Un bambino è un bambino

[di Barbara Scotti]

«L’intervento internazionale a favore dei bambini è un test sulla nostra civilizzazione. Rivela l’esistenza del nostro essere migliore, quell’essere che è così facile oscurare nella vita quotidiana. Dimostra che non siamo ciechi di fronte al viso emaciato di un bambino che sta morendo di fame, non siamo sordi di fronte al pianto con cui chiede aiuto, anche quando questo pianto arriva da un luogo che è oltre le frontiere del nostro particolare Paese.» (Raffaela Milano, I figli dei nemici - Rizzoli, p. 201)

Quando ho visto per la prima volta il libro di Raffaela Milano sulla figura di Eglantyne Jebb non sapevo nulla di questa donna e delle idee che l’hanno guidata nella fondazione dell’organizzazione Save the Children.

Ho pensato immediatamente alla figura di Jella Lepman, la donna che nel 1945 fu incaricata di condurre un programma di “rieducazione” delle donne e dei bambini tedeschi nelle zone occupate dagli Americani e che fondò la Jugendbibliothek di Monaco e IBBY – International Board on Books for Young People. Save the Children è stata fondata cento anni fa con l’obiettivo di portare sollievo ai bambini che morivano di fame in Europa centrale a seguito dell’embargo che le potenze vincitrici della prima guerra mondiale mantenevano nei confronti di Austria e Germania. Il pensiero di Eglantyne Jebb si è formato in un contesto molto preciso ma rimane estremamente moderno e non è superato dalla storia. L’autrice del libro, Raffaela Milano, è una storica di formazione e coordina i programmi nazionali di Save the Children Italia. Nel libro racconta la vita e il pensiero di Eglantyne Jebb e, attraverso le sue parole, mostra il manifesto politico della ONG affiancando le parole della sua fondatrice alle questioni attuali.

Eglantyne Jebb nasce in una famiglia inglese agiata; a crescerla, insieme ai numerosi fratelli, sono la madre e la zia. Le due donne rappresentano bene il desiderio di cambiamento del mondo femminile inglese di fine ‘800 e sono un modello per Eglantyne Jebb. La madre, ad esempio, avvia corsi gratuiti di artigianato per ragazzi poveri con l’idea di fornire loro prospettive lavorative: è un’associazione che aprirà cinquecento scuole e che arriverà a vendere i propri prodotti a Londra. Pubblica inoltre un libro dal titolo I diritti delle donne nel quale afferma che «nessun governo con i suoi funzionari retribuiti sarebbe mai in grado di ottenere ciò che può fare una rete di donne» (p.18). La zia è la sorella del padre: con lei la madre stabilisce una solida alleanza educativa, sancita da una bella amicizia e da uno spirito di collaborazione, senza rivalità e gelosie. La madre di Eglantyne Jebb riserverà alla cognata parole piene di affetto e gratitudine: «Sono stati giorni meravigliosi quando insieme abbiamo cresciuto i sei bambini, una felice intesa a due, per loro e per me, mia più cara e migliore amica» (p.21 e 22).

Eglantyne Jebb.

L’educazione ricevuta in famiglia e il suo percorso formativo e professionale (la formazione e il lavoro come insegnante, la ricerca sociale, la missione umanitaria nei Balcani per conto del cognato e del Macedonian Relief Fund) contribuiscono a far maturare in Eglantyne Jebb le idee che la sosterranno nell’impegno sociale e umanitario: la sofferenza non ha confini geografici, politici o religiosi e dopo l’orrore della guerra deve essere recuperato il senso di appartenenza al genere umano. «Non dobbiamo erigere barriere tra una nazione e l’altra, ma piuttosto costruire ponti di comunicazione» (p. 202).

«L’ignoranza nei confronti delle diverse etnie, delle diverse fisionomie, delle culture che non sono la propria, da parte di chi avrebbe tutti i mezzi per superarla non è solo follia, ma è una follia fatale. E come l’ignoranza spesso è parente della crudeltà e dell’incomprensione, così la conoscenza fa sorgere la comprensione e la tolleranza reciproca» (p. 159).

Nel 1919, grazie ad un gruppo di attivisti che include Eglantyne Jebb e la sorella Dorothy, nasce il Fight the Famine Council con lo scopo di far revocare il blocco navale nei confronti di Germania e Austria, blocco che colpiva soprattutto i bambini. Il Fight the Famine Council svolge un’attività di pressione su governi e opinione pubblica e raccoglie dati sulla condizione delle popolazioni colpite dall’embargo. Come attivista del Fight the Famine Council, Eglantyne Jebb fa documentare fotograficamente le condizioni dei bambini che muoiono di fame e poi distribuisce le immagini durante le manifestazioni di protesta a Trafalgar Square. Nell’aprile del 1919, durante una di queste manifestazioni, Eglantyne Jebb viene fermata e successivamente processata. Nella risonanza mediatica ottenuta dal processo, Eglantyne Jebb intravede l’opportunità di comunicare il proprio pensiero ad un uditorio molto vasto e coglie l’occasione per annunciare, insieme alla sorella Dorothy, la fondazione del Save the Children Fund, un’organizzazione che dovrà portare un aiuto concreto ai bambini affamati da una guerra che continua nonostante l’armistizio.

Nel suo libro, Raffaela Milano ci ricorda che la fame è un’arma estremamente potente ed è utilizzata ancora oggi: «nel maggio del 2018, le Nazioni Unite hanno denunciato nuovamente l’uso della fame come metodo di guerra …. Nel 2018 quattro milioni e mezzo di bambini con meno di cinque anni erano in condizioni di malnutrizione acuta - ridotti quindi alla fame - nei dieci paesi al mondo più devastati dai conflitti. Afghanistan, Iraq, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Siria, Somalia, Sud Sudan, Sudan Yemen. È il 20% in più rispetto a due anni fa. Oggi come allora, direbbe Eglantyne Jebb, ogni guerra - giusta o ingiusta, perdente o vittoriosa - è sempre una guerra contro i bambini.» (p.74 e 75)

Nella fondazione e nella gestione del Save the Children Fund, Eglantyne Jebb riversa tutte le convinzioni  e le lezioni apprese nella propria vita. Impiega la sua grande capacità di fare rete per coinvolgere le persone più diverse e tenerle insieme, motivarle ad un’azione comune, il sostegno ai bambini stranieri, superando le resistenze dei comitati nazionali che preferirebbero aiutare i bambini del proprio paese anziché i figli dei nemici.

«Il nazionalismo deve la propria forza al suo appello alle emozioni. Il cosmopolitismo deve la sua debolezza al suo freddo idealismo intellettuale».

«Oggi gli armamenti nazionali, l’istruzione nazionale, la stampa nazionale … tutto contribuisce a espandere la sua influenza sul mondo. I nostri sistemi educativi sono impregnati della nostra mitologia nazionale, il nostro ideale è diventato quello della nazione in armi e il nuovo giornalismo continuamente nutre e alimenta le nostre passioni nazionalistiche. Una volta che ha usurpato le funzioni di una religione, il nazionalismo dimostra di essere più intollerante di qualsiasi religione.» (p. 121)

«Siamo esseri umani, e per noi è impossibile guardare dei bambini che muoiono di fame senza fare nulla per salvarli… Abbiamo un unico obiettivo: salvarne il più possibile. E abbiamo un’unica regola: aiutarli qualunque sia il loro Paese, qualunque sia la loro religione.» (p.79)

Nonostante il grande odio per la Germania, la prima raccolta fondi di Save the children è un grande successo e rappresenta la prima di una serie di eventi che daranno vita ad un’organizzazione di livello internazionale. Nel 1924 Eglantyne Jebb si impegna, insieme alla sorella Dorothy, alla stesura di una dichiarazione dei diritti dei bambini che viene accettata dall’Unione internazionale di Save the children con il nome di Declaration des droits de l’enfant e successivamente presentata alla Società delle Nazioni che l’approva nello stesso anno. Questa dichiarazione stabilisce due concetti fondamentali: il primo è che assistere un bambino in condizioni di bisogno non sarà più considerato un’opera di assistenza ma di giustizia e che i diritti dei bambini sono indisponibili per i genitori e per gli stati pur nel rispetto delle diversità. «Non ci sentiamo responsabili verso gli stranieri, eccetto forse che nell’imporre loro, quando possiamo, i nostri ideali e il nostro tipo di civilizzazione, come se questi fossero i migliori possibili per gli esseri umani» (p. 203).

Se volete sostenere Save the Children, potete farlo qui.