[di Elisa Pastore*]
Avere un cane è un desiderio di molti bambini, come andare in bicicletta o giocare ai castelli di sabbia. Il desiderio di vivere con un animale ha un'origine ancestrale, ci dicono gli antropologi, pare che abbia a che fare con i nostri geni e, nonostante sia un desiderio naturale, è strano come faccia fatica a realizzarsi. Non perché il cane non entri nelle case dei bambini e delle bambine, ma perché spesso un cane non è quello che desideravamo, si rivela altro, a volte, nel peggiore dei casi, appare inadeguato. E allora che cos’è il cane per i bambini?
Questa è la prima domanda che ci siamo chiesti in aula, durante il primo incontro del progetto di zooantropologia Lo specchio animale del quale sono ideatrice e curatrice. Indagare l’immaginario è necessario per comprendere la forma, i colori e le ombre che questo animale porta con sé nel pensiero di bambini e bambine. Chi di voi ha o vorrebbe un cane?, ho chiesto durante il nostro primo incontro. Tutte le mani si sono alzate all’istante, tranne un paio per ogni classe, i cui proprietari con coraggio hanno confessato la loro paura. Si può avere paura di un cane, come di tutto ciò che non si conosce. E proprio per loro ero lì.
“Io lo vorrei perché è peloso e mi piace accarezzarlo.”
“Io perché mi farebbe le feste quando ritorno a casa.”
“Io perché avrei sempre un amico con cui giocare.”
“Io perché ci dormirei insieme”.
“A me piace quando mi lecca la faccia.”
“A me quando insegue la pallina che gli lancio.”
“Io lo vorrei perché sono sicura che mi difenderebbe quando la mamma mi sgrida.”
“Io invece lo vorrei perché con un cane non mi annoierei mai.”
Per tutte queste ragioni è stato facile empatizzare con Millie, la protagonista di Voglio un cane non importa quale, scritto e disegnato da Kitty Crowther: anche Millie desidera tantissimo avere un cane, per gli stessi motivi per cui lo desiderano le alunne e gli alunni della scuola di Nardò, e per un motivo in più, una falsa illusione, che l’autrice usa come espediente per rompere l’equilibrio del racconto, e le sicurezze di noi lettori che, commossi, seguiamo le parole per conoscere il destino di Principe e di Millie.
Credo che il passaggio principale per instaurare una relazione autentica con un cane sia quello di conoscerlo, di attribuirgli i caratteri giusti, lasciando poi che ognuno ci metta i propri colori, perché, sebbene tutti i cani del mondo abbiano tratti in comune, ognuno, come noi creatura senziente, è dotato di altrettanti tratti individuali. Il cane è il miglior amico dell’uomo, ho scritto col gessetto rosa sulla lavagna. E poi, subito dopo, andando a capo, ho aggiunto: “E l’uomo è il miglior amico del cane?” Per diventare amici bisogna conoscersi, scoprirsi, raccontarsi, sapere per esempio quali sono le cose che il cane adora fare e quali, invece, detesta. Ci sono cose che Principe detesta: i croccantini e giocare con la palla. E altre che adora: il pesce fresco e le letture serali con Millie.
Così, abbiamo suddiviso in due parti un cartellone: da un lato abbiamo elencato le cose che piace fare ai bambini e alle bambine; dall’altro, quelle che piacciono ai cani. Ai bambini e alle bambine piace: il gelato, giocare, disegnare, andare al parco con gli amici, fare una passeggiata con mamma e papà, leggere un libro, la pasta al sugo, andare al mare, guardare un film, giocare a calcio, andare in bicicletta, fare la torta al cioccolato con la mamma. Ai cani piace: dormire sul divano, essere accarezzati, giocare con la palla, sporcarsi nella terra bagnata, avere un nome, dormire con noi, il pollo, dare la zampa, l’hamburger e la pizza, nascondere le pantofole di papà, mangiare l’erba, mangiare l’osso, saltare addosso alle persone e leccargli la faccia, sentire gli odori. Poi con una linea abbiamo collegato gli aspetti in comune, le cose che si possono fare insieme, che si possono condividere, proprio come si fa con gli amici veri.
Il cane 'astratto', in questo modo, ha cominciato ad assumere una forma più precisa, concreta. A questo punto ci siamo salutati.
Ci siamo ritrovati dopo una settimana e siamo ripartiti dal dialogo tra Millie e il vecchio signore che incontra al parco.
“Lui ti parla?”, chiede sottovoce l’uomo e poi, subito dopo, la saluta con un inchino. Sarà Principe a rispondere direttamente a questa domanda, svelando la sua abilità nel parlare.
Secondo voi, i cani sanno parlare davvero?, chiedo. No, i cani non parlano, rispondono in coro i bambini. Non parlano la nostra lingua, sebbene siano bravissimi a comprenderla, ma parlano il canese. Insegnare il linguaggio del cane a bambini e bambine di otto anni è stato facilissimo, molto più di quanto lo sia quando cerco di insegnarlo agli adulti. Quando il cane sbadiglia, significa che sta succedendo qualcosa che non gli piace molto; quando ci lecca la mano, vuole dirci che ci vuole bene; quando invece ringhia, ci sta dicendo che quella cosa lì proprio non vuole che la facciamo; se ci ringhia con la coda e le orecchie abbassate, vuole farci capire che ha paura. Dopo questa spiegazione, ciascun bambino ha disegnato il cane che parla, facendo attenzione alla mimica facciale e alla postura del corpo.
“Allora se il cane ringhia non significa che è cattivo?”, mi ha chiesto G. E subito fra i compagni c'è stato un gran brusio, e si è accesa una discussione tra chi era d’accordo e chi no. Poi T. ha alzato la mano e ha detto: “Anche a me a volte capita di gridare e di arrabbiarmi, ma non per questo sono cattiva, sto solo cercando di far capire agli adulti che quella cosa non la voglio fare, e il cane fa come noi.”. T ha usato correttamente se stessa come termine di paragone per spiegare il comportamento del cane e mostrarci quanto siamo simili, noi e i cani. Non potevo essere più soddisfatta.
Mettersi nei panni dell’altro, soprattutto quando l’altro appartiene a una specie diversa dalla nostra, era esattamente uno degli obiettivi del mio progetto di zooantropologia, finalizzato ad ampliare l’empatia e l’intelligenza emotiva di ciascuno, cosa di cui tanto ce molto bisogno. Anche questa volta era arrivato il momento di salutarsi.
Durante l'incontro successivo, insieme a me, c’era Frida, un cane terapeuta che lavora negli IAA (interventi assistiti con gli animali), quella che un tempo si chiamava pet-therapy. È stata lei a fare tutto, con la sua semplice presenza, con il suo osservare, fiutare, giocare, cercare il contatto, lasciarsi accarezzare, infilare il muso negli zaini, mostrare il suo talento nella ricerca olfattiva, mostrarsi tranquilla, felice di stare lì. I primi ad alzare le mani, quando ho chiesto chi volesse accarezzarla, sono state le bambine e i bambini che al primo incontro avevano dichiarato di aver paura dei cani. Erano cambiati, avevano scoperto, stupiti, di non avere più paura e, descrivendosi, l’hanno scritto con la penna blu sul quaderno, con gli occhi che brillavano, felicissimi, emozionati: un giorno che non dimenticherò mai. Frida ha conquistato il cuore di tutti, proprio come Principe ha fatto con Millie.
È questo il vero talento dei cani, riuscire a empatizzare con noi, a sentirci e a sintonizzarsi sul nostro stato d’animo. Usiamo il loro olfatto per scoprire chi ha il Covid e chi no, dove è seppellito il corpo di una persona sotto una valanga o per scovare un tartufo nascosto sotto terra. Gli studi scientifici sull’olfatto dei cani sono tantissimi, ma solo negli ultimi anni si sono sviluppati quelli sul contagio emotivo, ossia sulla capacità di “sentire” il cortisolo piuttosto che l’ossitocina, neurotrasmettitori che determinano i nostri stati emotivi come la paura o la felicità. Come a dire che la felicità ha un odore e il cane la sa riconoscere. Noi in classe abbiamo cercato di individuare dei semplici odori racchiusi dentro un vasetto di vetro. C’era la cioccolata, l’aglio, la terra bagnata e la lavanda e, a ogni sniffata che facevano, i bambini e le bambine associavano un’immagine o un’esperienza, o cercavano di indovinare il contenuto dei vasetti. Ci hanno provato anche le maestre e l’ultimo giorno, quando gli alunni hanno presentato il progetto, abbiamo invitato al gioco degli odori anche il dirigente scolastico e l’assessore all’istruzione.
Da questi incontri ho portato a casa testi, disegni, abbracci, voci, persino una maglietta con il disegno di un elettrocardiogramma a forma di cane, pensato dai bambini e dalla loro meravigliosa maestra. Mi hanno chiamato maestra, sebbene io non lo sia. A esserlo è stato il cane; io sono stata una semplice portatrice del suo sapere.
Un ringraziamento speciale: a tutte le bambine e i bambini della 2 A, 2 B, 2 C, 2 D, 2 E, 2 F della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo Polo 1 di Nardò; alle maestre e ai maestri che hanno accolto me e il progetto con entusiasmo e infinito calore; all’assessore all’istruzione del Comune di Nardò e al Dirigente Scolastico.
*Elisa Pastore è una medica veterinaria esperta in comportamento animale e divulgatrice scientifica.