intenso, capace di creare uno spazio nuovo per l'utopia dando ai suoi protagonisti la libertà che la burocrazia italiana rifiuta loro. Il cinema come atto di solidarietà. Ma anche come rivolta poetica e politica.
Giona A. Nazzaro
Al contrario del Deserto dei Tartari di Buzzati o di Aspettando Godot di Beckett, questi adolescenti africani non aspettano un'apocalisse o una redenzione. Non parlano del loro status di rifugiati, del motivo per cui sono obbligati a stare nel centro. Non c'è futuro, solo un infinito e vuoto presente. Come scopriamo, la pelle splendente e tenera dei loro volti nasconde storie troppo terribili per poter essere raccontate. I ragazzi resistono con il silenzio e con il sonno. Come dice Farouq, la loro vita è solo confusione senza senso. La sua vera vita si è interrotta quando aveva 10 anni.
Jan Mazetic (Kino Otok Izola Cinema)
Qui due trailer di CittàGiardino: Teaser 1 e Teaser 2.