Stare a vedere

[di Paolo Colombo]

Come immagino per moltissimi altri, la quarantena è stata anche l’occasione forzata per cercare di fare ordine, nelle cose e nelle idee. Lavorando con e per i bambini, attraverso laboratori nelle scuole, percorsi di promozione alla lettura e in teatro, mi trovo oggi – come tutti coloro la cui attività prevede necessariamente la vicinanza e la relazione con delle altre persone – a dover ripensare, reinventare, riorganizzare le varie declinazioni di quella cosa incerta e mutevole che ogni tanto provo a chiamare “la mia professione”.

Uno dei modi in cui questa professione si è manifestata negli ultimi anni è stata la proposta di occasioni di formazione per adulti sugli albi illustrati; è questo uno dei cassetti mentali che ho tentato di riordinare durante le ultime settimane. Anzi, più che un cassetto è una cassettiera, o un comò, in cui le cose sono state gettate alla rinfusa per lunghissimo tempo. Quanto il riordino sia lungi dall’essere concluso risulta senza dubbio evidente da quanto segue.

Primo cassetto: la formazione per adulti

Al piacere della divulgazione si è accompagnata fin dall’inizio la forte convinzione che una progettualità organica nell’ambito della promozione della lettura non possa esimersi dall’offerta formativa agli adulti per svariati motivi: perché sono coloro da cui dipende che l’incontro tra libri e bambini avvenga (oppure no); perché sono coloro che solitamente scelgono (o non scelgono) quali libri fare arrivare tra le mani di quali bambini; perché noi adulti possiamo essere e diventare sempre più consapevoli delle implicazioni che questa scelta comporta e della ricchezza che questo incontro può generare. Nel percorso di affinamento dei propri strumenti critici, un punto di partenza che ho provato a condividere coi i partecipanti ai vari incontri è stata l’analisi del singolo libro. Insomma, stare a vedere prima di tutto che cosa effettivamente un libro dice e mostra, e come.

È sicuramente una banalità, ma siccome il rischio – ben noto a chi si occupa professionalmente di letteratura per l’infanzia – è un giudizio troppo sbrigativo e l’affrettato inserimento di un libro in un determinato percorso bibliografico, tematico, per età e così via, stare a vedere mi pare un approccio prudente. Anche perché non avendo una specifica educazione nel campo delle arti visive, per me è ancora centrale il momento dell’esercizio dello sguardo, letteralmente del suo allenamento, che è tra l’altro la medesima condizione in cui si trovano i bambini. E così ci si rende conto facilmente che guardare è un’operazione molto complessa, dalle mille diverse sfaccettature e implicazioni. Così come non esistono due parole dal significato perfettamente identico, non esiste neppure un’assoluta sinonimia visiva: i libri con figure ci insegnano che guardare, vedere, osservare, ammirare, notare, assistere, distinguere, discernere, adocchiare, intravedere eccetera sono verbi che indicano differenti attività per gli occhi e per il cervello e che illuminano un angolo di mondo di una luce particolare e unica, suggerendo inattese associazioni, suscitando molteplici emozioni e ricordi e invenzioni.

Secondo cassetto: guardare

Una guida preziosa in questo percorso verbale è stato Imagem, edito da Planeta Tangerina, in cui Yara Kono illustra una poesia di Arnaldo Antunes. Il libro è una vera e propria celebrazione della versatilità dello sguardo come atto conoscitivo del mondo ed è stato interessante usarlo come lente critica nell’analisi di altri albi illustrati. Per esempio, un esercizio che abbiamo tentato in gruppo è stato: come cambia la mia percezione di un libro se lo considero all’insegna del notare, piuttosto che dell’assistere? Se lo intravedo o lo osservo? Se lo fisso o se lo guardo?

Da Imagem, di Arnaldo Antunes e Yara Kono (Planeta Tangerina, 2016).

O ancora, un altro possibile esercizio è stato questo: avendo a disposizione una bibliografia varia e composita, quali libri colloco sotto il segno del vedere e quali dell’avvistare, dell’esaminare, del contemplare? E, a seconda della scelta, come muta la mia visione sul singolo albo e sulle relazioni che si instaurano con gli altri?

Da Imagem, di Arnaldo Antunes e Yara Kono (Planeta Tangerina, 2016).

Questi vari tentativi hanno forse lo scopo di cercare di liberarci da quelli che Matisse chiama i «pregiudizi degli occhi», cui siamo spesso ricondotti dalla valanga di immagini precostituite che ci travolge quotidianamente e che ci impedisce, nell’atto della lettura, di adottare la prospettiva che il libro stesso di volta in volta ci propone, invitandoci a sperimentare lo specifico tipo di sguardo suggerito da quelle figure e dal modo in cui l’autore le ha collegate tra loro.

Terzo cassetto: esplorare

Se il nostro sguardo si mette al loro servizio, gli albi illustrati si rivelano per i bambini (ma anche per noi adulti) un paesaggio multiforme e ricco, fertile di grandi scoperte. Per definire la vastità dell’orizzonte speculativo che si spalanca qualora si considerino gli albi illustrati come spazi esplorabili, fecondi di incontri e illuminazioni, un punto di riferimento importante è stata l’ambiziosa domanda di uno dei grandi maestri, Maurice Sendak, che a proposito dei libri per l‘infanzia si chiede e ci chiede: «Qual è la tua visione della verità e cos’ha a che fare coi bambini?».

Prima ancora di immergersi nella varietà di risposte che ciascun libro propone, la perentorietà della frase di Sendak ci invita a considerare gli albi come possibilità per i bambini di autentiche scoperte filosofiche, esistenziali, emotive, metafisiche, scientifiche, artistiche, impreviste. E impreviste non significa solo inaspettate, inattese, non preventivate, ma anche, letteralmente, non pre-viste, non viste in anticipo, non viste ancora. Dal momento che la pre-visione può costituire un pre-giudizio, allora l’invito è innanzitutto quello di guardare, di sperimentare come le immagini stesse ci insegnino a vedere, a cambiare prospettiva, a ripulire gli occhi dalla polvere dell’abitudine, mostrandoci il mondo come se «tutto fosse stato rifatto da capo» [Beatrice Alemagna, Un grande giorno di niente (Topipittori, 2016)].
 Perché nei libri con figure è lo sguardo che innesca le narrazioni, che mette in moto l’apparente immobilità della pagina. Guardare fa accadere le cose. 
Questa è una possibile premessa, questa una possibile promessa di un libro illustrato.

Quarto cassetto: guardare insieme

Uno dei più graditi e inattesi frutti di questa attività di formazione è stata senza dubbio la nascita spontanea del gruppo di lettura di albi illustrati Zoom, un manipolo di appassionate e appassionati prossimi al fanatismo che si ritrovano a cadenza mensile presso la ludoteca La tana dei curiosi,  gestita da due Zoomers. Il nome è programmatico: ci riuniamo per guardare insieme, per tentare di guardare più addentro e meglio. Per maturare, col raro gusto di uno sforzo conoscitivo condiviso, un approccio critico sempre più consapevole e una riflessione sempre più articolata sul rapporto tra bambini e lettura.

Dopo qualche mese, abbiamo capito meglio come funziona il nostro Zoom, che a un appuntamento di approfondimento incentrato su un solo albo ama far seguire un’apertura di sguardo, come in una danza di allontanamento e avvicinamento dal multiforme oggetto costituito dalla letteratura illustrata. Così per esempio a una serata interamente dedicata a sviscerare ogni minimo dettaglio di Un grande giorno di niente di Beatrice Alemagna (Topipittori, 2016), abbiamo fatto seguire un incontro dedicato all’opera omnia (o quasi) dell’Alemagna stessa.

È stato entusiasmante scoprire insieme i rimandi e i parallelismi tra le varie opere, andando a scovare personaggi che migrano da libro a libro:

La bambina di vetro (2002) e Portraits (2003).

Jo singe garçon (2010) e La gigantesca piccola cosa (2011).

Notando oggetti, situazioni o dettagli che si ripetono:

Storia corta di una goccia (2004) e La bambina di vetro (2002).

La bambina di vetro (2002) e Jo singe garçon (2010).

I cinque malfatti (2014) e Piccolo grande Bubo (2014).

O riconoscendo come alcuni libri sembrino essere letteralmente figli di altri:

Che cos'è un bambino (2008) e Portraits (2003).

E questo conduce a un’altra banalità, che è sempre bello veder riconfermata: è stupefacente la varietà di visioni e intuizioni che emerge in virtù del contributo che ognuno riesce ad apportare ed è quanto mai appassionante seguire le imprevedibili piste che si dipanano ogni volta che un gruppo di occhi diversi si incontra sullo stesso libro, sulla stessa pagina, sullo stesso dettaglio.  Non sono mai uscito da un incontro Zoom senza saperne considerevolmente di più di quanto non ne sapessi prima. E di solito non faccio in tempo ad arrivare a casa che il canale Whatsapp del gruppo è già pieno di link, condivisioni, foto di libri, suggerimenti, articoli.

Durante la quarantena chiaramente il gruppo di lettura è stato fermo. Ci siamo però ripromessi di vederci in via telematica per un saluto prima dell’estate. Su Zoom, ovviamente.