Il fascino immortale delle storie

Ed ecco l'ultima novità di questa primavera. Si tratta di Non ero iperattivo. Ero svizzero. Storie rapidissime di ragazze e ragazzi, antologia di pensieri giovanili, curata da Manuel Rossello, insegnante, che in questo mirabile commento oggi presenta il libro e il lavoro da cui è nato. Il libro fa parte della collana Anni in tasca, che con questo volume si presenta al pubblico con una nuova immagine grafica, realizzata da Anna Martinucci. Le copertina è di Fulvia Monguzzi, scelta per accompagnare anche i prossimi volumi. Vi ricordiamo che sabato 28 aprile, alle 19.10, Manuel Rossello, sul canale tv svizzero  TSI 1, nella trasmissione "Il Quotidiano", parlerà del libro. E mercoledì, 2 maggio, a Milano, alle 19, presso Spazio BK, in via Lambertenghi 20, Manuel Rossello, Elisabetta Curzel giornalista Rai, e gli editori, presentano il libro in prima assoluta.

[di Manuel Rossello]

D’inverno amavo le giornate-larva, quelle in cui me ne stavo tutto il giorno nella mia cameretta con i giocattoli. Creavo un mondo tutto mio, c’eravamo solo io e la mia fantasia e la mente non aveva confini.

Annalisa

La memoria, ha scritto Primo Levi ne I sommersi e i salvati, è uno strumento potente e fallace. Questa frase dello scrittore torinese mi è tornata in mente quando, circa cinque anni fa, ho iniziato con alcune classi della scuola media di Pregassona, un quartiere popolare di Lugano, il progetto autobiografico che ora è diventato un libro.

Ma andiamo con ordine.

Come ben sa ogni insegnante d’italiano quando fa scrivere i propri allievi, non è facile uscire dal circolo vizioso della scrittura percepita come qualcosa che serve solo a far prendere un voto bello o brutto. Andare al di là dello scrivere per il voto, ecco una sfida appassionante. Si pensi al tema in classe, che certi allievi vivono quasi come un dramma (peggio ancora se annuncio «Oggi tema libero!»). E ho fondati sospetti che a scuola scrittura e contrazione della vescica abbiano una stretta correlazione, almeno a giudicare dal numero di allievi che chiedono di uscire non appena dico che quel giorno si scrive.

Prima di avviare questo progetto, i tentativi di scrittura legata all’infanzia dei miei alunni avevano avuto esiti deludenti. Ecco alcune risposte (autentiche) quando chiedevo  genericamente di scrivere sulla loro infanzia: «Ma non c’è nulla d’interessante nel mio passato!», «Fino a otto anni non ho fatto altro che mangiare», «Prof, io da piccolo ero scemo!», «Ho passato l’infanzia davanti ai videogiochi», «Quando non dormivo mi picchiavo con mio fratello».

Non venivano molto in aiuto nemmeno i programmi della scuola ticinese, che indicano laconicamente l’autobiografia come una delle possibili dimensioni attraverso cui stimolare la scrittura degli allievi.

Insomma, l’ostacolo da superare era il divario tra il loro passato (che sospettavo ricco di gioie e piccoli drammi) e la difficoltà di tradurlo in parole. Ed anche scavare oltre la superficie e il commento generico.

Ma ecco due letture che mi sono state utili per superare l’impasse: I remember di Joe Brainard e Je me souviens di Georges Perec. Sono dei prelibati cataloghi (ossessivo il primo, più raffinato il secondo) delle loro infanzie, sminuzzate in una miriade di schegge. Ma per attivare la memoria dei miei allievi non era sufficiente. E poi mi sono detto che i due scrittori citati devono aver stilato un elenco di ricordi, prima di scriverli. Così, nel caso dei miei allievi ho pensato di anticipare i loro possibili ricordi stilando io un lunghissimo elenco degli episodi che, teoricamente, avrebbero potuto vivere. Per formare l’elenco ho perciò “affettato” all’inverosimile le situazioni, i luoghi, gli oggetti, le persone, in modo da aumentare le possibilità di far riattivare qualche episodio o aneddoto, quando più o meno combaciante con uno dei microtemi. Così, per esempio, nel settore delle figure umane, tra i possibili attivatori di ricordi troviamo la tata, il bidello, il prete, il medico, i nonni, la donna delle pulizie, la portinaia, il poliziotto, la maestra, il compagno d’asilo, Babbo Natale, il barbiere, il cameriere…

Con il tempo questo elenco ha assunto proporzioni ragguardevoli, arrivando a contare più di trecento microtitoli, molti trovati proprio grazie ai ragazzi (l’elenco completo si trova sul sito della mia scuola, www.smpregassona.ti.ch).

A scuola, i tentativi di dare senso alla scrittura devono essere incessanti e a questo proposito vorrei menzionare un precedente, diverso progetto di scrittura che ha riscosso un certo successo. Si ispirava alla metodologia di Lalla Romano  (la sua affascinante dimora milanese, nella centralissima via Brera, si può visitare consultando il sito www.lallaromano.it). La scrittrice, che è stata anche un’apprezzata insegnante, ogni anno affidava ai suoi allievi un quaderno su cui potevano scrivere ciò che volevano. I quaderni venivano ritirati periodicamente e valutati non in base all’ortografia, bensì alla ricchezza di idee, alla creatività, alla spontaneità. Il titolo stesso, cronache, è particolarmente appropriato perché non limita il campo a un tipo di scrittura, ma lascia la più ampia libertà.

Ma tornando al progetto autobiografico, l’idea di limitare al massimo l’estensione dei singoli ricordi (otto righe nel foglietti distribuiti per la prima stesura) ha avuto il duplice vantaggio costringere gli allievi a delimitare l’episodio pur svolgendolo con la massima cura, dall’altra ha evitato a me quel senso di oppressione che gli insegnanti conoscono molto bene, il doversi portare a casa, dopo una giornata già pesante, etti (e a volte chili) di scritti – stavo per dire scartoffie – degli allievi da correggere. E di dover passare parte delle ore serali e notturne, invece di riposare o rilassarsi, in un lavorio che sembra non aver mai fine.

Ero in seconda elementare, lui in terza. Avevo una paura matta di quel bambino. Ogni volta che mi vedeva nel cortile mi rincorreva. Finché un giorno riuscì a prendermi, mi buttò a terra e mi strinse il collo. Per un mese, a ricreazione, mi nascosi nei bagni dalla paura.

Jasmine

L’ironia, così presente nei frammenti del libro, è stata giustamente rilevata da Ersilia Zamponi, che ha fatto notare come sia rara a questa età. Infatti l’ironia consente di mettere in prospettiva l’episodio vissuto, quasi allontanandosi da se stessi per raffigurarsi in modo deformato. Al tempo stesso l’ironia è un indizio infallibile di maturità.

Eravamo in vacanza nel nostro minuscolo camper. A mia mamma venne l’idea di fare le banane flambé. Vi lascio immaginare il seguito.

Alessandro

Ed è stata una sorpresa scoprire quanto fosse ricco e stratificato il mondo segreto dell’infanzia narrata dai preadolescenti. Pensandoci ora mi viene da dire che forse i pochi anni intercorsi dagli episodi vissuti al loro racconto creano quel mix di empatia e ripugnanza che in più di un caso ha un effetto delizioso:

Eravamo al matrimonio della cugina di mio papà. Su un tavolo in un angolo del salone c’era un grande vassoio pieno di confetti assortiti. Mia sorella, che a quei tempi era alta come il tavolo, quando nessuno guardava allungava il braccio e se ne metteva in bocca uno. Ma poi non le piaceva, così lo rimetteva nel mucchio e ne provava un altro. Ripeté questa operazione per un bel po’. Agli ospiti invece piacquero molto quando il vassoio fu fatto girare tra i tavoli alla fine del pranzo.

Sara

The terrible two è detta in inglese l’età in cui ha inizio la tirannia dei bambini nei confronti dei genitori. Nel libro non mancano esempi in cui la convivenza si rivela decisamente rischiosa:

Una notte, mentre i miei genitori dormivano, scesi dal mio lettuccio, aprii il frigorifero e presi un pesante barattolo di marmellata. Poi mi diressi verso la loro stanza con l’intenzione di fare un piccolo dispetto a mio papà. Infatti scagliai il barattolo contro la sua testa con tutta la forza che avevo: «boom!». La sua faccia era la cosa più bella, era l’espressione più confusa e più riempita di marmellata che avessi mai visto.

Ingrid

Ed è anche un mondo dominato da una sorta di animismo: ogni insetto, ogni albero o foglia o parte del corpo sembra possedere un’anima pulsante:

Ero seduta nel passeggino, nella veranda di casa. Mia mamma mi aveva appena tolto le calze. Ricordo che diedi un nome a ciascuno dei miei piedini e mi misi a conversare con loro.

Alyssa

Trattandosi di un’antologia, ogni pezzo ha il suo fascino. E ho notato che i lettori tendono a dividersi in due categorie: quelli che lo considerano un testo esilarante (tanto da ridere fragorosamente mentre lo leggono) e quelli che ne assaporano soprattutto le risonanze poetiche, intendendo per poetico un racconto che rivela una verità intima e al tempo stesso universale.

Per quel che mi riguarda non ce n’è uno che mi piaccia più degli altri, tuttavia ciò che racconta Eleonora ritrae con semplicità la gioia del raccontare e dell’ascoltare. È il fascino immortale delle storie:

Avevo una vicina di casa inquietante. Quando veniva da noi aveva il vizio di raccontare storie di fantasmi. Ed io essendo piccola ci credevo totalmente. Le sue storielle erano così incredibili che ogni volta mi incuriosivano di più e ne volevo sempre sentire di nuove, sempre più terrificanti.

Eleonora

Mi è stato chiesto più volte se i frammenti raccolti sono veramente stati scritti dai miei allievi. In effetti sono stato il primo ad essere stupito dalla loro qualità. Occorre tenere conto, comunque, che mediamente è stato accolto un testo su trenta e ciò è stato possibile grazie al corpus totale veramente imponente (circa cinquemila pezzi). Ma raccontano la verità? Probabilmente vale ciò che disse Primo Levi, citato all’inizio: se a volte la memoria gioca brutti scherzi, la buonafede di chi racconta, in questo caso i ragazzi, è fuori discussione.

C’è poi quell’interstizio tra fatti accaduti e resa sulla pagina, che Marcel Pagnol ha chiamato verità poetica e che conferisce a questi testi, seppur modestamente, una dignità letteraria.

Quand’ero piccolo la notte mi spaventava. [...] Ma se non erano le ombre, a spaventarmi erano i miei sogni contorti, insensati e pazzi.

Alfredo

Considero questo piccolo pensiero, di un mio allievo non particolarmente brillante, un esempio di come bastino tre aggettivi per creare tutto un mondo, coerente, orripilante e voluttuoso.