ovvero Il libro che pensavo di non saper scrivere
Ed eccoci all'ultimo titolo in uscita, per questi primi sei mesi dell'anno. È Zappe, stivali, rastrelli. La vita sopra, sotto, intorno all'orto, scritto da Barbara Bernardini autrice del fortunato e bellissimo Dall'orto al mondo. Piccolo manuale di resistenza ecologica, edito da Nottetempo nel 2023, e illustrato dalla mano inquieta e geniale di Viola Niccolai.
[di Barbara Bernardini]
Quando Giovanna Zoboli mi ha proposto di scrivere un libro sull’orto per i Piccoli Naturalisti Osservatori, PiNO, ho sfogliato gli altri testi della collana che avevo in casa per capire come avrei potuto impostarlo, da dove partire, cosa sarebbe stato importante metterci dentro.
Ho pensato che avrei dovuto immaginare un libro divulgativo su come coltivare un orto, perciò ho cominciato selezionando sette ortaggi, appartenenti a diverse famiglie, diversi fra loro per stagionalità e tecniche di coltivazioni, in modo da dare un panorama abbastanza variegato e il più possibile completo.
Ho cominciato a scrivere secondo quest’idea, ma le cose non andavano avanti: non ero sicura di nessuna informazione, non mi sentivo davvero in grado di dare indicazioni chiare e nette su come tenere un orto impeccabile, che desse raccolti abbondanti e sicuri.
Nel mio orto ci sono le erbacce, tutto è disordinato, a volte semino delle cose che non nascono, o muoiono strada facendo. Capita che arrivino degli uccelli che mi rubano tutti i semi, o degli insetti che bucano le foglie delle mie piante. Venivo giusto fuori da un inverno in cui i bruchi di cavolaia avevano mangiato tutti i miei broccoli.
Così ho smesso di lavorare su quel libro, e ho cominciato a rimuginare su come scrivere un’email per dire: mi dispiace, mi sa che questa cosa io non la so scrivere.
Sono tornata nell’orto, ad autocommiserarmi per la rinuncia e, passando fra quello che rimaneva delle piante dei broccoli, decine di farfalle di cavolaia si sono alzate in volo tutte insieme. Queste piccole farfalline bianche, con una macchiolina scura, venute fuori da quegli stessi bruchi che avevano razziato le mie piantine, e proprio grazie al nutrimento che ne avevano ricavato, ora mi stavano regalando della meraviglia.
Così l’email da scrivere era diventata che no, non avrei potuto scrivere un libro che insegnasse a tenere un orto impeccabile, ma che c’era una cosa che potevo raccontare, in un libro per naturalisti e osservatori: come osservare un orto. Come fare attenzione alla vita che c’è dentro un orto, e anche sopra, e tutto intorno, e soprattutto quella che c’è sotto.
Un libro che magari partisse dal trionfo del raccolto, ma che dicesse: oltre a questo c’è molto altro. Non importa solo raccogliere.
Ci importa di sperimentare – sperimentare diversi modi di seminare, annaffiare, progettare rotazioni e consociazioni fra ortaggi, pacciamare, fare il compost –, aspettare di vedere come va e poi imparare da successi e fallimenti, dagli errori tanto quanto si può imparare dalle cose fatte correttamente.
E poi ci importa di tutto quello che si muove sopra le nostre teste, mentre siamo indaffarati in un orto, e poi intorno a noi e, infine, come ultimo e più importante aspetto, cosa c’è sotto i nostri piedi.
Una cosa che ho imparato è, infatti, quanto sia vivo il suolo, quanto la terra su cui si coltiva sia la parte più importante di un orto, grande o piccolo che sia, e che non è così importante sapere a quale precisissima distanza vanno interrati i semi, ma è molto importante, invece, sapere come prendersi cura del suolo, e quanta vita, relazioni complesse e biodiversità nasconda al suo interno.
Ecco, di questo avrei potuto scrivere, lanciandomi nell’avventura, esattamente come faccio a ogni nuova semina: cercando di fare le cose al meglio che posso, senza vere certezze, ma con la curiosità di scoprire come va.
È venuto fuori che era esattamente questo che in casa editrice si aspettavano dal libro: non un manuale di orticoltura, ma uno strumento che insegnasse a guardarsi attorno nel piccolo mondo che è un orto, in una qualunque delle sue declinazioni – da un grande appezzamento in campagna a un piccolo barattolo sul davanzale della finestra –, una miccia che accendesse la curiosità di sapere da dove viene la frutta e la verdura che mangiamo, e anche quella che finora abbiamo rifiutato, una lente di ingrandimento che facesse scoprire quanto anche un orto può essere un piccolo ecosistema, ricco di vita.
Insomma: era chiaro anche a Milano, a circa 700 chilometri dal mio orticello, che il disordine fra le file di ortaggi è indomabile, ma la ricchezza di colori, di forme, di canti, di animali e di piante selvatiche era la cosa da raccontare e da illustrare.
Un territorio per me totalmente sconosciuto era il momento in cui dai testi si sarebbe passati alle illustrazioni – con diversi andirivieni: certe volte si tornava sui testi perché certe cose non serviva più scriverle, bastava mostrarle. Non ero sicura che qualcosa che per me è molto visivo – il mio modo di stare nell’orto è davvero da naturalista osservatrice, proprio come dice la collana – e che era diventato parole, potesse diventare nuovamente immagine tramite la testa di qualcun altro.
Nelle illustrazioni di Viola Niccolai il mio orto era diventato altro: eppure, anche dove appariva diverso, c’era un sentire che mi portava a casa. C’è un’upupa che ha la stessa fierezza dolce che mi pare di intravedere in quelle che si posano da queste parti. E c’è un temporale minaccioso e insieme liberatorio, come certi che capitano qui. Due lombrichi lunghi proprio come i due che avevamo ribattezzato Sora Rosetta (per via del colore) e Sora Lombretta (per una pura questione di rime baciate). E proprio come accade a ogni nuova semina, o forse quando si tenta un innesto, non sapevo bene come sarebbe andata a finire, ma sapevo che non dipendeva tutto da me: che, anzi, avevo solo una parte in qualcosa di più ampio. E, come nell’orto ci sono insetti, uccelli, fenomeni atmosferici, caratteristiche delle piante e del terreno, così in un libro illustrato c’è chi scrive e chi disegna, chi impagina e si occupa di grafica e parti calligrafiche (Anna Martinucci) e chi tiene le fila e indirizza, aspetta quando c’è da aspettare, e trasporta quando c’è da trasportare.
Il risultato, che in quell’angolo pessimista della mia testa poteva essere un caos totale, è stata una magia stupefacente proprio come quel volo delle cavolaie.
E come quelle farfalle, ora questo libro orto se ne andrà per il mondo: passerà davanti a qualcuno che resterà indifferente, a qualcun altro che lo scaccerà con un gesto infastidito. Ma qualcun altro invece lo seguirà a naso in su, per vedere se pioverà, o in giù per mettere un seme a terra.