Per favore, voglio essere una zingara

[di Elisa Galeati]

Illustrazione di Nina K. Brisley.

Anni fa, in Inghilterra, acquistai alcune pagine illustrate che erano state staccate da vecchi libri malandati. Il libraio le aveva messe in un cestino di vimini, con un prezzo che andava dai 50 cent a 1 pound. Una in particolare aveva attratto la mia attenzione: una fanciulletta, con un abito che sembra disegnato da Mariano Fortuny e un'acconciatura che non sfigurerebbe a un party di Gatsby, ha tutta l'aria di provenire da un castello, che si staglia sfuocato alle sue spalle. Giunge a un accampamento zingaro e dichiara con aria risoluta (magari un tantino melliflua): "Per favore, voglio essere una zingara".

L'immagine porta la firma di Nina K. Brisley, prolifica illustratrice assieme alle sue due sorelle, di alcune serie di romanzi per ragazze della prima metà del Novecento. Non ho ancora scoperto da che libro provenga e molto ho fantasticato sulla trama della storia, ma negli anni alcune suggestioni e ricerche mi hanno condotta a guardare a quell'immagine da diversi punti di vista, svelando tutta una tradizione figurativa e narrativa che affonda le sue radici nell'idealizzazione romantica del popolo romanì.

Se oggi cercassimo un alloggio vacanze nella campagna inglese, non sarebbe atipico trovare un annuncio di questo tipo: An authentic Vardo, bowtop, gypsy caravan appealing to all traditionalist or romantic travellers, or simply those wanting an escape to the country and to stay in something quirky and truly unique. In Inghilterra, difatti, non è raro imbattersi in questo genere di mezzi tradizionali la cui funzione è ormai prettamente decorativa per chi vanta sensazionali giardini o per chi sia alla ricerca di una scomodissima e originale dimora dal sapore bohémien.

L'anelito alla "strada aperta" si è trasformato nel suo opposto: un ornamento immobile. Non è sempre stato così: è difatti esistita un'epoca in cui un entusiastico fermento libertario di matrice bohémien e fabiana titillava i castigati umori della società vittoriana. Era tutta una fuga in avanti, un fiorire di gesti simbolici di rivolta per decretare un "io non ci sto".

Il vento nei salici di Kenneth Grahame.

Ricordate il personaggio di Rospo ne Il vento nei salici di Kenneth Grahame e quel suo desiderio inarrestabile, quel volere una «carovana zingaresca, rutilante di freschezza, tinta in un giallo canarino spruzzato di verde, e con ruote scarlatte»? C'era una volta un bambino che di questa terra immaginaria ne fece casa e che pensò di contraddire le ottuse regole degli "Olimpii" (cfr. L'età dell'oro di Kenneth Grahame) crescendo da artista bohemién, mettendo in scena sé stesso e il suo sogno gypsy, senza badare troppo alle contraddizioni da esso generate.

Augustus John nacque a Haverfordwest, nel 1878, in una famiglia alquanto autoritaria. Il nonno esortava minaccioso il nipote a "Parlare! Se non riesci a pensare a niente da dire, di' una bugia!". I bambini John, orfani in tenera età, vennero accuditi da due zie, Rose e Lily, ferventi seguaci delle dottrine quacchere, che giravano per il villaggio guidando un carrozzino in vimini trainato da un pony, conosciuto come The Hallelujah Chariot. Un breve resoconto di un'infanzia adombrata da una lugubre moralità tardovittoriana ce la fornisce lo stesso Augustus scrivendo «Iniziai a sentirmi vivere in una sorta di camera ardente dove tutto era morto: dai colombi imbalsamati nelle loro cupole di vetro all'abominevole orologio inscheletrito sul caminetto, tutto rifletteva l'immaginario statico e congelato della mente di mio padre, il curatore dell'allestimento». Suo padre Edwin aveva cresciuto i figli in un'atmosfera anafettiva, immersa nel buio del lutto e nel costante avvertimento "di star lontano dagli zingari che li avrebbero portati via, nessuno sapeva dove".

Per reazione Augustus desiderava con tutto sé stesso di essere rapito.

Augustus John, pittore.

La famiglia John si trasferì a Tenby nel 1884 e Augustus divenne uno studente alla Slade School of Art nel 1894. Nell'estate, tra un periodo di studio e l'altro, a Londra accaddero due incidenti che avrebbero avuto una grande influenza nella vita di John. Il primo avvenne durante un viaggio a piedi nel Pembrokeshire dove ebbe il suo primo incontro con i Tinkers, popolo nomade di origine irlandese. Il secondo risale all'estate del 1897 in cui subì un grave incidente colpendo la testa contro uno scoglio mentre si tuffava in mare e una delle varie leggende su di lui narra che ne uscì letteralmente come "un genio insaguinato". Ciò che accadde con sicurezza fu che la lunga convalescenza fermo a letto e il confino obbligato presso la casa del padre gli divenne insostenibile e causò in lui un evidente e radicale cambiamento.

Nel 1901, mentre insegnava all'Istituto d'arte di Liverpool, strinse amicizia con John Sampson, studioso e linguista del popolo romanì. L'amicizia che li legava, mista alla convinzione di poter accedere a un mondo mitico e misterioso, spinse Augustus a unirsi alla Gipsy Lore Society con il nome di Gustavus Janik. Unirsi a loro, intorno ai fuochi da campo, permise a John di vedere nel popolo romanì una libertà non compromessa dall'avanzata della società industrializzata, una libertà molto simile a quella a cui inneggia, ancora una volta, Rospo ne Il vento nei salici: «Questa è la vera vita per voi, immedesimati in quel carrozzino. La strada aperta, la polverosa via maestra, il solleone, la vita in comune, le siepi...! Campi, villaggi, comuni, città! Oggi qui, bagagli e via altrove domani! Viaggi, cambiamento, interesse, eccitamento! Tutto il mondo davanti, e un orizzonte sempre mutevole».

John si immedesimò talmente in questa sua visione ideale che tentò di trasformare il suo sgangherato éntourage domestico in una tribù. Non potendo qui riassumere lo spettacolare andamento delle sue relazioni amorose, vi basti sapere che era il 1905 quando decretò che un "eccesso di convenzionalità" nel vivere, aveva condotto alla disperazione le sue due compagne (ed egli medesimo): Ida, la moglie, e Dorelia, l'amante (poi compagna di vita), abitavano difatti sotto lo stesso tetto, assieme a tre pargoli e altri due in arrivo. La "terapia d'urto John" a «i dieci gatti litigiosi, i canarini stridenti, i polli razzolanti, le acrobazie dei bambini nel secchio del carbone e del  pappagallo che bestemmiava in lingua romani» fu l'acquisto di un carrozzone gypsy, trainato da un cavallo, pronto a salpare per le brughiere selvagge del Dartmoor.

Dorelia McNeill (fotografia di Charles Slade).

Dopo un primo entusiasmo iniziale, che trapela anche dalle lettere di Ida all'amica Rani, e tolta l'eccitazione per il figlio di Dorelia, Pyramus, nato in una tenda tra le mucche al pascolo, si può ben affermare che l'intera vicenda fu bizzarra e tutta a benificio del capò tribù. «È adorabile e terribile qui» scrive Ida nel luglio del 1905, «lavoriamo e lavoriamo dalle 6 del mattino alle 9 di sera e siamo così stanche che non riusciamo a rimanere sveglie, io almeno non riesco. Dorelia è più vivace [...]. Gus è un'orrida bestia, un pigro disgraziato e un angelo blu cielo. Quando non dipinge si sdraia a leggere o gioca con una barchetta giocattolo».

Trovo che la somiglianza con Rospo de Il vento nei salici sia davvero gustosa: «[...] il mattino dopo Rospo se la dormiva della grossa e a nulla servì scuoterlo più e più volte [...] così senza far tante storie la Talpa e il Topo desistettero e mentre l'uno si occupava del cavallo, l'altro accendeva il fuoco, lavava le tazze e i piatti... ».

Alcune fotografie del 1909 mostrano un secondo viaggio intrapreso dai John. Ida era morta di febbre puerperale e accanto a Dorelia sedeva adesso sua sorella Edie, circondate da nuovi bambini ormai cresciuti. Approdati sulle rive del fiume Cam a Grantchester, vennero avvistati nientemeno che da John Maynard Keynes e dal poeta Rupert Brooke, entrambi entusiasti di questa visione nomade e coloratissima, che così descrissero: «Ci hanno raccontato del loro mondo immaginario dove i fiumi sono di latte, il fango come miele e le foglie degli alberi cappelli da signora». Al giorno d'oggi, probabilmente Augustus John figurerebbe come un nomade digitale, un influencer scatenato che pubblica foto attraenti su Instagram, ma l'amico Charles Slade, chiamato a soccorrere il fatiscente convoglio, scattò senza artificio alcuno. Nella foto i caravan dai colori smaglianti non hanno cavalli al tiro, il biografo di John ci racconta che avevano iniziato a morire, mentre i volti cupi delle donne mostrano un logorio dato dai rigori della vita di strada, infine i bambini avevano preso la pertosse. Un disastro!

Washing day (Augustus John).

Lyric Fantasy (Augustus John).

Mi hanno sempre interessata i volti delle sue donne e dei suoi bambini: profili sfuocati, funzionali per lo più, in una narrazione di matrice tradizionalista, a definire il mito dell'artista demiurgo. Un'opera in particolare ci racconta molto del suo immaginario: si tratta di Lyric Fantasy che è innanzitutto allegoria di un'età dell'oro, una Arcadia pre-industriale. È in questo scenario popolato da madri ideali che John mise riparo alla sua antica perdita: l'orfano di una lontana provincia gallese divenne un patriarca zingaro, un "eroico" progenitore di dipinti e bambini. Di questa improbabile tribù sono appunto loro che da sempre esercitano su di me curiosità, in quanto figure appannate, senza storia né biografia. A dir il vero, uno di quei bambini dimenticati una autobiografia la scrisse davvero: un'opera minore, pubblicata nel 1975 dal titolo Il settimo figlio, scritta da Romilly John. Definita "robaccia" da Augustus, il racconto di Romilly può essere visto oggi come una testimonianza delle numerose contraddizioni che dominavano la crescita dei figli nell'ancora inesplorato microcosmo bohémien. Tirannia e negligenza, oppressione e permissività erano condizioni opposte molto comuni. La forza creatrice dell'arte si scontrava con l'impossibilità di determinare dei confini e questi bambini, pur sperimentando con esultanza la grande libertà a cui erano soggetti, soggiacevano anche a opprimenti stati di precarietà e insicurezza. Se Romilly aveva vagato per anni tra tentativi miseramente falliti di diventare agricoltore e poi poeta, il maggiore, Caspar, aveva reagito strenuamente all'influenza paterna arruolandosi nella marina militare. Se nei primi anni di vita erano vissuti idealmente in una condizione di selvatichezza, giocando attraverso abissi immaginari, crescendo erano stati mandati a scuola in soffocanti uniformi, ormai incapaci di adattarsi, poiché non avevano certo scelto loro di essere diversi dagli altri.

Pyramus John.

Vivien John.

Il settimo figlio (Romilly John, 1975).

Questo "tra-qua-e-là", questa via di mezzo, richiama alla mente la condizione di emarginato di Peter Pan, ma da un punto di vista opposto a quello a cui siamo abituati. Qui mamma e papà non hanno progetti per i loro figli, una volta diventati grandi. Eppure in quell'eterno presente, danzato in una notte di mezza estate, i bambini giocavano un ruolo naturale (ma non speciale) nella comunità, una comunità in cui i confini familiari non erano così netti. Essi, correvano selvaggi nella brughiera, ingaggiavano battaglie all'ultimo sangue o si bagnavano nudi nello stagno inseguiti dai loro bizzarri precettori, ma partecipavano anche alle faccende domestiche, coinvolti da donne che venivano lasciate sole a guidare l'intero ménage familiare e si alleavano solidali tra loro. Scrive Antonia Byatt ne Il libro dei bambini: «si mescolavano con gli adulti, parlavano e si parlava con loro [...] eppure, allo stesso tempo, avevano vite separate, molto indipendenti, da bambini».

Se molto poco sappiamo dei figli, qualcosa di più emerge sulle loro madri. Nel brano che segue è lo scrittore e ispanista, Gerald Brenan a raccontare di Dorelia: «Ho visto in Augustus e Dorelia due di quel raro tipo di persone che facevano venire alla mente antiche o primitive istanze, istanze il cui punto focale risiedeva più in quello che loro erano che in quello che facevano o dicevano. Sentivo che sarebbero stati più a loro agio a bere vino sotto un olivo o a sedersi in un'oscura caverna piuttosto che piantati in questo tiepido scenario inglese. Ma infondo erano bohémians e sostenevano con stile e generosa ospitalità la vecchia tradizione di una vita d'artista che derivava da William Morris e Rossetti. In ogni cosa Dorelia sembrava affidarsi all'istinto piuttosto che alla pianificazione, improvvisava costantemente ignorando i disastri occasionali. Con agio e tranquillità, senza affrettarsi o alzar la voce, con i suoi lunghi abiti preraffaelliti che la seguivano ovunque andasse, conduceva questa vivace atmosfera, cucinava per la famiglia e gli ospiti e tuttavia sembrava il tempo fosse a suo servizio e non viceversa. Il ricordo più vivido rimane quello di lei che sedeva a capo della lunga tavola da pranzo, mentre posava i suoi grandi espressivi occhi su chi le sedeva accanto, conferendo ordine e bellezza al quadro».

Dorelia McNeill (fotografia di Cecil Beaton).

Si racconta di ricchi colori negli abiti, i gialli marrone e malva, gli allestimenti floreali che coi loro colori illuminavano le stanze, i deliziosi pasti, grandi zuppe, stufati al vino rosso, pesce con zafferano e insalate provenzali abbondanti di aglio, pomodoro e olio d'oliva, i camini che riempivano l'aria con la loro fragranza e tutto contribuiva a generare un gioioso disordine. Lord David Cecil ricorda che lasciò il suo cappello sul pavimento, una sera, e, facendovi ritorno dopo sei settimane, lo trovò ancora là. Tantomeno le maniere erano formali. Gli ospiti venivano a malapena presentati tra loro e potevano trovarsi davanti al loro arrivo, scrisse Michael Holroyd, biografo di John, «un silenzio animalesco da parte dell'intero branco dei John che li accoglieva». Si racconta che a volte i visitatori non trovavano proprio nessuno in casa, anche se le imposte e le porte erano tutte stranamente aperte. I visitatori, artisti, studenti, mistici vaganti e anarchici, andavano e venivano: alloggiavano nei caravan e nei cottages, per alcuni divenne un luogo da cui fuggire, per molti un posto per prendere un tè o per restare mesi, anche anni.

David, Caspar, Robin, Edwin, Pyramus, Romilly, Poppet, Vivien sono i nomi dei bambini che hanno ricevuto in dote una Visione: alcuni li troverete su Wikipedia, di altri non c'è granché da sapere, ma ciascuno, a modo proprio, ha portato con sé il bagaglio di un'eredità libertaria non sempre compatibile con il loro presente di giovani adulti. Se alcuni, dalle profonde contraddizioni della cultura bohemién, ne rimasero schiacchiati, altri seppero reagire e liberare quel che nell'infanzia avevano respirato. Nessun passaggio è stato indolore.

L'artista e nipote di Charles Darwin, Gwen Raverat, scrisse nel suo diario: «che per quanto ci provi, o non ci provi; qualunque cosa tu faccia o non fai, nel bene e nel male; per i più ricchi, per i più poveri; in ogni modo e ogni giorno: il genitore ha sempre torto».

Edwin and Romilly (Augustus John).