Illustrare il dissenso

Da anni non si assisteva, come nelle due settimane trascorse, a un proliferare di immagini di contestazione e protesta. L'elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti d'America ha scatenato interi reggimenti di artisti e illustratori, in ogni angolo del mondo, ben determinati a far sentire la propria voce e dichiarare il proprio malcontento, nella speranza che anche le immagini contribuiscano a una sollevazione popolare globale che riesca a porre un freno a politiche dissennate e contrarie a una condivisa idea di giustizia sociale e libertà personale.

Un'illustrazione di Etienne Delessert, dal suo profilo Facebook. (©Etienne Delessert)

Questo è sempre accaduto. E alcune delle immagini prodotte a questo fine sono entrate con una forza inusitata nell'immaginario collettivo. Basti pensare al ritratto di Ernesto Che Guevara, diventato il simbolo della lotta contro la sopraffazione e la dittatura, per la libertà politica e la giustizia sociale in America Latina e, successivamente, in ogni angolo del mondo.

"Day of the heroic guerrilla" di Elena Serrano (1968): la versione originale del ritratto del Che.

Questo "movimentismo iconico" è spesso riuscito nell'intento di creare i simboli che avrebbero poi influenzato la vita e il pensiero di milioni di persone e consolidato un imagier collettivo ma, se lo si esamina proprio dal punto di vista delle immagini si nota una straordinaria inefficienza: queste immagini sono disparate, scollegate l'una dall'altra per quanto sottendano i medesimi concetti. E questo, se da una parte favorisce l'emergere di una o alcune immagini di particolare forza, dall'altra non riesce a creare uno stile comune che rafforzi il messaggio nel suo complesso.

Il Marat assassinato di Jacques-Louis David (1793) è l'icona dei martiri della Rivoluzione francese.

Per questo, sempre di più, ripenso alle immagini create dal movimento operaio e studentesco nel 1968 in Francia come a un esempio di "comunicazione integrata". Un impegno, profuso soprattutto dagli studenti delle Ecole des Beaux Arts di tutto il paese, riuniti in collettivo e dotati di strumenti minimi, con la complicità di alcuni pubblicitari, che forse non ha prodotto un'icona forte del movimento, ma ha creato uno stile di comunicazione nel quale tutti si potevano riconoscere.

E, in fondo, proprio questo è stato il suo grande successo: riuscire a realizzare immagini che fossero leggibili da operai e studenti, impiegati e pensionati; efficaci, memorabili, ma senza la pretesa di occupare tutto il campo.

Ripeto spesso che per fare bene un libro bisogna mettersi al servizio del libro, lasciando da parte le proprie ambizioni, il narcisismo, la voglia di stare sotto le luci della ribalta.

Forse questo vale anche per la comunicazione politica. Forse di questo abbiamo bisogno come non mai: una comunicazione in grado di unificare, pensata e realizzata collettivamente e finalizzata al raggiungimento di un obiettivo collettivo. Insomma, in questa campagna planetaria, come anche in tutte le altre che si stanno combattendo, servirebbe forse meno fiducia nel brand e più attenzione alla coerenza, alla leggibilità, alla condivisibilità.

E mi sembra giusto che, almeno in termini metaforici, per sconfiggere l'uomo solo al comando si possa fare affidamento su milioni di piccoli "signori nessuno" che rinuncino all'uniforme sgargiante ma riescano a riconoscersi e pretendano di essere riconosciuti.

Il laboratorio di serigrafia e, sotto, quello di litografia dell'Ècole des Beaux Arts di Parigi nel maggio 1968.