"Gli Altri" e il gioco delle differenze e dell’alterità

[di Christophe Meunier]

Ciò che si pone, si oppone in quanto si distingue e niente è se stesso senza essere altro dal resto. (Marc Augé)

L’Altro, il non-io, colui che mi assomiglia ma non è me: una tematica affascinante proposta da Topipittori nel marzo del 2014 e ben presto tradotta in francese dalle edizioni Cambourakis, ad agosto dello stesso anno. L’albo è destinato ai bambini dai cinque anni in su e descrive la diversità delle persone viste attraverso gli occhi di una bambina.

Sulla copertina, molto colorata, si vedono alcune silhouette di profilo, volti e gambe disegnati all’acquerello, la cui tecnica consente di sovrapporre e mescolare i colori. In maniera programmatica, gli altri sono loro: questa diversità di volti, piedi e gambe delle figure che incrociamo nella nostra vita. Il frontespizio riprende questa idea della diversità riproducendo, sotto il titolo, un gruppo di persone in cerchio, dai colori diversi. Tra loro si distingue una figurina dal viso sorridente: è la narratrice del libro.


Risguardo iniziale

Ci sono altre tavole che considero significative e programmatiche. Per esempio, il risguardo iniziale e quello finale. In mezzo alla folla eterogenea, due bambini sembrano scambiarsi qualcosa: la ragazzina in verde che ci guarda mentre tiene un uccellino giallo sulle dita e un ragazzino in blu con il quale sembra conversare. Benché la diversità sia onnipresente nei colori, nei gesti, nelle età e nelle sagome, qui appare un’idea nuova: lo scambio. A me piace vederci quella sfumatura che il filosofo Emmanuel Lévinas ha introdotto negli anni Settanta tra diversità e alterità. In una relazione di alterità, riconosciamo l’altro nella sua differenza, tanto culturale quanto religiosa, ma, ciò che più conta, stabiliamo un impegno reciproco che Lévinas definisce una responsabilità reciproca.  


Risguardo finale.

In questo articolo, che essenzialmente verterà sull’analisi socio-spaziale dell’albo, vorrei, da una parte, osservare ciò che fa di questo albo una vera opera editoriale, che contribuisce alla creazione di un prodotto culturale socio-spaziale. Dall’altra parte, mostrare come la narrazione iconico-testuale porti il lettore a considerare la diversità come alterità nel senso in cui la intende Lévinas. Infine, vorrei concludere con uno studio della rappresentazione dei luoghi dell’alterità in questo albo e i loro diversi status. 

1. L’albo: luogo d’incontro tra Roma e Caracas

Sul blog della casa editrice, il direttore artitstico, Giovanna Zoboli, racconta le circostanze in cui è nato l’albo e di come la casa editrice Topipittori, fondata nel 2004, sia stata il cuore della sua produzione. Racconta di aver ricevuto, per prima cosa, il testo firmato da Susanna Mattiangeli. L’autrice, nata a Roma nel 1971, afferma che il testo de Gli Altri fa parte di una piccola serie di testi da lei scritti sul tema dell’alterità, alla quale appartiene anche Come funziona la maestra.

L’idea de Gli Altri è venuta a Susanna Mattiangeli guardando la gente in spiaggia: Ho scritto il primo abbozzo del testo per l’albo Gli Altri sulla spiaggia, guardandomi intorno. Al mare osservi tranquillamente pance e sederi di persone sconosciute, li confronti tra loro, puoi anche vedere gente che studia dettagli di altra gente con interesse scientifico. È uno di quei posti in cui, volendo, puoi soffermarti sul particolare minimo dell’unghia dell’alluce di una signora oppure avere un’intera folla nel campo visivo senza bisogno di spostarti troppo.

Il testo arriva dunque 'nudo' sulla scrivania dell’editore, pronto per essere illustrato da un illustratore o un’illustratrice. L’editore ammette di aver riflettuto a lungo prima di capire chi avrebbe potuto illustrarlo. La lampadina si accese per caso quando Giovanna Zoboli scoprì da un’amica un disegno raffigurante una caotica scena di vita urbana. L’opera era di un’artista venezuelana nata a Caracas, Cristina Sitja Rubio, ma che vive e lavora tra Berlino e Barcellona.

È allora che inizia il lavoro di icono-testualizzazione orchestrato dal direttore artitisco, che chiede a Cristina Sitja Rubio di creare una prima maquette dove è ben visibile ciò che il suo occhio era riuscito a cogliere: la vita urbana e il suo caos. In seguito, l'editore, Paolo Canton, chiede a Lorenza Natarella, grafica e fumettista, di mettere in scena il testo, cioè di tagliarlo e di ripartirlo in ogni doppia pagina. Lorenza sceglie la scrittura a mano di Anna Martinucci come nell’esempio di tavola I (pagine 10-11), che riporta il testo:

Se esci per strada, a une certo punto arrivano sempre. Hanno molte teste, molti piedi, molti odori. Hanno corpi di tutti i tipi, con molti vestiti, pochi e anche nessuno. Sembra non ce ne sianno due davvero identici. Ma è difficile vederli tutti insieme, perché sono cosi tanti.


Prima bozza della tavola

Realizzata la maquette, Cristina Sitja Rubio manda la prima bozza di una tavola la cui scena si svolge in una strada. L’attenzione è portata verso una ragazzina che, da un passaggio pedonale, saluta il lettore con la mano.


Tavola definitiva

Nella tavola definitiva l’obiettivo non è più stretto intorno alla narratrice. Si tratta di un piano largo e obliquo su un incrocio urbano. La strada è affollata e la narratrice non è più presentata in modo esplicito al lettore: gli unici indicatori della sua identità si troveranno nel risguardo e nel frontespizio. In questo modo durante tutta la lettura, la narratrice può confondersi con il lettore potenziale o con chiunque altro. Lo scorcio sulla casa, sulla parte sinistra della storia, è rimasto. Si vede la ragazzina uscire.

Lorenza Natarella sceglie di dividere il testo in tre blocchi. Il primo, situato sul muro della casa della ragazzina, fa eco alla scena mostrata sotto: se esci per strada. Gli altri due blocchi formano una V con il primo, suggerendo al lettore di esplorare la tavola e sorvolare la folla e la diversità. L’ultimo blocco, collocato all’estremità destra della tavola, invita a voltare pagina. Si può altresì notare il doppio percorso iconico e verbale: l’uno che parte dall’alto dell’immagine e segue la ragazzina mentre passa dal proprio spazio personale a quello pubblico; l’altro che parte dal basso. I due si uniscono nel punto in cui si gira la pagina.


Organizzazione grafica della tavola I

Com’è evidente, il rapporto tra il testo e l’immagine è molto stretto, interdipendente. Il lavoro editoriale ha avuto qui una parte preponderante nel mettere in relazione diversi collaboratori che hanno accompagnato il lavoro dell’autrice e dell’illustratrice. Sarebbe interessante conoscere la natura e il numero di scambi che ci sono stati tra l’editore e l’illustratrice così come tra l’illustratrice e l’autrice (sempre che ce ne siano stati).

2. Dalla differenza all’alterità

Concentriamoci ora sulla strutturazione dell’albo (cfr. figura xx). Il racconto iconico-testuale è composto da tredici tavole. La tavola VII (pp. 34-35) funge da punto di svolta del racconto dividendolo in due parti: la prima sull’esperienza della differenza e la seconda sull’esperienza dell’alterità.


Schema della suddivisione delle tavole

- L’esperienza della differenza (tavole da I a VI)

Nelle prime sei tavole, la narratrice prende atto della pluralità (tavole I e VI) e della diversità (tavole II, III, IV, V): gli altri sono molto numerosi e molto diversi.  Il testo della prima tavola inizialmente pone l’accento su ciò che Ricoeur definisce i caratteri della mêmeté [dal francese même, lo stesso, e soi-même, il sé. Letteralmente, medesimezza NdT]. Gli altri possiedono delle qualità fisiche che li avvicinano a noi, che fanno sì che ci assomigliamo. La molteplicità degli individui determina altresì che ciò che ci accomuna ci separa: si direbbe che non ce ne siano mai due uguali.  


Tavola II

Autrui est visage (l’altro è un volto) scriveva Lévinas e non è un caso che le autrici insistano, tanto nella narrazione iconica quanto in quella testuale, sulla diversità fisica: Ce ne sono con le trecce o con i ricci, senza capelli, con la sciarpa, col bastone. L’allusione del filosofo al volto si riferisce allo stesso tempo alle differenze fisiche che distinguono a priori il sè dagli altri; ma anche alla principale interfaccia che permette di stabilire un contatto tra questo stesso  e gli altri. Tornerò su questo punto in un secondo momento.

Dalla tavola V, l’altro è discorso e parola. Gli altri parlano, Si dicono barzellette, storie, bugie, parolacce [...]. Ci sono quelli che parlano difficile e quelli che si raccontano le cose da mangiare. Una volta superato l’impatto del volto, il narratore entra in contatto con il discorso altrui. Tuttavia, sebbene una tappa sia oltrepassata – quella delle prime impressioni – la narratrice rimane sempre dalla parte dell’osservatore.


Tavola V

La tavola V rappresenta una scena dentro la metropolitana. Lo sguardo del lettore è portato irresistibilmente verso una ragazzina seduta con una borsetta rossa tra le mani e degli auricolari. Questo personaggio sembra illuminare tutta la tavola grazie all’aura di colore chiaro che la circonda e alla biondezza dei capelli e dell’incarnato che contrasta con gli altri personaggi. Il presentimento dell’alterità è qui riassunto. La diversità circonda questa ragazzina che, con lo sguardo perso nel vuoto, ha deciso d’ignorarla sottraendosi virtualmente all’ambiente in cui si trova.  


Tavola VI

Nella tavola seguente, gli altri diventano persino una minaccia: sono dappertutto. Invadono l’intimità come se potessero spiarci. La scena della tavola VI si svolge in un angolo di strada caratterizzato da una brusca linea di rottura (ad angolo aperto). Da una parte (in basso), alcune persone bisbigliano mentre un ragazzo in blu sembra spiare le loro intime conversazioni. Dall’altra (in alto), degli sconosciuti multicolori, sagome senza volto, passano senza fermarsi, vivono senza preoccuparsi dell’intimità altrui. Come interpretare questa scena? L’opposizione tra la realtà e la percezione individuale? La strada come luogo di scambio e/o di semplice passaggio? Ecco, tutte queste idee appaiono mescolate nella doppia narrazione iconico-testuale.

-La chiave di volta (tavola VII)

La tavola VII spinge ancora più lontano il confronto con l’altro, negli spazi pubblici dell’intimo poiché la scena si svolge in un bagno pubblico. La tavola è tagliata in due parti uguali, separate da una diagonale che distingue i servizi da una parte, nei quali le persone possono isolarsi dagli altri grazie a una porta e a una serratura, la cui spia rossa avvisa l’altro che non può entrare, e dall’altra il vano di accesso, nel quale le persone dello stesso sesso s’incrociano.  


Tavola VII

In entrambi i casi, l’accento è posto sulla diffidenza verso l’altro. Se si va in un bagno pubblico bisogna stare attenti a non toccare niente intorno: la promiscuità organizzata spesso ci richiede di entrare in contatto tattile con l’altro. Di fianco ai caratteri della mêmeté che portano ognuno di noi a doversi spostare e ad avere gli stessi bisogni naturali, Mattiangeli evoca quelle piccole differenze che fanno tutta la differenza tra noi e gli altri, ciò che Ricoeur chiama l’ipseità [l’identità dell’essere individuale con sé stesso NdT]. Perché è sicuro gli altri si muovono molto, ma devono fermarsi a farla prima o poi <[...] ed è sempre meno bella della nostra.

- L’esperienza dell’alterità (tavole da VIII a XIII)

La tavola VIII propone un paradigma nuovo: e se smettessimo d’ignorarci e di essere diffidenti? [Gli altri] fanno quello che fai tu, ma lo fanno in tanti. E lo fanno a modo loro, che è il modo degli altri. La ripartizione della pagina permette di tornare all’opposizione tra mobilità e immobilità. Al centro della tavola, la luce e le macchie di colore scaturiscono da una strada trafficata. Nel lato sinistro, nel grigiore degli uffici, delle persone lavorano insieme, comunicano (per telefono, su internet, negli spazi di ristoro). Nel lato destro, due individui sono colti nell’intimità delle loro case, che vivono in modi diversi.  


Tavola VIII

Da questo momento l’atmosfera cambia. Nella tavola IX, per esempio, sebbene ci sia ancora qualche personaggio in sovrapposizione in primo piano, tutti gli altri personaggi della tavola sono ben distinti e chiaramente identificabili nella loro diversità. L’ampia baia della pizzeria si confonde progressivamente con il blu del mare. Una grande compattezza s’impone tra interno ed esterno. C’è qui uno scambio perpetuo tra gli uni e gli altri: Tutti sanno che queste cose non ci riguardano, perché sono fatti degli altri, infatti ascoltiamo ancora un minuto e poi torniamo subito a farci i fatti nostri.  


Tavola IX

La tavola XI si presenta, invece, in opposizione a ciò che ho precedentemente chiamato la chiave di volta dell’albo (la tavola VII). Anche questa immagine è divisa in due da una diagonale: da una parte (a sinistra), uno spazio a compartimenti nel quale i personaggi sono quasi statici; dall’altra (a destra), uno spazio di circolazione vuoto o quasi. Sul marciapiede, i personaggi comunicano attraverso i libri, i giornali, i tablet: Gli altri possono venire da altri paesi, parlare in modo strano e avere strani vestiti [...] Ma ci hanno lasciato un sacco di libri, dipinti, musica, storie e intere città. Ecco ciò che Lévinas avrebbe definito la consapevolezza dell’alterità. In questa relazione c’è impegno reciproco: sono responsabile dell’altro e per l’altro.  


Tavola XI

Questa presa di coscienza dell’alterità permette, nell’ultima tavola, di prendere un po’ di distanza, una sorta di distacco riflessivo dal sé come un altro. È una consapevolezza che si acquisisce dall’alto, con uno sguardo diretto verso il basso dove gli altri sono in movimento. Solo se ci stringessimo molto vicini, da un punto lontano del cielo potrebbero vederci tutti quanti in una volta sola, dice il testo. Questo piccolo passo indietro è necessario per affermare che io faccio parte degli altri. La scoperta dell’alterità si è trasformata in un’esperienza identitaria per la narratrice, che dimostra di fare proprio il percorso teorizzato dall’antropologo Marc Augé: alterità, pluralità e identità.  

3. I luoghi dell’alterità

Mi piaceva l’idea di rappresentare l’impatto che i luoghi hanno sul nostro modo di percepire gli sconosciuti, le persone di passaggio [...], spiega Susanna Mattiangeli. In effetti l’albo è anche il frutto di una riflessione sullo spazio pubblico, ovvero sui luoghi dell’alterità. Uso qui il termine luogo nel senso in cui lo intende Denis Retaillé. Il geografo distingue il sito dal luogo in questo modo:

Distinguerei dunque chiaramente [...] i luoghi, che sono delle circostanze più o meno durevoli, dai siti che li ospitano.

Così definiti, i luoghi dell’alterità sono gli spazi pubblici nei quali gli scambi interpersonali diventano possibili. Nell’albo, ne troviamo di due tipi: alcuni che richiedono una pratica statica, altri una pratica più dinamica. Attraverso questa distinzione ritroviamo un’opposizione che percorre tutto l’albo e della quale ho già avuto modo di parlare.

Nei luoghi di pratica statica possiamo notare un’ulteriore distinzione tra la staticità formale, come nei musei, ristoranti, bagni pubblici, uffici, spiagge, bar, parchi o librerie, e la staticità informale, per esempio nelle code d’attesa. I luoghi di pratica dinamica corrispondono a quelli che Claude Thiberge chiama gli spazi vuoti [o cavi NdT] della città, come le strade, gli incroci, le piazze. A questi vanno aggiunti i mezzi di trasporto pubblici, soprattutto la metropolitana (cfr. tavola VI), che appartengono alla categoria che io definisco gli spazi tubolari.   


Frontespizio

In tutti questi luoghi, il traffico è più o meno intenso e gli scambi interpersonali diventano possibili se s’innesca un segnale, come un volto che sorride: […] A volte, però, a sorpresa, fai ciao a uno di loro, così, a caso. Qualcuno risponde e sorride, qualcuno no.

L’illustratrice è partita da un concetto di albo denominato libro affollato brulicante. Questa terminologia rimanda evidentemente al seeking book e al wimmelbuch. Il principio concettuale è l'accumulo di personaggi: consiste nel giocare con la pluralità e la diversità. Qui Cristina Sitja Rubio aggiunge la sovraimpressione grazie alla tecnica dell’acquerello:la trasparenza che lascia intravedere diverse cose che contemporaneamente si sovrappongono.

L’ultima immagine è una vista obliqua su un’area urbana immaginaria e globalizzante che vuole rappresentare tutte le aree urbane del mondo. Vi si trovano spazi vuoti e anche delle sporgenze che rimandano a diverse città del mondo. Si distinguono la torre Eiffel, la Sears Tower (Chicago), la Swiss bank (Londra), i tram gialli di Lisbona ecc. Come indica il loro nome, queste sporgenze sono i soli indicatori che consentono di distinguere dove ci si trova. Gli individui non sono più differenziati e formano un insieme indissociabile chiamato loro.  


Ultima tavola

Secondo Marc Augé la rappresentazione che gli altri si fanno dell’altro e degli altri è l’oggetto di ricerca principale dell’antropologia. L’organizzazione dei siti formali o informali, statici o dinamici, nei quali avviene l’incontro con l’altro costituisce il cuore dell’indagine sulla dimensione spaziale del sociale. La presa di coscienza dell’alterità, la trasformazione dei siti in luoghi di scambio interpersonale è una questione altra.

Come dimostrato da Michel Lussault nel capitolo introduttivo di De la lutte des classes à la lutte des places, non basta creare un sito per avere un luogo e, ancora meno, una località. A titolo d’esempio, Michel Lussault cita la finta hall di un edificio costruita nel quartiere di Graville-la-Vallée a Le Havre nell’agosto del 2007 per ovviare allostravolgimento delle hall che, da luoghi di passaggio, diventano spesso luoghi di sosta. Risultato dell’operazione: la hall fu vandalizzata, incendiata e dismessa definitivamente tre mesi dopo la sua installazione!

Quale altro messaggio ci trasmette questo albo? Lo stesso messaggio. Esistono nelle aree urbane tanti siti quanti sono gli spazi in cui s’incrociano, si mescolano gli individui. E in questa confusione piena zeppa di volti, chi nota colui che ci sorride e cerca di stabilire un contatto, chi cerca lo scambio? Il lavoro di Susanna Mattiangeli, di Cristina Sitja Rubio e della casa editrice Topipittori contiene una vera e propria intenzionalità socio-spaziale che conduce il bambino dalla presa di coscienza della diversità e della pluralità alla scoperta dell’alterità. Non esistono soluzioni preconfezionate per la gestione degli spazi pubblici, ma piste possono aprirsi. Al bambino il compito di costruirle.