Cittadini di classe

[di Letizia Soriano]

Ieri sera mi rigiravo nel letto pensando che il tema della cittadinanza mi sta veramente a cuore.

Che cosa si può fare dopo gli avvilenti risultati di questo referendum? mi domandavo.

Poi mi è venuto in mente che esiste uno spazio dove, in barba a qualsiasi risultato elettorale, possiamo comunque sperimentare la cittadinanza, l’appartenenza a un gruppo senza permessi e autorizzazioni, dove possiamo costruire liberamente la nostra identità. Quello spazio è la scuola.

La storia che racconto è successa davvero, qualche anno fa, con la mia classe Porto di Mare, una classe composta da bambini provenienti da nove paesi diversi: Marocco, Senegal, Albania, Cina, Macedonia, Bangladesh, Pakistan, Repubblica Ceca, Ucraina, con un solo bambino italiano del quale non eravamo mai davvero sicuri. C’era qualcuno che a volte diceva: maestra, ma lui non è italiano, ha detto che viene dalla Puglia!

I bambini Porto di Mare, oltre alla merenda, ai quaderni, ai calzini, spesso non avevano nemmeno i documenti. Io per fortuna non glieli dovevo né chiedere né controllare perché ero la loro maestra, non il loro carabiniere, però è capitato che questo li facesse sentire ancora più lontani, senza il diritto di essere come gli altri. Io che li conoscevo bene non volevo che si sentissero così, perché non era vero che non erano come gli altri. Cioè, erano diversi, come lo sono tutti i bambini fra loro, ma uguali. Per questo un giorno ho deciso che, almeno dentro la nostra classe, ciascuno di loro dovesse avere tutte le carte in regola. L’ho fatto semplicemente preparando una grande carta d’identità che abbiamo compilato insieme. Diciture come segni particolari, statura, stato civile sono risultati particolarmente incomprensibili e, dunque, molto divertenti.

Ci siamo occupati di: misurare le altezze, constatare il colore degli occhi, decidere quello dei capelli, suggerire contrassegni salienti, inventare indirizzi e residenze desiderate e introvabili.

Questi bambini non li guarda mai nessuno davvero, e a nessuno interessa quanto sono alti e di che colore hanno gli occhi.

Siamo stati anche abbastanza bravi con le impronte digitali (solo pennarelli a punta grossa) e con le date di nascita. Quando abbiamo finito di guardarci e di misurarci, tutti si sono messi in fila per ricevere il timbro sulla carta d’identità; si poteva scegliere tra scimmia, tigre, gallo, coniglio e koala. 

Poi ciascuno ha disegnato il suo autoritratto nello spazio apposito. In un secondo momento la sottoscritta, in collaborazione con le sue manie di grandezza, si è autoproclamata Presidente della micronazione Classe e ha concesso a tutti la cittadinanza per eminenti servizi resi alla maestra, dunque per averla fatta ridere, ragionare, imparare, pensare e crescere. E anche per aver ascoltato, fatto i compiti, letto tre volte ad alta voce e rispettato la fila che era lunghissima.

Ma perché abbiamo fatto tutto questo? Chi ce lo ha suggerito?

L'edizione nel grande formato, reperibile in libreria e nel piccolo della Biblioteca Topipittori, uscita in allegato a Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera

È stato un albo che tenevamo dentro l’armadio che se ne è uscito all’improvviso con una domanda impertinente: “Avete mai incontrato qualcuno che è qualcuno, ma non esiste?”. 

Si tratta de Il paese degli elenchi scritto da Cristina Bellemo e illustrato da Andrea Antinori, dove una classe del paese di Roccaperfetta, accompagnata dalle maestre Luisa e Luisella, decide di andare all’Ufficio Elenchi del Signor Fermo Sicurini. Nessuno degli alunni e delle alunne, infatti, era ancora iscritto in nessun elenco. Tipico esempio di bambini che c’erano, ma non c’erano.

Nei due anni in cui ho lavorato con la mia classe Porto di Mare il mio sforzo maggiore è stato proprio questo: fare in modo che tutti ci fossero, sempre. Il giorno delle Carte d’identità per noi è stato uno dei più importanti. Loro che dimenticavano libri e quaderni sotto il banco, che lasciavano in giro di tutto, quel pomeriggio sono usciti da scuola stringendosi al petto il loro documento. Tutti sapevamo che era solo un pezzo di carta fotocopiato, ma questo pensiero non è bastato a toglierci la speranza, la voglia, la dignità di esserci. E di poter esserci per davvero, a tutti gli effetti, dentro un futuro nemmeno così lontano. Un pezzo di carta come una promessa.

“Il giorno dopo, nel suo Ufficio Elenchi al piano nobile del palazzo del Comune, si ripresentò tutta quanta la seconda B della scuola primaria del secondario Vicolo della Libertà. Con le mani sventolavano pacchetti di fogli variopinti. Avevano lavorato tutto il giorno precedente a scriversi ciascuno tanti certificati di chi erano e di cosa sapevano fare. In fondo non ci vuole mica tanto a scrivere un certificato, e anzi a farci pure il disegno, che così diventa più bello”.

Visto, corretto, firmato e timbrato

La Presidente e i cittadini di Classe