Scolari

Fra le molte cose che ho pensato osservando i magnifici quadri esposti alla mostra in corso ad Alba, presso la Fondazione Ferrero (aperta fino al 15 febbraio) Felice Casorati. Collezioni e mostre fra Europa e Americhe, una è che fra i soggetti più frequentati del pittore piemontese ci sono i bambini. Fin dall'inizio del suo percorso, a cominciare dalla strepitosa Bambina che gioca su un tappeto rosso: effetto di sole, del 1912, sono numerosissimi i quadri in cui in primo piano appaiono bambine e bambini, ragazze e ragazzi.

Sono ritratti, come quello di Renato Gualino (1923-1924), ma anche scene di vita domestica  o quotidiana, come l'incredibile Beethoven (1928) o Ragazze al mare (1941), oppure opere a soggetto mitologico o religioso, come Icaro (1936), Narciso (1941) e San Martino (1939). In tutti i casi colpisce la finezza di visione di Casorati, la messa a fuoco psicologica dei soggetti, la misura di sguardo che posa su infanzia e adolescenza.

Felice Casorati, Bambina che gioca su un tappeto rosso: effetto di sole, 1912.

Il quadro che più mi ha colpito, fra questi, è Scolari del 1928. Trovate una interessante descrizione di questa opera sul sito Il museo della Scuola ovvero Il museo digitale della scuola primaria italiana. Uno spazio di immagini, documenti e memorie di ciò che è stata la scuola elementare italiana dalla sua fondazione nel 1861 ad oggi (uno spazio dedicato alla scuola da tenere d'occhio).Perché possa colpire una immagine di scuola così poco convenzionale, si capisce facilmente osservandola. Colpiscono le differenze fra le diverse fisionomie dei ragazzi, che rispondono a un'idea di volto come luogo, impenetrabile, dell'identità. Colpisce la capacità di cogliere l'irregolarità come tratto saliente della persona, irriducibilità a un canone, a una idea precostituita. Colpisce la rappresentazione di uno spazio abitato dal sapere - strumenti, simboli, esseri umani -, ma dove è assente l'aula come incarnazione dell'istituzione scolastica.

Felice Casorati, Scolari, 1928.

Insomma, balza agli occhi, portata a galla da un segno coltissimo, nutrito di modelli classici e quattrocenteschi, l'attitudine a un pensiero non conforme su queste età. E qui sarebbe utile ragionare su come la conoscenza e lo studio dei classici siano strumenti indispensabili alla messa a punto di una visione del presente, della possibilità di esperirlo e rappresentarlo. E su come, paradossalmente, la loro ignoranza condanni alla riproposizione di luoghi comuni, modelli sorpassati, forme abusate (Basquiat da bambino copiava quadri nei musei di New York, cartoni animati e tavole di un celebre trattato di anatomia ottocentesco, il Gray; fu poi bocciato all'esame di disegno accademico).

Nel catalogo della mostra, edito da Silvana, nella scheda dedicata a Scolari si legge che il quadro, esposto alla XVI Biennale di Venezia del 1928, fu stroncato dal critico Ugo Ojetti, in un articolo su Il Corriere della Sera. Ojetti vide nell'ironia, presente nell'opera e riscontrata da altri critici, una componente negativa. Casorati, scrisse, «tenta di sfuggire nell'ironia, come fece già in gioventù, mutando, ad esempio, questa fila di Scolari in fantocci.» Commenta il curatore del catalogo: «Pesa sul giudizio il ragionamento generale sul disimpegno, sul "divorzio fra pittura italiana e vita italiana" che il critico lamenta dopo aver citato l'appello del 1924 di Mussolini per un'arte sottratta a speculazioni troppo cerebrali [...] portata a contatto delle moltitudini.»

Mi sembra interessante focalizzare l'attenzione su due elementi: che Ojetti definisca fantocci gli Scolari di Casorati; che lamenti il divorzio fra vita e pittura, indicando a monito le parole del Duce: sottrarre l'arte "a speculazioni troppo cerebrali" e portarla "a contatto delle moltitudini". Considerazioni che indicano quanto le rappresentazioni, le forme dell'arte, lo stile che ogni artista elabora siano, in quanto visioni, punti di vista sulla realtà (il che non ha nulla a che vedere, naturalmente con il realismo come scelta estetica), una preoccupazione costante per chi esercita il potere, che sia politico, religioso, intellettuale, ideologico, spirituale, culturale. Insomma, le scelte di un'artista sono sempre scelte politiche.

Il modo in cui si sceglie di rappresentare i bambini, i ragazzi, l'infanzia e l'adolescenza, è, in particolare, un terreno strategico cruciale, a cui i poteri sono sensibilissimi, perché anche attraverso le immagini si gioca la partita dell'educazione e dell'istruzione come pratica di controllo o, in opposizione, di libertà. L'immagine degli Scolari di Casorati con il suo silenzio, il suo mistero, interroga l'osservatore, lo fissa apertamente da una distanza che spiazza. Mi ha fatto venire in mente Manuele Fior quando, nella conversazione con Emilio Varrà (Intervista su L'intervista, edita da Hamelin in occasione della mostra al MAMbo organizzata da Bilbolbul nel 2014), dice di aver portato nel suo fumetto "la scala dell'incommensurabile, grande, incomprensibile, alla scala del molto familiare. [...] Che poi questa non è un'invenzione mia, è nata con Spielberg la capacità di mettere queste due cose insieme."

In verità, a essere giusti, questo modo di procedere è noto ad artisti e scrittori da sempre. Henry James affermava che “i misteri si trovano alle nostre porte”, e Freud nei 1919 mise a fuoco con precisione il concetto di perturbante, come fondamentale categoria estetica nell'arte del Novecento. Perturbante che coincide con la compresenza nel medesimo oggetto di misterioso e familiare, consueto ed estraneo.

Non è un caso, allora, che Ojetti definisca i bambini di Casorati fantocci, cioè esseri inanimati: il concetto di perturbante riguarda proprio l'incertezza intellettuale, il dubbio che un essere vivente sia in realtà morto; e che un oggetto inanimato sia, invece, vivo. In questo senso è clamoroso come il termine fantoccio, brutale e caro al lessico fascista, sia invece la spia di una angoscia affiorante, di una crepa nel tessuto compatto delle sane certezze sull'infanzia care alle 'moltitudini', ai critici di regime e agli artisti 'non cerebrali'.

Il disagio che il bambino, alieno e insieme figlio, può ingenerare nell'adulto, che sia in carne e ossa, dipinto o disegnato, dovrebbe essere sempre presente in chi si occupa di bambini, e fare riflettere.

Felice Casorati, Beethoven, 1928.