I regni dell'immagine/4. Con la coda dell'occhio

ConosceteAlan Bennett? Certo che sì: è quelloche ha scritto La sovrana lettriceche tutti avrete letto. E, se ancora non l'avete fatto, smetteteimmediatamente di leggere questo post e, così come siete, anchein accappatoio e con la testa bagnata, correte in libreria aprocurarvelo. Detto questo, oggi vi parleremo di un deliziosolibrino di questo autore che tratta di immagini e pittura, daltitolo L'imbarazzo della scelta. PerchéAlan Bennett ama molto andar per gallerie e pinacoteche al puntoda essere stato nominato trustee della NationalGallery e da aver dedicato trasmissioni radiofonichee televisive a questo tema. Bennett è una di quelle fortunatepersone che può parlare di qualsiasi argomento senza correreil rischio non solo di non essere noiosa, ma profondendo tesoridi umorismo e intelligenza. Insomma, una rarità. Leggere questolibro mi fa sempre venire in mente, a proposito di gallerie, quella scena in cui Audrey Hepburn, figliadi un falsario e innamorata di un falso ladro di opere d'arte, durante uncolpo in un museo parigino, nel tentativo di rubare la Venere di Cellini,si traveste da donna delle pulizie. Lei è Audrey, regina di eleganza,nessuno può crederla una colf, con quel corpo da gatta egizia. Ilsuo downplay la fa solo più splendente.

Lo stesso valeper Alan Bennett, quando afferma: Sui quadri in sé non sonosicuro di aver molto altro di significativo da dire, se non «Questi sonoi quadri che mi piacciono».  Bennett avvicina ogniopera d'arte come un passante che, dotato di limitati interessi artistici,per ripararsi dalla pioggia si infilasse per caso in una chiesa e lì sitrovasse davanti, che so, a un Caravaggio. Allo stupore per quel vividodramma di ombre e luci, mescolerebbe il buon senso e una certa crudapropensione al luogo comune, chiedendosi per esempio come sia possibileche santi oltre la settantina dispongano da fisici da centometristi.

JohnMillais, Isabella. Walker Art Gallery,Liverpool.

Quel che miincanta di questo sguardo, così britannico, infatti, è il registropiano, oserei dire basso, con cui, con consapevolezza del propriolimite ma senza complessi di inferiorità, avvicina l'alto. E per taleragione ritengo che i brevi saggi contenuti nel libro, possano essereutilissimi a chi si occupa di didattica dell'arte, e sia sempre allaricerca di modi e idee per avvicinare al sublime bambini e ragazzi. Inquesto libro, Bennett spiega in modo puntuale e preciso il suo rapportocon l'arte, il modo in cui da giovane ha cominciato a guardare quadri,e la ragione per cui molti di questi gli piacciano, lo attraggano,lo incuriosiscano o, semplicemente, lo divertano. Per esempio,sono molto interessanti le sue idee su come una precoce, e semplice,esposizione di menti giovani a oneste riproduzioni di opere artistiche,a scuola, a casa, in biblioteca, possa costituire un'ottima base perla formazione di una buona cultura visiva. Lo spiega con chiarezzaa proposito del compito, affidatogli dai supermercati Sainsbury's investe di mecenate, di selezionare quattro riproduzioni di quadri, dadistribuire, incorniciate, nelle scuole nei pressi dei punti vendita,corredate da dossier illustrativi. In queste immagini ne vedetedue fra quelli selezionati, di John Millais e Stanley Spencer.

Stanley Spencer,Southwold 1937. Aberdeen Art Gallery &Museums.

Il pensierova a una nostra nota catena di supermercati che da anni plagiaArcimboldo creando detestabili uomini rapanello e terrificanti canizucchina. A ognuno il suo.
Le considerazioni di Bennettsul perché delle proprie scelte sono illuminanti, oltre che, spesso,esilaranti. Quel che sempre colpisce è la confidenza che il suo sguardosa prendere con le opere su cui si posa. Il modo in cui le avvicina ele legge, in una dimensione umana che non teme l'errore, l'ignoranza,l'ingenuità e persino la stupidità. Nello scritto I quadriche mi piacciono, contenuto in L'imbarazzo dellascelta, e nato da un documentario televisivo sulla LeedsCity Gallery a cui Bennett collaborò, questo atteggiamentoviene fuori in modo esemplare, quando scrive, appena dopo la fraseriportata poco sopra:
 
Nellatrasmissione ho semplicemente pubblicizzato la mia personale ignoranza,sperando che ciò incoraggiasse altre persone che si sentono impreparatenel campo dell'arte a visitare la stessa Art Gallery. Dopotutto lacollezione di Leeds non è di quelle che incutono soggezione. Intantoè relativamente piccola, e chiunque abbia un paio di ore libere la puòvedere quasi per intero. A parte gli acquerelli, è incentrata soprattuttosul Novecento e ha alcuni dei migliori dipinti inglesi moderni visibiliin provincia.
La Galleria è anche accogliente e – meritotutt'altro che secondario – ha molti posti a sedere, spesso occupati dapersonaggi piuttosto eccentrici. Ma va bene così. Val la pena ripetereche la gente entra in una galleria d'arte per i motivi più svariati;alcuni, è vero, perché amano la pittura, ma per molti guardare iquadri non è la cosa più importante. Entrano perché piove, magariper rimanere un po' al caldo, o perché sono stanchi di stare in piedi;forse sono in anticipo per un appuntamento, oppure sperano dirimorchiare proprio lì – tutte ottime ragioni. Una galleria,in fondo, è un po' come un parco. Ma si può sperare, si può
confidare che l'arte «passi», che vengaassimilata con la coda dell'occhio. Perché la coda dell'occhio èl'ingresso di servizio della mente.


AndréDerain, Barconi sul Tamigi, Leeds ArtGallery

Ecco, inquesto passo Bennett usa un verbo, confidare,che non a caso evidenzia, e un concetto, quello di codadell'occhio come ingresso di servizio dellamente, che sono molto interessanti. E proprio con quest'ultimoconcetto conclude un altro suo bellissimo librino sull'arte daltitolo Una visita guidatache vi riporto:

Un altro equivoco èche anche le persone sappiano sempre quel che vogliono dalla NationalGallery. In realtà – e non lo dico in tono paternalistico – non losanno. Se i visitatori venissero solo per guardare i quadri la NationalGallery sarebbe un posto molto più vuoto.
La verità è chela gente viene qui per le ragioni più varie: per rilassarsi un po',o per ripararsi dalla pioggia, o per guardare i quadri, o magari perguardare le persone che guardano i quadri. C'è da sperare, anzi c'è dacontarci, che queste opere riescano in qualche modo a emozionarli, e che,uscendo, portino con sé qualcosa di inaspettato e di imprevedibile.
Voglio terminare raccontandovi di una persona che è andata afar spese e ora è stanca, o magari è appena uscita dal lavoro eha mezz'ora buca prima di prendere il treno a Charing Cross. Senzacercare qualcosa di particolare e forse senza neanche allontanarsitroppo dall'ingresso, si potrà imbattere nell'immagine di un balconedi Napoli del 1782 con dei panni stesi ad asciugare. È di ThomasJones e forse non si può neanche definire esattamente un'immagine; èpiù il frammento di un edificio – quel tipo di cose che si notanocon la coda dell'occhio. Ed è per questo, forse, che il pendolarestanco lo vede. Ma io ho grande fiducia nella coda dell'occhio e inquell'osservazione di E. M. Forster che ho gia citato: «Solo quello chevedi con la coda dell'occhio ti tocca nel profondo.»


ThomasJones, A Wall in Naples. National Gallery,London.

“Perguardare le persone che guardano iquadri” mi ha fatto tornare in mente quello che diceva Alberto Giacometti:“Una volta io andavo al Louvre e i quadri mi davano semprel'impressione del sublime. Adesso vado al Louvre, e non posso fare ameno di guardare la gente che guarda le opere d'arte. Il sublime perme adesso sta nelle facce di quelli che guardano”.
A breve, in un prossimo post, parlerò di questo secondolibro, che ha passaggi di smagliante intelligenza. E torneremosulla confidenza e sugli occhi.