Ed ecco la nostra quarta novità: Il campanellino d'argento, un racconto di Maria Lai illustrato da Gioia Marchegiani che qui racconta come questo libro è nato e cresciuto. Gioia Marchegiani sarà presente con Il campanellino d'argento al Festival cagliaritano Tuttestorie incontrando classi di scuola primaria e con il workshop di disegno Illustrare sul filo che si terrà il 4 ottobre. Durante la quarta edizione di Leggimondi, Minifestival Itinerante del Libro per Ragazzi, che quest'anno si svolgerà dal 18 al 28 novembre nel X Municipio di Roma, coinvolgendo diverse librerie, due biblioteche comunali e un albergo sul mare, il Teatro Comunale del Lido di Ostia ospiterà la mostra degli originali di Gioia Marchegiani per Il campanellino d'argento e un omaggio a Maria Lai la mattina del 18 di novembre, data dell'inaugurazione.
[di Gioia Marchegiani]
A scuola nessuno mi aveva parlato di Maria Lai e delle sue opere, e nei miei libri di storia dell’arte il suo nome non c’era. Lo trovai invece in un articolo che presentava la sua personale alla Nuova Galleria Morone di Milano, qualche giorno prima della sua morte, che avvenne il 16 aprile del 2013. Cercando notizie su di lei scoprii che ci sono molti video-documentari a lei dedicati. Uno in particolare è stato fondamentale per il nostro incontro: Inventata da un Dio distratto, di Marilisa Piga e Nico di Tarsia.
Una lunga intervista-monologo nella quale l'artista sarda si racconta attraverso le sue opere, i pani, le tele cucite, le scritture fantastiche delle fiabe e gli interventi ambientali. È lì che per la prima volta ho ascoltato, raccontata da lei, la leggenda della capretta che è narrata ne Il campanellino d’argento, il libro che con grande emozione ora mi trovo tra le mani.
Maria Lai è nata nel 1919 in Sardegna, ad Ulassai. Giovanissima, e audace per i suoi tempi, si è lanciata in un lungo e importante percorso di formazione artistica tra Roma, Verona e Venezia e ha viaggiato molto, cercando ispirazioni e contaminazioni, incontrando artisti e personalità importanti dell’arte contemporanea. Però Maria nella sua Sardegna è tornata. Per affetto, ma anche con l’intento di valorizzarne il patrimonio di storia e tradizione di cui è ricca l’isola, e che tanto l’ha ispirata nella creazione delle sue opere e dei suoi scritti. Uno degli aspetti che mi ha colpito di lei è quanto fosse presente la dimensione dell'infanzia nel suo lavoro, e quanto i bambini fossero spesso i destinatari delle sue opere.
La capretta, fiaba cucita. Maria Lai.
Le leggende sono come bozzoli. Contengono significati universali e chi le ha inventate era poeta, ha scritto. Maria Lai amava molto le leggende della tradizione sarda. Le piaceva soprattutto aggiungere dei finali diversi per arricchirle di significati simbolici. Così ha fatto anche con la leggenda della capretta, su cui lei stessa ha realizzato una bellissima fiaba cucita, uno dei meravigliosi libri di stoffa che ha creato. Sulle pagine di tela, le leggende diventano ricami e i personaggi sono ritagli di stoffa, figure simboliche legate tra loro in uno spazio in cui coesistono significati antichi e moderni, individuali e universali. Questa leggenda parla, indistintamente ai bambini e agli adulti, del potere dell’arte e dell’importanza di metterla al centro della propria vita per raggiungere la felicità. Quando l’ho ascoltata, ho sentito subito il desiderio di illustrarla.
Ogni libro è un po’ come un viaggio per chi lo scrive, per chi lo illustra e per chi lo legge. Questo albo illustrato è stato un viaggio lungo e impegnativo per me. Ci sono voluti quasi tre anni per giungere alla sua forma definitiva.
Uno degli impegni più grandi è stato quello di restare fedele al mio segno e di sfuggire alla tentazione della somiglianza. Sembra un controsenso, eppure la prima cosa che ho fatto è stata copiare i disegni di Maria Lai, riprodurre le sue caprette, trascrivere le sue parole. Volevo sentire e guardare con i suoi occhi. Volevo trovare un punto d’incontro tra noi, la congiunzione in uno stesso linguaggio.
La prima maquette che ho mostrato ai Topipittori nel 2015 era molto lontana dalla versione definitiva del libro oggi pubblicato, e non solo per la tecnica usata. Allora mi rendevo conto che si trattava di un progetto ambizioso, ma ero determinata e fui felice che l’accogliessero con interesse. C’era da lavorarci molto, ma si poteva fare, mi dissero.
Ero ai piedi di una montagna da scalare, insieme al pastorello della leggenda, non sapevo delle difficoltà che avrei incontrato, ma immaginavo che dalla cima il panorama dovesse essere bellissimo.
La seconda maquette era bella, ma non interpretava in maniera originale il testo, non ne rimarcava i significati. Inoltre il grigio della grafite acquerellabile che avevo usato non rendeva giustizia ai contrasti generati dalla luce abbagliante che solo dopo avrei conosciuto in Sardegna. Solo lavorando a un progetto si può capire veramente cosa sia necessario eliminare e cosa sia importante conservare. In questo caso avevo praticamente illustrato tutto il libro, ma non funzionava. Per un illustratore è molto importante poter lavorare in libertà, e poter discutere di un progetto in evoluzione con l’editore. Con Giovanna e Paolo eravamo d’accordo che bisognava rivedere qualcosa. Trovare un’altra strada, pur non rinunciando a tutto il lavoro fatto.
Per capire la direzione verso cui proseguire abbiamo ripreso la cartellina con i primi disegni, sfogliato i miei sketchbook, i primi schizzi che avevo fatto ad inchiostro erano quelli più spontanei e interessanti. Sarei ripartita da lì.
Era estate e quell’estate con la mia famiglia siamo partiti per la Sardegna. Il viaggio nel viaggio. Dovevo immergermi nei luoghi della leggenda. Siamo stati ad Ulassai, nell’Ogliastra, il paese natale di Maria Lai. In quei luoghi tutto parla di lei, non solo le persone che l’hanno conosciuta, anche le caprette che sembrava stessero lì ad aspettarmi, in mezzo alla strada appena fuori al paese e tra le rocce in mezzo ai cespugli. Abbiamo passeggiato nei boschi che crescono sui versanti ripidi dei Tacchi, le montagne circostanti. Incontrato il disordine lasciato da vecchie frane. Attraversato il canyon. Perso l’orientamento e sbagliato e ritrovato il sentiero, più e più volte. Ho compreso l’intensità della luce, la profondità delle grotte, la vastità dei cieli. Dovevo raccontare tutto questo. Far passare il vento. Custodire il mistero. Aprire finestre. Il mio libro non doveva essere perfetto ma vero, come un taccuino di viaggio nell’isola.
Tornata a Roma, con le foto e i ricordi ancora vivi, ho messo giù tutto. In una settimana avevo lo storyboard e la maquette: trenta piccole illustrazioni formato cartolina realizzate con una penna a inchiostro. Nel bianco, il cielo, il mare, il vento. Nel nero la grotta, la terra dura, i suoi abitanti vegetali e animali. La luce e l’ombra avrebbero raccontato l’isola e le sue tradizioni, l’antica leggenda del campanellino d’argento, rievocato e festeggiato la grande artista.
Sebbene avessi fatto molta strada, avevo però lasciato indietro qualcuno di importante: il pastorello della leggenda. Mentre la capretta, col suo pelo lungo, si era perfettamente inserita tra le rocce e i cespugli d’inchiostro, il pastorello non aveva ancora trovato la sua immagine ideale. Era arrivato il momento di affrontare il problema. Ho ripreso tutte le prove fatte fino a quel momento. Rivisto i film e le tante foto sulla Sardegna in bianco e nero. Ora erano i luoghi che avevo illustrato a chiedermi il loro pastore. Mi sono accorta che fino a quel momento avevo vestito il pastorello con la mia idea poetica e romantica di lui, volevo che avesse la grazia di un Segantini e rifiutavo l’immagine più vera e cruda dei pastori di Gavino Ledda. È come piantare una rosa nella sabbia, è fuori dal suo mondo. Il ginestrino delle scogliere ha la stessa dignità della rosa, e la sua bellezza sta nell’armonia delle sue forme che si adattano perfettamente ai luoghi in cui cresce.
Come avevo fatto a non accorgermi che quel cappello di paglia che avevo messo in testa al mio pastorello fin dall’inizio non gli stava bene? In Sardegna i pastori, bambini e adulti, indossano la giacca di velluto, un gilet, la camicia e in testa, in testa su bonétte, il tipico berretto di panno scuro. A volte un piccolo particolare può cambiare tutto. Finalmente lo avevo trovato, e dalla cima della montagna il panorama era davvero bellissimo.
Alba sul mare vista da Ulassai, acquerello, luglio 2016. Gioia Marchegiani.
Questo libro è stata l’occasione per incontrare persone straordinarie che hanno reso ancora più bello il viaggio. Prima fra tutte Maria Sofia Pisu, nipote di Maria Lai, a cui sono profondamente grata per aver sostenuto con entusiasmo e affetto noi e il nostro progetto fin dal primo momento.