Insegnare il colore

[di Elena Iodice]

 

Quando ero piccola, ricordo di aver colorato decine di schede il cui scopo dichiarato era quello di insegnare a noi, bambini, il colore.

Colori primari e secondari si componevano in caselline ben riquadrate dove ogni tonalità trovava il suo posto. Rosso+giallo=arancione. Giallo+blu=verde. Erano equazioni precisissime che poco spazio lasciavano ad un contributo soggettivo. Non potevano esserci errori, non erano ammesse divagazioni. Credo che quelle schede spopolino ancora grandemente tra i banchi di scuola. Con le dovute eccezioni, il risultato di questa pratica è una certa rigidità nei confronti del colore. Esso  è indiscutibilmente e incontrovertibilmente definito dal nome che un qualche produttore ha inciso sulla bacchetta di legno. Blu oltremare, Giallo limone, Terra di Siena. A prova di errore, insomma. Se, però, si esce dalla scatola di pastelli per esplorare il mondo, le cose si fanno più complesse. Quelle tabelle, quella nomenclatura mostrano falle, si rivelano inefficaci per descrivere la superficie delle cose.

Esiste, allora, un modo diverso per insegnare il colore che non passi attraverso la rigidità di quelle griglie? Esiste ed ha la forma di un libro. Interazione del colore, di Josef Albers, riedito in occasione del cinquantenario dell’opera da Il Saggiatore con introduzione di Bruno Munari e prefazione di Nicholas Fox Weber, Direttore Esecutivo della Josef and Anni Albers Foundation è, vuole essere, prima di tutto, un saggio sull’insegnamento del colore.

Josef Albers, Interazione del colore (Il Saggiatore, 2013).

Parte da un presupposto che sembrerebbe sconfortante: il colore sfugge ad ogni classificazione. È proprio questo che stimola Albers: se non lo si può definire, si può, invece, tentare di osservare come cambia, affinando lo sguardo e divenendo capaci di una visione profonda. Come scrisse Howard Sayre Weaver in una recensione del 1963 in seguito alla prima edizione, Interazione del colore era «una fantastica via d’accesso alla percezione». L’opera di Albers fu cruciale proprio perché descriveva «un procedimento attraverso il quale appropriarsi di un metodo particolarissimo per apprendere, insegnare e fare esperienza del colore» (dalla prefazione di Nicholas Fox Weber).

Josef Albers è stato uno dei maestri del Bauhaus, la scuola fondata a Weimar dal visionario Gropius che riteneva possibile l’idea di un’Arte totale, capace di fondere pittura, scultura, design e artigianato. Albers iniziò la sua carriera nella scuola creando assemblages di vetri colorati che scovava nella discarica della città di Weimar. Proprio l’uso del vetro, della luce e del colore costituì il punto di partenza di una ricerca che accompagnò la sua intera vita al Bauhaus prima, al Black Mountain College poi, dove si rifugiò per sfuggire al dilagare del nazismo dopo la chiusura della scuola di Weimar.

Josef Albers teaching, 1955–56 (foto di  John Cohen per gentile concessione della Josef and Anni Albers Foundation © John Cohen).

«Questo libro è il ringraziamento ai miei studenti»: la dedica che apre l’opera racconta già moltissimo dello sguardo di Albers. La citazione di quelli che l’artista considera «i miei indiretti ma principali collaboratori» torna anche al capitolo XXVI (Al posto di una bibliografia. I miei collaboratori più importanti), quasi in chiusura del saggio.

«I miei allievi mi hanno insegnato sul colore molte più cose di quante io non abbia appreso dai testi dedicati a questo argomento…Questi interventi provengono dalle due parti: sia da una maggioranza di studenti normalmente dotati sia dalla minoranza di studenti con un talento superiore alla media. Soprattutto la maggioranza mi ha insegnato come procedere, come aprire gli occhi e la mente: fatto ancora più importante, mi ha insegnato cosa non fare». L’incipit e la chiusa del libro indicano il modo proprio di Albers: nulla era dato, tutto si doveva scoprire passando per l’esperienza diretta. «Per poter usare il colore efficacemente, è necessario sapere che inganna di continuo…Lo scopo di uno studio come questo è sviluppare -attraverso l’esperienza e gli errori- l’occhio per il colore. In particolare ciò significa sia saper vedere l’azione del colore sia sentire la relazione specifica tra i colori». Perché i colori, ci dice Albers, si presentano come un flusso continuo, costantemente in rapporto con i vicini e con la luce che modifica tutto. Ed ecco che si parte, andando a definire prima di tutto “i volti del colore”: caldo, tiepido, freddo. E poi la luminosità e la brillantezza a completare una mai troppo stabile carta di identità del colore.

Proseguendo con la lettura, è facile immaginarsi Albers accerchiato dai suoi studenti in mezzo a ritagli di carte colorate che prediligeva proprio per la possibilità che davano di osservare infinite variazioni sul tema.

Josef Albers teaching, 1955–56 (foto di  John Cohen per gentile concessione della Josef and Anni Albers Foundation © John Cohen).

«Se la scelta delle carte richiede una certa pazienza, anche la loro presentazione esige abilità e pulizia». Sottrazione del colore, contrasti, effetti simultanei, l’illusione della trasparenza, miscele ottiche, trasformazioni, intersezioni, giustapposizioni: quadrati, strisce, rettangoli passano dalle mani di Josef e dei suoi studenti per creare infinite variazioni e annotare, passo dopo passo, le modificazioni osservate. Erano le domande a muovere la riflessione, le relazioni inusuali tra le tinte a permettere un ragionamento capace di andare oltre i pregiudizi e i preconcetti.

Josef Albers teaching, 1955–56 (foto di  John Cohen per gentile concessione della Josef and Anni Albers Foundation © John Cohen).

«Partendo direttamente dal materiale, il colore in sé, e analizzando come la sua azione e interazione vengono registrate nella nostra mente, effettuiamo prima di tutto e principalmente uno studio su noi stessi», scrive Albers. Infine, in un capitolo il cui titolo racchiude il senso dell’intera opera (Insegnare il colore) Josef esplicita il suo metodo che si oppone dichiaratamente al rapporto classico “teoria e prassi”.

«La pratica non è preceduta ma seguita dalla teoria. Questo studio favorisce un insegnamento e un apprendimento più significativi e consolidati proprio attraverso la pratica. Il suo scopo è lo sviluppo della creatività attraverso la scoperta e l’invenzione [...] Tutto ciò porta ad un pensiero pratico, un nuovo concetto educativo sfortunatamente poco conosciuto e ancora meno praticato. Le tavole a colori selezionate e pubblicate in questa edizione sono quindi in senso stretto studi, cioè prove sperimentali che tendono ad un unico e particolare effetto, commissionato a suo tempo come esercizio obbligatorio a tutti i membri della classe. Queste prove non sono concepite per illustrare, decorare o abbellire qualcosa ma tendono allo sviluppo delle abilità nel produrre gli effetti cromatici desiderati. Riteniamo che l’educazione artistica sia una parte essenziale dell’istruzione generale, anche nel cosiddetto insegnamento superiore. Quindi, dopo un naturale e semplice laissez-faire iniziale di prova, noi promuoviamo un rapido passaggio dal gioco senza fini determinati a uno studio e a un lavoro indirizzati a obiettivi specifici, offrendo una formazione di base e un continuo stimolo alla crescita.

Detto in termini psicologici-educativi, si va da un riconoscimento del primo ma primitivo impulso ad essere occupati e intrattenuti - Beschäftigungstrieb - ad un impulso più avanzato, alla necessità di essere produttivi e creativi - Gestaltungstrieb. In questo modo, la ricerca sarà un mutuo dare ed avere e dimostrerà anche che tutto nello studio è fondamentale e che l’istruzione è sempre auto-istruzione. In fondo insegnare non è una questione di metodo ma di sentimento».

Josef Albers teaching, 1955–56 , Foto di  John Cohen (per gentile concessione della Josef and Anni Albers Foundation © John Cohen).

Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1963 dalla Yale University Press, suscitò subito un interesse altissimo proprio per questo approccio rivoluzionario, basato sulla sperimentazione e sul coinvolgimento attivo del lettore. Tra le molte recensioni che gli arrivarono, però, quella di uno sconosciuto professore dell’Università del Nevada di Las Vegas lo colpì particolarmente, probabilmente per aver colto nel profondo il motore vero della sua ricerca: «In un’epoca in cui, in ogni area del sapere, si è fatto così evidente il bisogno di sensibilità e di umanità, una più profonda consapevolezza e sensibilità per il colore possono diventare una delle armi più efficaci contro l’indifferenza e l’abbruttimento».

[Josef Albers, Interazione del colore. Esercizi per imparare a vedere, con prefazione di Bruno Munari e introduzione di Nicholas Fox Weber. Traduzione di Isabella Chiari (Edizioni Il Saggiatore, 2013)]

Capitolo XI - Trasparenza e illusione spaziale.

Capitolo V - Intensità del colore e brillantezza.

Capitolo XIV - Intervalli e trasformazione del colore.

Capitolo XVII - Colore pellicola e colore volume.

Nota a margine: durante il lockdown la Josef and Anni Foundation ha aperto un canale Youtube in cui propone attività per bambini direttamente ispirate agli esercizi che Josef Albers insegnava al Bauhaus, al Black Mountain College per insegnare la relatività del colore e il potenziale di semplici materiali. Le tavole contenute nel libro si comprendono facendo, muovendo le mani, manipolando pezzetti di carta. Credo che a Josef questo sarebbe molto piaciuto.

Albersforkids – lezione 1: Bianca sperimenta l’interazione del colore.

Albersforkids – lezione 2: Bianca sperimenta l’interazione dei colori.

Albersforkids – lezione 3: Bianca sperimenta i gradienti.

Albersforkids – lezione 5: Bianca sperimenta la magia del colore.

Albersforkids – lezione 5: Bianca sperimenta la magia del colore.