Il filo e lo spago

[di Federica Buglioni]

Prendo tra le mani trenta centimetri di spago grosso e lo mostro a un gruppo di bambini grandicelli. Chiedo cos’è.
«Filo!»
Quando un materiale, un utensile o un oggetto esce dalla nostra vita quotidiana in punta di piedi, accade che non pronunciamo più il suo nome e la parola non riesce a compiere il salto nella generazione successiva. Spago è una delle tante parole ormai uscite dal vocabolario dell’infanzia perché appartiene a un ambito di esperienze tattili e visive che oggi non si fanno più. Qualcuno può averlo visto legato attorno a un salame oppure su un pacchetto infiocchettato in stile falsamente rustico, ma è improbabile che un bambino possa essere stato testimone attivo di un suo impiego come materiale davvero necessario.

Foto di ©AntonioDeLuca.

Mi occupo da molti anni di laboratori di cucina e di educazione alimentare. La cucina è un’attività con poche regole da impartire. S’impara guardando e facendo, senza fretta, e intanto si può chiacchierare serenamente. Questo mi regala spesso un punto di ascolto privilegiato su ciò che i bambini sanno e non sanno, sulle parole che non conoscono e su quelle che credono di conoscere e invece fraintendono. È così che, tra un impasto e l’altro, ho scoperto che nessuno conosce il significato della parola integrale. Se chiedo un sinonimo, mi rispondono sano oppure che fa dimagrire. Se non ci credete, provate voi stessi.

Foto di @Fabrizio Stipari.

Veniamo agli ingredienti. Quando li presento, all’inizio del laboratorio, i miei cuochi sono ansiosi di fare e toccare. La curiosità è forte, così come il coraggio di mettersi in gioco. Certo, non riesco a sorprenderli con patate, pomodori o carote, ma basta mettere in tavola una cipolla o una testa d’aglio per incontrare qualcuno che non ne conosce il nome. Quando poi entrano in scena il sedano, la melanzana, la noce moscata, le mandorle (ghiande?) o le uvette (pepe molle?), vengo accerchiata da sguardi interrogativi come un antico mercante di ritorno dalla Via della seta.

Foto di ©bambiniincucina.

Proprio come nell’esempio dello spago, i nomi ignoti corrispondono a procedure e sapori usciti a poco a poco dalle nostre abitudini e quindi dalla quotidianità dei bambini, oggi convinti che l’impasto della pizza si faccia con le uova e che il latte venga solo dalla mucca. Che tenerezza vedere le faccine sorprese e imbarazzate non appena la mente unisce i puntini e appare chiaro il nesso logico che lega la mungitura della mucca al seno della mamma!

La cucina è un luogo di esperienza pratica, dove prima s’impara a rompere l’uovo e poi a chiamare tuorlo il rosso e albume la chiara. In ogni momento, però, la precisione verbale è necessaria - ci sono gli alimenti, gli utensili, le percezioni sensoriali, le procedure, i fenomeni chimici e fisici – e tutte queste parole s’imparano facilmente perché si legano subito a quell’esperienza della mano che è corsia preferenziale nell’apprendimento infantile.

Foto di ©AntonioDeLuca.

Due cose mi sorprendono sempre. La prima è che di rado gli adulti, siano essi insegnanti o genitori, sono consapevoli di queste lacune, di questa mancanza di esperienze e conoscenze. È possibile non essersi mai accorti che i propri figli o alunni di otto anni non sono capaci di lavarsi decentemente le mani, di allacciarsi il grembiule o di riconoscere uno spago? Sì, è possibile.

Due forbici per bambini, versione 2018 e 1968 (quelle moderne, ergonomiche, con molla di ritorno e invito a inserire targhetta col nome.

La seconda è la quantità di scorciatoie che abbiamo inventato per consentire ai bambini di fare cose complesse senza che prima s’impadronissero di quelle che la mia generazione considera delle basi indispensabili. Forse perché sono passata dalla scrittura manuale al laptop utilizzando prima la macchina per scrivere e poi i computer dell’era pre-web, mi sento disorientata da questa possibilità di chiudere le scarpe con velcro o zip senza dover mai imparare ad allacciare le stringhe o, per tornare alla cucina, di seguire un corso di muffin e crêpes senza avere mai fatto un uovo sodo.

Foto di @Fabrizio Stipari.

Se in passato i laboratori sono stati l’occasione per sperimentare metodi, procedure, approcci educativi e contenuti culturali, oggi dedico volentieri attenzione a quel passo indietro che permette ai bambini di andare alla base delle esperienze: prendere in mano uno spago e fare un semplice nodo prima di imparare a fare il fiocco al grembiule, lavarci sia il palmo sia il dorso delle mani prima di cucinare, rompere l’uovo più volte fino a padroneggiare il gesto corretto e così via. Mi capita, così, di fare insieme ai bambini della primaria le stesse attività che propongo alla scuola dell’infanzia e mi rendo conto che questo sostare, oltre che necessario, è fonte di grande piacere e coinvolgimento per tutti, è un concime che crea un terreno educativo fertile dove poi, non a caso, viene sempre voglia di guardarsi negli occhi, incontrarsi, parlare e ascoltare, restituendo priorità alla cura della relazione umana.

Foto di @Fabrizio Stipari.