Alcune domande a Ferruccio De Bortoli

Domenica scorsa,leggendo l'inserto culturale del Corriere,La lettura, ho scoperto che i book blocksono nati in Italia. I bookblock (da non confondere con i block book ei black block), giustoper spiegarlo ai nostri lettori che non lo sapessero, sono queglistudenti che durante le manifestazioni utilizzano scudi colorati sucui campeggiano, a grandi caratteri, titoli di libri. Recentementespesso è capitato di vedere foto di cortei in cui appaiono questecenturie letterarie di piazza a fronteggiare gli antagonisti plotonidi polizia, con caschi, scudi e manganelli. L'impatto visivo è moltoforte: forza contro parole. Grigio contro colore. Minaccioso silenziocontro silenzio carico di energia.

Di solito le paroleche accompagnano le proteste sono urlate e sono slogan. Spiazza trovarela silenziosa potenza di titoli di libri che ci sono familiari scrittisu sfondi vivaci a grandi lettere. La prima volta che vidi una fotodei  book block mi fece un'impressioneincredibile: mi parve un'idea geniale. E lo è, geniale, questa idea chenel 2010 hanno avuto gli studenti della Facoltà di Scienze Politiche diRoma. Il nome, book block, gli è stato attribuitoda Wu Ming. Da Roma l'idea ha viaggiato peril mondo come capita spesso alle buone idee. Un'idea, dal punto divista della comunicazione, fortissima perché capace di sovvertirele abituali categorie di giudizio.

Daragazzi ribelli e arrabbiati non ci si aspetta che si facciamo scudo,letteralmente, dell'autorevolezza antica che hanno parole alte eimportanti. E uso il termine antico anche se spesso queste paroleappartengono a libri del presente. Perché l'autorevolezza del libro,il più tradizionale strumento di trasmissione della cultura, anticolo è davvero, per storia e retaggio. Anche se oggi, come sappiamoe ci viene continuamente ricordato, sarebbe al suo tramonto. Comegiustamente faceva notare Ranieri Polese, il giornalista dell'articoloin questione, Che leggere? I libri-scudo di Lenin, Dante eBallestra:

«L'importante è cheil libro ci sia. E l'importante è che abbia la forma del libro. Fattosingolare per una generazione cresciuta sul web che si confessasu Facebook, comunica su Twitter, scarica (download) dischi, film,libri. Ecco, seppure nella grezza simulazione del rettangolo di plexiglasssu cui è appiccicato un cartone dipinto con sopra titolo e autore,quello che colpisce di queste manifestazioni è la nostalgia del librocom'era. Quasi che non si potesse immaginare un altro oggetto-simbolocapace di rappresentare quella cultura che le spendingreview stanno uccidendo. Per i ragazzi della rivoluzione digitaleche ha mandato in soffitta Gutenberg, è proprio il libro stampato lostrumento di lotta.» 

Fa riflettere chequesto simbolo sia nato dagli studenti per protestare nel 2010 controla morte della cultura, dopo i tagli alla scuola e alla ricerca dellariforma Gelmini. E cioè proprio dai figli del ventennio berlusconiano,che si è fatto paladino della cultura monovocale delle tre i (inglese,internet, impresa): vale a dire uno dei momenti più tetri e insipientinella storia della cultura italiana, i cui danni sconteremo ancora alungo per i guasti enormi arrecati alla testa, alle abitudini mentali,ai modi di pensare di un'intera popolazione. Le grandi copertinecolorate che sfilano nelle piazze mostrano che il corpo apparentementecagionevolissimo della cultura italiana ha invece, a sorpresa,anticorpi robusti. I libri che vengono opposti al nulla di riformescolastiche affaristiche e incompetenti sono La volontà disapere di Michel Foucault, 1984 di GeorgeOrwell, L'etica di Spinoza, Fahrenheit451 di Ray Bradbury, Fight Club di ChuckPalahniuk, Il dottor Zivago di Boris Pasternak,Cecità di Saramago, Lolita,Moby Dick, On the road, laDivina Commedia, Il principedi Machiavelli, In ogni caso nessun rimorso di PinoCacucci, Etica della differenza di Luce Irigaray,Dialettica negativa di Adorno, per citarne sonoalcuni. Libri, come si nota, diversissimi fra loro, che indicano scelte egusti molto personali, filoni di pensiero distanti, percorsi di letture edi interessi per nulla scontati o facili.


Allora mi è venuto spontaneo confrontare la vitalità e laqualità imprevista di questa protesta giovanile che si mette sottole ali del libro e sulle ali dei libri cerca la spinta per volarealto, altissimo su tempi bassi, bassissimi, ai dati riportatiin un articolo apparso in prima pagina sempre su LaLettura della scorsa domenica. Sto parlando diI nuovi analfabeti. Spot, politica, articoli digiornale. Un italiano su due fatica a capire. Oggi si privilegia unaconoscenza emotiva e frammentata. E la scuola non aiuta amigliorare le capacità argomentative,di Paolo Di Stefano. Dati sconfortanti, inquietanti,se è vero che, come risulta da un saggio di Tullio De Mauro, La cultura degli italiani,il 70% degli italiani non possiede le competenze «“per orientarsi erisolvere, attraverso l'uso appropriato della lingua italiana, situazionicomplesse e problemi della vita sociale quotidiana.” Sono numeriche, in una condizione economica ordinaria (e in un Paese consapevole),farebbero scattare subito l’emergenza sociale.»
Interessanteil brano in cui il tema dell'analfabetismo di ritorno viene messo inrelazione al passaggio all'era digitale:

  
«Forse nessuno più di GinoRoncaglia, che insegna Informatica applicata alle disciplineumanistiche, ha indagato le dinamiche della letturanel passaggio dalla carta all’era digitale, cioè ne La quarta rivoluzione, titolodi un suo saggio. "Più che di un mondo di analfabeti parlerei diun mondo disabituato alla lettura complessa, perché i testi checircolano nel web sono per lo più brevi, frammentari, semplicie informali”. Quel che viene meno è il discorso argomentativo,costruito con sofisticate architetture di sintassi e di pensiero. “LaRete è una realtà ancora molto giovane, ha elaborato una suacomplessità orizzontale e non verticale, ma questo è un aspettoche progressivamente potrà cambiare, poiché ci si sta rendendoconto della necessità di strumenti più articolati. Dai cinguettiidi Twitter si vanno sviluppando strutture per concatenazioni piùvaste: per esempio, Mash-up è un’applicazione che mescola contenutidiversi e Storify permette di creare delle storie complesse collegandomateriali di diversa provenienza. Siamo all’inizio”. Una societàdi cacciatori-raccoglitori che non è ancora arrivata all’età dellecattedrali, dice Roncaglia: “Non credo che la frammentarietà delweb sia strutturale, ma certo la forma paradigmatica di complessità ecompletezza rimane quella del libro e ritengo che si debba combatterecontro la sua scomparsa. La scuola ha una enorme responsabilità ec’è molta confusione nell’adozione dei testi digitali. Va benelavorare con materiali di rete e modulari, ma il libro di testo come filoconduttore autorevole va conservato. L’autorevolezza testuale non èautoritaria”.» 

Domenica sullanostra pagina facebook il link all'articolo di Di Stefano ha creatouna viva discussione, a riprova di quanti, molti, moltissimi fra noi,si sentano coinvolti in prima persona da queste tematiche.
Dalla lettura di questi articoli emergono segnali in partecontraddittori, in parte coincidenti. Se da una parte tutti ci rendiamoconto che l'era digitale, con le sue potenzialità e i suoi rischi,è una realtà ampiamente affermata nei confronti della quale lapiù stupida delle reazioni è un sordo e anacronistico rifiuto,dall'altra a sorpresa scienziati e ribelli concordano nell'evidenzareconcretissime ragioni per cui oggi è un punto di vista altrettantoottuso considerare defunto il libro tradizionale. Perché in effettimai come oggi il libro e la pratica della lettura sembrano trarrenuova linfa, forza ed energia da un presente sconvolto da cambiamentigiganteschi che obbliga a ristabilire sulla base di emergenzegravissime nuove, serie priorità.

E, detto questo, ci fariflettere, per tornare a un tema che ci sta a cuore come pochi altri,che il supplemento culturale del più importante quotidiano nazionaleaffermi in prima pagina a proposito sui dati dell'analfabetismo:«Sono numeri che, in una condizione economica ordinaria (e inun Paese consapevole), farebbero scattare subito l’emergenzasociale», ma che, pure, nello spazio delle sue 36 pagine non dedichinemmeno una riga a un libro per bambini o ragazzi. Il sottotitolo diLa lettura è Il Dibattito delle idee. Nuovilinguaggi. Arte. Inchieste. Racconti. Ci piacerebbe mostrareai giornalisti del Corriere quali laboratori di idee,di nuovi linguaggi siano i libri per bambini.
Ecogliamo allora questa occasione per chiedere al direttore delCorriere, Ferruccio De Bortoli, se si sia maichiesto in quale momento della vita umana si costruisca un lettoreforte. E se non ritenga che i media, come il quotidiano che dirige,non abbiano la responsabilità di aiutare a crescere questi lettoridel futuro, informando e formando correttamente e regolarmente gliadulti che oggi si occupano di loro: genitori, educatori, insegnantieccetera (ricordo, fra parentesi, che i più importanti premi letteraririservati ai libri per bambini e ragazzi nel mondo anglosassone portanoi nomi del New York Times, del BostonGlobe e di The Guardian.)
Eci chiediamo anche se non venga mai, a chi lavora nei giornali, ildesiderio e l'impulso gratuiti di collaborare a creare anticorpiforti e vitali al buio dei tempi in agguato, e di farlo pensandoalla salute e alla salvaguardia del pensiero dei bambini. Quantomeno per la sopravvivenza stessa dei media in cui lavorano.
Dedichiamo ai giornalisti del Corriere e alloro direttore questo magnifico spezzone dal film diFrançois Truffaut, del 1966, Fahrenheit 451, trattodal romanzo di Ray Bradbury.