Tra i colori simultanei di Sonia Delaunay
[di Elena Iodice]
Entro in corridoio che la campanella è già suonata. I bambini sono in classe. Lungo i muri, un ammasso colorato di zaini, berretti, felpe e maglioni. Fuori comincia a fare caldo: dentro si respira quell’atmosfera un po’ svagata tipica degli ultimi giorni di scuola. Passo davanti alle porte delle classi, aperte per far girare aria. Da dentro arrivano occhiate curiose, mani che si alzano in un saluto veloce. I temerari della quinta escono, vogliono trattenermi: riesco a divincolarmi e infilo lo scalone della sezione femminile della Scuola Crispi. È rimasta la dicitura, dipinta in facciata, memoria di un tempo che fu.
La sezione femminile della scuola Crispi, Vittorio Veneto.
La prima la riconosci dal fermento che difficilmente si riesce a contenere. Mi affaccio. Quasi all’unisono, diciotto paia di occhi si girano verso di me, scivolando poi sulla grande valigia che mi trascino dietro. C’è chi si alza per venirmi incontro, chi rimane al suo posto, scrutando ogni mio movimento. Appoggio la valigia: comincio a essere un po’ stanca dopo un anno così intenso. Non sono tranquilla: sarà per via di quella stanchezza sedimentata o perché lavorare con una prima non sempre è facile. Non sono una maestra, non li seguo ogni giorno, per tutta la durata dell’anno. Arrivo, come una meteora, su questo insieme di facce, colori, personalità che nonostante i nove mesi passati assieme, ancora non si è amalgamato. Gli equilibri sono instabili, le relazioni precariamente imbastite.
Per questi diciotto bambini ho scelto, dal mio mazzo di carte, il laboratorio su Sonia Delaunay. Avevo voglia, io per prima, di qualcosa di gioioso, che invitasse al gioco, che fosse un anticipo di quella pausa estiva ormai alle porte.
Sonia Delaunay posa con i suoi modelli.
Il libro che mi guida è una delle preziosissime edizioni MoMA Fatatrac: Sonia Delaunay, una vita a colori.
La storia parte dal ritrovamento della coperta che Sonia, secondo la tradizione russa, cucì alla nascita del figlio Charles, nel 1911: quella scoperta è il pretesto per un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio, alla ricerca delle suggestioni che influenzarono la sua arte.
Coperta per culla, 1911.
«Chiudi gli occhi», suggerì Sonia, «e segui il suono dei colori.»
Illustrazione tratta da Sonia Delaunay – Una vita a colori.
Ed eccoli, mamma e figlio, a Le Bal Bullier dove gli abiti fruscianti accompagnavano, con i loro colori, la musica dell’orchestra; o nei mercati di frutta del Portogallo dove Sonia visse e lavorò assieme a Robert, il marito, riflettendo su quella luce così intensa da cambiare la qualità, ancora una volta, dei colori; ad Amsterdam, infine, dove quei toni, quelle luci, quei movimenti prendevano forma nei tessuti che Sonia cominciò a disegnare.
Le Bal Bullier, 1913.
«Tutto è sentimento, tutto è vero. Il colore mi dona gioia», dice Sonia Delaunay in un' intervista con Jacques Damase, dal documentario di Patrick Raynaud Prises de vue pour une monographie, 1972.
Il libro finisce, ma il racconto continua. Sonia e Robert intrecciano le loro mani e seguono le strade ancora inesplorate del colore astratto: campiscono forme pure (quadrati, rettangoli, cerchi) di colori uniformi e le giustappongono, le accostano per tentare di capire quale reazione prenda vita. Capiscono che quelle campiture, una volta considerate insieme, si muovono, danzano, cambiano la propria natura, galleggiando in superficie in modo indeciso e poetico. Costruiscono, così, la teoria dei colori simultanei.
Electric Prisms, 1913.
A questo punto, come Charles, anche noi abbiamo bisogno di capire: scorriamo le opere di Sonia, proviamo a immaginare la musica prodotta da quelle campiture giustapposte. L’orfismo, termine sotto cui la Storia dell’Arte raggruppa quelle opere in cui le scomposizioni di colori, dinamici e simultanei, acquistano un valore autonomo rispetto al soggetto del quadro, si sperimenta come un gioco. Che rumore fa questo giallo accanto a questo blu? Quale suono produce l’alternanza di righe e punti, di zig-zag, losanghe, serpentine e cerchi? Dalla valigia estraggo carte su cui sono riprodotti tessuti e bozzetti di Sonia.
Textures e trame dei tessuti disegnati da Sonia.
Percorriamo con le dita le linee, saltelliamo sui pois, cerchiamo analogie e differenze. Vedono mondi, i bambini, dietro a quelle geometrie: per loro l’astrattismo è meno impervio che per noi adulti. A ogni bambino affido una sagoma in cartoncino nero: le ho ritagliate partendo dalle figurine che Sonia usava e che ancora si possono osservare presso l’Archivio Delaunay a Parigi.
Le figurine ritagliate partendo dai bozzetti originali di Sonia.
È importante, per me, restare fedeli al testo, non allontanarsi troppo dal percorso che l’artista ha compiuto. È vero, avrei potuto ritagliare sagome più semplici, più vicine a quelle immagini che noi adulti troviamo più consono consegnare ai bambini, ma io so che per arrivare a lei, a Sonia, occorre partire proprio da quelle figurine senza piedi e senza mani, quasi sagome neutre, astratte, capaci di far risuonare, per contrasto, i colori simultanei, i prismi elettrici con cui Sonia creava.
Bozzetti originali e prove di sartoria.
Cominciamo a ritagliare: le forbici seguono quelle linee che le dita, poco prima, hanno tracciato. Una piccola cantilena: «Seguiamo la geometria, seguiamo la geometria», nata chissà da chi, passa veloce di bocca in bocca, accompagnando il lavorio delle mani e degli occhi. Non è facile, non è immediato: la tentazione di percorrere quelle strade che già si conoscono è forte, ma, in un processo virtuoso, si osserva chi, per primo, ha capito e così i pezzi cominciano a uscire da questi tessuti di carta.
Momenti di laboratorio.
È questo il momento in cui, io, potrei anche sparire. Il segreto è svelato, le regole chiare: le mani procedono da sole. Una blusa, un vestito appuntito, una gonna dentellata. Nessuno si pone il problema di quanto strambe siano quelle creazioni. Appartengono al mondo di Sonia, non serve altra legittimazione. Si cercano contrasti di colore perché “così i vestiti suonano”.
Anche i più timidi, ora, azzardano: escono, da quelle piccole mani, abiti in movimento, elementi interscambiabili, accessori dalle forme bizzarre ma mai slegate dalla geometria dei tessuti da cui sono generate. Dietro a ogni creazione si comincia a delineare una storia, un ambiente: «Questo è perfetto per andare al mare perché il vento muoverebbe tutte le frange.»
Io sono confinata al ruolo di semplice assistente: buco, col perforatore, quei piccoli abiti simultanei per fissarli alla sagoma nera.
È così forte, ormai, la percezione di essere dentro quell’atto creativo proprio dell’arte che anche la posizione dei buchi non può essere casuale: vengo guidata, indirizzata perché il fermacampione, il piccolo cerchio nero, trovi il suo spazio dentro la geometria complessa dell’abito. La cosa più stupefacente è assistere al processo di sottrazione che precede il momento in cui loro, i bambini, arrivano a decretare che l’opera è finita: togliere pezzi, resistere alla tentazione di accumularli è riprova del fatto che c’è un controllo cosciente sul proprio lavoro. Mettere da parte un cappellino, per quanto ben ritagliato e ben fatto, è segno di come sia chiaro che i segni che compongono un’opera d’arte debbano essere in equilibrio, che quei vuoti, quelle pause nella composizione, siano fondamentali all’accordo puro di forme e colori.
Abiti simultanei.
È difficile interrompere il processo, ora che lo si è attivato: le forbici devono quasi essere sfilate dalle dita. Qualcuno si intasca un po’ dei ritagli caduti per terra, altri aggiustano le creazioni spostando di pochi millimetri le forme.
Un tesoro di ritagli da cui attingere a piene mani.
Non possono, ora, quegli abiti simultanei, rimanere chiusi negli armadi. C’è un’urgenza di mostrarli, confrontandoli con quelli degli altri, scoprendo quanto diverse siano le traiettorie seguite, pur partendo da punti in comune. Non ci saranno cartelloni, questa volta, nessuna esposizione statica. Sonia non l’avrebbe amata. Ho preparato, invece, per loro una passerella di polistirolo dipinto con tanto di backstage e tenda scenica, sottratta a uno dei miei campionari da architetto.
La passerella in polistirolo costruita partendo dalle geometrie dell’artista.
Uno alla volta, questi giovani rappresentanti dell’orfismo si preparano e portano in scena le loro opere. Nel silenzio di quel corridoio deserto, tra gli sguardi curiosi che ogni tanto fanno capolino dalle aule vicine, la tenda si apre e le creazioni prendono vita.
Prove di catwalk.
Che la sfilata abbia inizio!
Come ricordo, ad ogni bambino, una carta da gioco disegnata da Sonia.
Il piccolo cahier coi bozzetti e i disegni originali di Sonia.
Caterina e la sua carta.
Bibliografia:
Sonia Delaunay, Una vita a colori, a cura di Cara Manes, illustrato da Fathina Ramos, MoMA Fatatrac.
Madame Sonia Delaunay, di Gerard Lo Monaco, Tate Gallery Pubn.
Sonia Delaunay: Fashion and Fabrics, di Jacques Damase e Sonia Delaunay, Thames & Hudson.
Sonia Delaunay, di Anne Montfort e Cecile Godefroy, Tate Gallery Pubn.