Nella luce del foglio bianco

Il blog si apre oggi, 5 settembre, con la prima novità dell'autunno A volte sparisco, di Francesco Chiacchio, della collana Topi Immaginari, inaugurata nell'autunno 2021 da Infanzia di un fotografo, di Massimiliano Tappari. Oggi Francesco su queste pagine racconta come è nato questo libro che attraversa la memoria, i ricordi, le storie delle persone in punta di matita e di penna.

[di Francesco Chiacchio]

Sono sdraiato sul divano, schiacciato dal peso gravitazionale di alcuni pensieri neri. D’un tratto s’illumina lo schermo del mio telefono, silenziato e abbandonato sul pavimento, a pochi passi da me. Allungo un braccio e leggo il messaggio in bottiglia, rotolato sulla riva di pixel del mio smartphone. Mi scrive Chiara, una cara amica: «Devi vedere questo film, Dean, di Demetri Martin. Mi ha ricordato di te.»

Allungo l’altro braccio e recupero l’iPad, affogato tra le pieghe del divano. Cerco il film, lo trovo, e spingo play. Sono d’accordo, i film non andrebbero mai visti su schermi piccoli, ma quel giorno il peso di certi pensieri avrebbe schiacciato anche un campione di volontà.

Il film è una commedia lieve, che narra la vicenda di un giovane uomo, che perde la madre, e si trova ad affrontare un dolore nuovo. Dean, il protagonista, nella vita è un illustratore, e la morte, con la sua falce inseparabile, comincia a comparire nei suoi disegni ironici sotto forma di personaggio e a instaurare con lui una sorta di dialogo muto.
Per farla breve, che non sono qui per scrivere una recensione del film, succede che finiti i i titoli di coda, mi sono alzato finalmente dal divano palude e ho cominciato, senza averlo premeditato, a disegnare e a scrivere insieme. E così, dopo essere sparito dietro l’ombra dei pensieri pesanti, eccomi ricomparire segno dopo segno, nella luce del foglio bianco. Proprio come faceva Dean.

Negli ultimi anni passati, ho perso anche io mia madre, e poco dopo, un amico. Alla soglia dei 40 anni ho scoperto la morte, quella cosa molto particolare che può accadere in ogni momento, ma che a volte dimentichi faccia parte del pacchetto completo che accetti di sottoscrivere nell’attimo in cui nasci. E,  soprattutto, vuoi convincerti, che non possa accadere davvero alle persone vicine, quelle a cui vuoi più bene. Quando è successo, ho trovato molti modi per sfuggire al vuoto che lasciavano certe grandi sparizioni. Ma appena ho poggiato la punta della penna sul foglio, è stato come aprire la porta all’ignoto, invitare finalmente il Babau alla mia tavola, e scoprire che il grande vuoto poteva essere nuovamente riempito.
Un flusso di ricordi senza ordine preciso è entrato nella mia stanza: musiche, odori, immagini. Nel tragitto quotidiano a piedi, dalla casa allo studio, ho provato a ordinare in versi tutto quello che si affollava nella mia testa, per poi continuare al tavolo, aggiungendo i disegni. Un giro di chitarra, mi ha riportato alla memoria Emile, una gatta che avevo sposato da bambino, sotto un ulivo dove lei si affilava le unghie. 

Ho scoperto che seguendo l’odore di legna bruciata, potevo tornare alla casa dove ero nato, in ogni momento che volevo. I miei occhi, due linee sottili, potevano trasformarsi nel volo di un uccello, e attraversare le pagine e il tempo. Ho scelto un segno estremamente semplice, una linea sottile che potesse mutare, trasformarsi, così come stavo facendo io stesso. Un capello caduto sul foglio poteva diventare un’onda di mare, la porta d’ingresso a un nuovo ricordo, così come la mia ombra poteva aprirsi in un precipizio dove cadere per poi ritrovarsi davanti a due occhi aperti e sciogliersi in un abbraccio.
Ho deciso di non preparare bozze, lasciare che i disegni uscissero fuori senza prove, nel modo più autentico possibile, per non tradire l’emozione del momento. Volevo che il primo segno fosse quello giusto e irreparabile. E dove non arrivava la parola, ho scoperto che poteva arrivare il disegno, in un dialogo continuo, come può essere quello che nella canzone fanno i testi con la musica. Ho avuto conferma che le parole contengono immagini, così come un disegno può produrre delle parole.

Ritrovando a casa di mio padre una scatola di disegni di quando ero bambino, ho capito che potevo tornare a quei primi anni Ottanta, e così ho fatto, come quando si prende un treno al volo: ho chiesto al me stesso più piccolo di disegnare insieme, di collaborare, e lui ha mi ha dato una mano per ritrovare la strada di casa.
A volte sparisco, perché ho trovato la strategia per sovvertire le regole del tempo e dello spazio, e sul foglio posso rincontrare chi non esiste più, chi è vivo e chi è morto, nello stesso momento, e rallentare la corsa di questa vita che, a volte distratta, vola via in un soffio. Mi capita di diventare la traiettoria di una mosca, di volatilizzarmi, di svuotarmi, ma quando ritorno, quando ricompaio, porto nella stiva un bagaglio ricco d’ informazioni, di sentimenti nuovi, di memoria utile a riempire quella che è la pagina bianca successiva, che mi aspetta.
E come  ho scritto nel libro, se la memoria è debole, o la connessione è interrotta, mi ricordo che tengo la penna dalla parte del manico e, così, invento!