Prendersi cura

Una sera, in un paesedi mare, cenavo su una terrazza. In basso c'era un piccolo giardino. Dueadulti e un bambino stavano finendo la cena, come me. Durante laconversazione al mio tavolo, li seguivo con lo sguardo. Dopo cena hannochiacchierato, poi hanno sparecchiato. Poi si sono spostati sulle sdraio,mentre il bambino giocava sull'erba. Quando è venuta l'ora dellananna, i genitori si sono alternati a mettere a letto il bambino. Poidi nuovo si sono seduti sulle sdraio, a chiacchierare. Infine, ormaiera tardi, hanno riordinato tutto prima del sonno: pulito la tovagliadi plastica, messo le sedie in ordine intorno al tavolo, raccolto igiocattoli sparsi, riposte le cose utilizzate durante la giornata,come probabilmente tutte le sere. Infine, sono entrati in casa, hannochiuso la porta e dalla persiana ho visto la luce spegnersi. Mentreli osservavo, ho pensato che quei gesti non si spiegassero tanto comeincombenza pratica. Ma che la loro ragione più vera fosse legare unordine individuale a un ordine universale; fossero, cioè, un omaggioal giorno finito e una specie di preghiera rivolta alla notte. Unaricomposizione fra buio e luce. Mi sono apparsi, insomma, come una cosamolto antica. Grazie a quelle due persone, ho avuto l'impressione dicapire per la prima volta il concetto di cura. Una necessità di ordinee di senso che molto prima di essere pratica, funzionale, è gratuitae naturale: un bisogno biologico e simbolico. Dopo mi è capitatospesso di pensare a quelle persone.

Ci hopensato anche mentre guardavo un film che mi è parso molto bello: Ida del regista polacco Pawel Pawlikowski. Protagonista del filmè una ragazza giovanissima. Prima di prendere i voti nel conventodove ha sempre abitato, ospitata come orfana, a Ida, interpretatada Agata Trzebuchowska, viene rivelata l'esistenza di una zia chenon l'ha mai voluta conoscere (nel film, Agata Kulesza). La madresuperiora impone a Ida di andare a trovare questa parente, prima didecidere per sempre della propria vita. Dietro la decisione della zia(importante magistrato e funzionaria di partito) di celare alla nipote la propria esistenza, si nasconde la volontà dinasconderle le proprie origini ebraiche.


L'incontro fra zia e nipote, nonostante la diffidenza reciproca,crea in entrambe la necessità, non più procrastinabile, di fareluce sulla storia di famiglia. Ristabilire la verità coincide inquesto caso con il ripercorrere, tappa dopo tappa, gli eventi dellastoria di famiglia, per ricomporne l'ordine corretto da cui possaemergere la verità. Per entrambe tale ricerca si configura come unaprova, anzi, la prova. Il coraggio di affrontarlaviene a entrambe dalla necessità di portare a termine il compito,biologico e simbolico, della verità. Perché anche in questocaso, la possibilità di ricomporre un ordine, che qui coincidecon quello dei fatti che consentono di accedere alla verità, lapreghiera da rivolgere per ritrovare il senso di sé e delle cose,avviene attraverso gesti di cura.


Nella scena più tremenda, che non descrivo perchéquesto film, sebbene non sia un thriller, va visto senza conoscernei dettagli, i gesti delle due donne sono contrassegnati dall'infinitoaffetto che, anche in circostanze durissime, ha “il prendersi curadi”. Un affetto che riesce a rammendare anche le lacerazioni prodotte dauna violenza che appare immedicabile. Nella storia di Ida, questi gestisfidano il tabù e il terrore della morte, e pertanto qui la potenzadi un gesto di cura assurge al suo pieno significato che è quello diriparazione del tessuto della vita stessa e della sua radice. Un gesto cheè personale e impersonale al tempo stesso.

All'iniziodel film, vediamo Ida, in convento, concentrata nel restaurare la testa diuna malandata statua di Cristo. I suoi gesti sono precisi, esatti, il suosguardo è concentrato, attento. Sono gesti e sguardi rigorosi e al tempostesso amorosissimi. Senza quel tirocinio alla cura, attraverso la praticadell'attenzione e del gesto, si ha l'impressione che questa giovanissimanon avrebbe potuto affrontare i fatti, seppelliti in un silenzio infame,di cui il suo destino è la conseguenza. Un destino che torna nelle suemani grazie a un gesto coraggioso, preciso, attento, esattamente comequello di un appassionato restauratore.