Io volevo poter dipingere tutto: storia di Santuario Mobile

Santuario Mobile è il contenitore, virtuale e reale, dell’Archivio Dipinto della Memoria di Franco Biagioni, che dipinge su piccole tavole di legno la storia della nostra epoca. L’Archivio, curato da Simonetta Bellotti, conta oggi 230 opere: le Tavolette, che narrano gli eventi, affiancate da una collezione di Santini dedicata alle persone, o ai personaggi, che hanno popolato il nostro immaginario.

[di Simonetta Bellotti]

Franco e io ci siamo conosciuti a Venezia nel 1980: io stavo finendo il corso in Letteratura Americana a Ca’ Foscari e lavoravo al Teatro La Fenice, lui aveva studiato all’Accademia di Urbino e al Dams di Bologna e aveva un atelier con altri pittori. Da allora abbiamo condiviso - oltre a due figli gemelli e un numero elevato di traslochi su e giù per l’Italia - diverse esperienze lavorative, sempre coincidenti con i nostri interessi culturali. Principalmente arte, letteratura, teatro. Non ricordo come inizò, ma a un certo punto, presi da vera passione, cominciammo a visitare tutti i Santuari che incrociavamo sul nostro cammino, facendo anche degli appositi pellegrinaggi. Sempre alla ricerca delle piccole o grandi collezioni di ex voto che questi custodivano, affascinati dalle migliaia di piccoli quadri votivi che sono stati, fino agli anni ’50 del Novecento, una delle più vitali e prolifiche forme d’arte popolare e memoria del nostro passato.

Malattie, trasporti, naufragi, guerre, eventi climatici, incidenti sul lavoro: gli ex voto sono degli straordinari contenitori di eventi, che scandiscono il passare delle stagioni e delle epoche, le trasformazioni sociali e produttive, e fissano nel ricordo i fatti eccezionali e la vita quotidiana. Questa esperienza suggerì a Franco una possibile risposta alle domande che si stava facendo sul senso del suo lavoro: «Quando ho cominciato ad osservare più attentamente gli Ex voto ho compreso la predisposizione e la necessità che contraddistinguevano gli esecutori delle tavolette: dovevano saper dipingere qualsiasi cosa, per essere in grado di rappresentare ogni fatto accaduto. Questo coincideva felicemente con la spinta primaria che da ragazzo mi aveva portato a scegliere la pittura: io volevo poter dipingere tutto, tutte le cose. Sono ripartito da quell’idea, e ci ho aggiunto il mio bagaglio pittorico, dal quale attingo, senza limiti, a seconda delle necessità.»

E così è nata la prima tavoletta, dedicata alla strage di Ustica.

Rimase l’unica per molto di tempo, finché un giorno gli chiesi di dipingere un evento che mi riguardava, un memento del rapporto con il mio severissimo padre.

Poi, il 2 agosto del 2000, a vent’anni dalla strage di Bologna, il quotidiano La Repubblica pubblicò una breve inchiesta, intervistando i passeggeri in transito nella stazione. Di fronte al monumento che commemora le vittime, risultò che in realtà pochissimi ricordavano. I più giovani non ne sapevano alcunché. Siamo proiettati così avidamente verso il futuro che il presente ci sfugge e il passato ci sembra troppo remoto: siamo ciechi davanti ai nostri ricordi. Questo pensiero ci fece fare un altro scatto in avanti, e Franco decise che avrebbe inziato a raccontare con la pittura il nostro passato, esplorando le possibilità creative della memoria. «Il presente dà forma al passato, ma la memoria individuale possiede la facoltà di rappresentarlo tramite una evocazione inesatta, infinitesimi scarti di senso, che rendono vitalità al ricordo senza per questo farlo meno veritiero.»

Un’altra grande fonte di ispirazione furono le copertine della Domenica del Corriere illustrate da Walter Molino. A partire dagli anni ’40 e per quasi un trentennio, Molino raccontò con le sue immagini fatti e misfatti del mondo a lui contemporaneo.

Il percorso cominciò a prendere forma, le tavolette a susseguirsi: il progetto era avviato. Lo chiamammo Tavolette - Archivio Dipinto della Memoria. Sul cavalletto di Franco, la tavoletta di legno è diventata un palcoscenico laico, dove eventi collettivi e accadimenti privati si mescolano: riaffiorano episodi dimenticati,  o si aggiungono tasselli mancanti, in un gioco di rimandi che aggiorna e arricchisce il nostro personale archivio della memoria. Non importa la sistemazione scientifica, e non c’è presunzione storiografica. Le storie narrate dalle tavolette si impongono nella loro casualità, sollecitate da un sistema di associazioni che trae nutrimento dal passato, o scaturisce dall’osservazione del presente.

Tav. XXXIV - L’alluvione di Firenze.

Tav. LXXIV - Il ferimento di Duccio Galimberti.

Tav. XXXII - Abebe Bikila.

Tav. XV - La strage di Capaci.

La prima presentazione la facemmo al Salone del Libro di Torino nel 2002. Erano solamente dodici lavori, ma il successo che riscosse l’idea ci convinse che avevamo imboccato la strada giusta.

Da allora sono trascorsi molti anni, durante i quali l’Archivio si è arricchito di molte opere e diverse mostre. Abbiamo sempre declinato le richieste di acquisto, perché la vendita anche di una sola tavoletta avrebbe tradito l’impianto del progetto. Galleristi e curatori ci guardavano straniti, perché non esiste artista che non venda le sue opere, e le nostre finanze non erano felici. Abbiamo quindi deciso di affiancare alle Tavolette una produzione di Santini, con i ritratti dei personaggi, più o meno famosi, che avevano colpito il nostro immaginario.

La vendita dei Santini ha reso possibile la sopravvivenza dell’Archivio, e fatta scaturire l’idea di costruire un Santuario Mobile: un’edicola itinerante, dalla struttura leggera e trasportabile su ruote, che ci permettesse di portare ovunque una versione ridotta della mostra e partecipare a eventi e manifestazioni in ogni spazio disponibile. Librerie, foyer dei teatri, festival letterari, al chiuso, all’aperto.

Santuario Mobile è diventato anche il nuovo nome del progetto, sia perché ci sembrava più suggestivo, sia perché nelle ricerche su Google le prime pagine dei risultati per Tavolette erano sempre riferite a tablet e tavolette grafiche, e pochi trovavano il sito. Tornando alle mostre, devo dire che il pubblico ci rende sempre felici, sia per la durata e l’accuratezza della visita che per le reazioni spontanee. Le persone si entusiasmano quando riconoscono un fatto, o un personaggio, che conoscono, ma sono altrettanto curiose di avere notizie su quelli che non ricordano, o non conoscevano. E quasi sempre scatta il viaggio all’indietro nella loro memoria: un episodio dimenticato, l’associazione con vicende simili, il suggerimento di altri eventi da dipingere, il racconto di memorie private. Molti giovani ci ringraziano per il racconto di episodi della nostra Storia di cui non avevano mai sentito parlare. I ragazzini, in visita con la scuola o con la famiglia, sono pieni di domande sulle storie e affascinati dalle immagini.

Teniamo anche dei laboratori per i ragazzi sull’intreccio tra memoria e pittura. Franco conduce una piccola visita guidata all’Archivio, durante la quale propone un breve excursus sulla pittura narrativa e sul valore della memoria. Se il laboratorio prevede più incontri, si propongono uno o più temi da indagare (possono essere fatti storici,  memorie del luogo, ricordi famigliari), chiedendo ai ragazzi di fare ricerche, raccogliere testimonianze, immagini, scritti, per mettere insieme un dossier che poi servirà a realizzare il lavoro. Nel caso di incontri unici, Franco racconta che è scomparsa una tavoletta dalla mostra: è rimasta solo la didascalia che racconta l’evento, e su questa base chiede aiuto ai partecipanti per ricostruire l’immagine perduta.

Questo laboratorio si è tenuto a Bra, e la tavoletta fa riferimento a un fatto accaduto negli anni ’30: «Nel 1933 un eremita viveva in una grotta delle Rocche di Pocapaglia, una zona boschiva solcata da gole profonde, scavate, si dice, dal diavolo. La storia vera di Settimio G., divenuto fascista e ucciso da un giovane partigiano chiamato Milton, fu narrata da Giovanni Arpino in Storie dell’Italia Minore. Leggendarie rimasero le sue scorribande per le vie di Bra che terrorizzavano i bambini.»

Last but not least, negli anni Franco ha realizzato molte di quelle che lui definisce perlustrazioni pittoriche del territorio. Indagini che si sviluppano nei luoghi che ospitano la mostra, o su richiesta specifica. Un lavoro di scandaglio nelle memorie locali, raccontate da chi quei fatti li ha vissuti direttamente o che sono stati tramandati dalla comunità. Ricerche che si risolvono sempre in occasioni di incontri straordinari, di scambio, di conoscenza. Da una di queste perlustrazioni, in Valle Bormida, è nata tra le altre la tavoletta su una vicenda minore della guerra, che ha reso giustizia a un uomo al cui racconto quasi nessuno credeva.

Tav. LXXXVII - L’alpino che arpionò la balena.

«Nell’estate del 1943 l’artigliere alpino G.N. da Levice, arpionava un capodoglio sulle coste della Sardegna. Dopo aver attraversato le Bocche di Bonifacio dalla Corsica,  aspettava con la Divisione Cuneense gli alleati americani. Uomini di montagna al mare, patirono la fame finché in una notte di tempesta l’enorme pesce si arenò sulla spiaggia. Con picconi, corde, e asce domarono il mostro marino, che li nutrì a migliaia.» Il protagonista della vicenda è l’alpino Giuseppe Negro, originario di  Levice, che al primo incontro con noi si è presentato con in mano una serpe lunga due metri che aveva appena catturato. Un arzillo vecchietto che ci ha travolti con la sua vitalità e stravolti con gli assaggi delle grappe che distilla. Un uomo grande e vigoroso, che si è commosso fino alle lacrime quando ha visto la sua tavoletta all’inaugurazione della mostra nella piccola chiesa sconsacrata del suo paese. Esperienze che arricchiscono la vita.

L’ultima di questa perlustrazioni è stata fatta nel 2018 in occasione della mostra al Santa Maria della Scala di Siena, l’ex ospedale nato in epoca medievale e ridestinato a complesso museale una ventina di anni fa. Nel settembre del 1985 vi morì Italo Calvino, e questa è la tavoletta che Franco ha dipinto per ricordarlo.

Questa, come le altre realizzate a Siena, riprende la tradizione pittorica delle Biccherne senesi, una raccolta di circa cento tavolette che dal Medioevo e fino all’inizio del Settecento furono prodotte con funzione di copertina per i registri contabili delle magistrature senesi, oggi conservate all’Archivio di Stato.

Il mio racconto è finito, ma se vi ho incuriositi - come spero - potete visitare il Santuario Mobile qui.