A proposito di bambine (e bambini) ribelli

Sono mesi che i media parlano di Greta Thunberg, ma negli ultimi giorni, fra la proposta di farla Nobel per la pace, lo sciopero gloable per l'ambiente del 15 marzo che ha visto milioni di bambini, ragazzi e studenti nelle piazze di tutto il mondo, e le brutte figure di una cantante nostrana che prima ha sbeffeggiato pubblicamente la Thunberg sui suoi social e poi si è lagnata di essere stata vittima degli hater da tastiera, insomma, su giornali, riviste, twitter e facebook non si fa che parlare di lei.

A noi sono sembrate interessanti e condivisibili due riflessioni che Isabella Mattazzi ha fatto in questi giorni sulla sua pagina Facebook. Già una volta, qui, abbiamo ospitato la sua voce a proposito di questioni relative ai ragazzi e al rapporto difficile (e piuttosto ipocrita) che gli adulti hanno con loro. In effetti ci siamo chiesti come mai tanto astio verso Greta e i suoi coetanei che con tanta veemenza manifestano in tutto il mondo per portare sotto gli occhi dei governi l'emergenza ambientale: come mai tanta diffidenza, sospetti, critiche, sarcasmi, da parte delle generazioni dei trentenni, dei quarantenni, dei cinquantenni, dei sessantenni eccetera che non ci sembra fin qui abbiano mostrato particolare attenzione all'ambiente, come peraltro dimostra l'imminente apocalisse. Esemplare di questo modo di pensare è un articolo uscito sul Foglio firmato da Piero Vietti che già dal titolo sprizza un sarcasmo degno di miglior causa: Risparmiateci i bambini climaticamente corretti e gli adulti che li usano. Vietti, insomma, come molti altri di cui esprime l'opinione con la tipica mancanza di rispetto di chi non ha argomenti, si fa portavoce di un'idea secondo la quale questi ragazzi sarebbero animali ammaestrati nelle mani di una sinistra che ha fatto di loro fenomeni di quel gran baraccone che è il buonismo il cui obiettivo è garantirsi una coscienza a posto e non una meditata azione, in particolare ammaestratissime sarebbero le ragazze e le bambine (non sia mai che una bambina o una ragazza e per di più 'difettosa' possa essere a capo del più importante movimento spontaneo ambientalista degli ultimi cinquant'anni). C'era da aspettarselo in tempi di grande misoginia e inarrestabile restaurazione. Come se i quattro pensieri e le quattro ipotesi che possiamo formulare su questo movimento sulla base di stereotipi e pregiudizi sempre più inutilizzabili, servissero davvero a capire cos'è e cosa farà accadere. Come se la nostra ansia di controllo, - individuale, colletivo, politico, intellettuale - non potesse essere per una volta, in un empito di serietà e di responsabilità, messa a tacere per farci dire: ascoltiamo, osserviamo, perché di questo non sappiamo niente. Perché questo è nuovo, nuovissimo. Come se fosse il "buonismo" la causa di tutti i mali dell'Occidente, e non, per dire, un suprematista bianco che con in testa una telecamera spara a 49 persone con un'arma che porta inciso il nome di un attentatore nostrano. Come se un movimento giovanile come quello che si è formato in modo del tutto spontaneo e imprevedibile, in pochi mesi, in tutto il mondo, potesse essere controllato, pilotato, manipolato, incanalato. Ma si sa, screditare e distruggere è da sempre la strada più breve per eliminare dal proprio campo visivo ciò in cui non ci si riesce, narcisisticamente, a specchiare.

E infine: siamo andati tutti in brodo di giuggiole per il libro delle bambine ribelli, persino la Thatcher abbiamo sventolato come emblema di girl power, e adesso che arriva sulla scena una bambina ribelle doc che a 16 anni fa tutto da sola mobilitando milioni di persone, cerchiamo di affossarla, crocifiggendola, accusandola di aver orchestrato una diabolica strategia di marketing per vendere un libro?

[di Isabella Mattazzi*]

I ragazzi sono soggetti politici

In questi giorni in cui il focus della stampa italiana e estera è sull’emergenza climatica, la coda dei social - che come sempre segue il dibattito – sembra essere orientata su posizioni più rigide di quanto mi aspettassi. Il problema è quello della “non credibilità” di un movimento che ha come punto di riferimento simbolico una ragazza adolescente, Greta Thunberg, descritta spesso e volentieri con tratti infantilizzanti (le treccine, il viso paffuto…) e chiamata il più delle volte "la bambina". Lasciando perdere le posizioni rozze e insultanti di cantanti e affini che francamente si commentano da sole, ci sono parecchie persone che in modo più articolato e sottile pensano che Greta Thunberg sia stata manipolata, che i suoi genitori non le stiano concedendo di fare la sua vita da ragazzina, che sia capitata in un mondo più grande di lei dove il suo ruolo non può essere che quello di un burattino, di una bambolina a cui hanno tolto la libertà (la libertà di essere una sedicenne) e a cui stanno facendo recitare una parte che non le spetta. Addirittura ho letto su diverse bacheche che quanto sta succedendo in questi giorni è soltanto un’immensa operazione di marketing per vendere il suo libro (come è noto, infatti, le case editrici hanno da sempre il potere di far scendere migliaia di persone in piazza…).

Ora, mentre presto attenzione a tutti questi distinguo mi chiedo quanto chi punta il dito abbia davvero avuto a che fare con i ragazzi dell’età di Greta Thunberg, quante volte abbia parlato con un adolescente tra i sedici e i diciott’anni. Cosa vuol dire “fare la vita da ragazzini”? Come pensate possa essere la vita di un giovane liceale?

Io un ragazzino ce l’ho in casa - ragazzino che proprio in questo momento è in manifestazione con i suoi amici - e posso dire che la sua vita di adolescente è molto più impegnata socialmente e politicamente della mia. O meglio, posso dire che il mio discorso politico e il suo si equivalgono, hanno la stessa “presenza”. Il mio ha dalla sua il peso dell’esperienza, ma il suo non è certo meno incisivo. Continuare a pensare agli adolescenti come a qualcosa di completamente avulso dal terreno politico secondo me non solo è una grande mancanza di rispetto, ma è completamente errato.

Un sedicenne, oggi, di media cultura come può essere Greta Thunberg, come possono essere i nostri figli, ha a disposizione una quantità e una varietà di notizie che noi alla loro età ci sognavamo. L’accesso massiccio e libero alle informazioni dato dalla cultura digitale ha di fatto prodotto, nel bene e nel male, un radicale abbattimento del gap esperienziale tra le generazioni. Questo vuol dire che un sedicenne, se ben informato, se curioso, se intelligente, non è affatto un burattino nelle mani di un mondo adulto e malvagio, ma ha una precisa identità e una competenza discorsiva che vanno rispettate e ascoltate.

Mio figlio, che ha fondato un presidio studentesco di Libera nel suo liceo, che organizza un cineforum sul cinema di mafia, che ha passato l'estate ad aggiustare porte e finestre di un centro accoglienza nel napoletano, che parla con gli studenti di altri licei o delle università milanesi per fare rete e che oggi è in manifestazione, non è stato manipolato, non è stato sottratto proprio da nessuno alla sua vita da ragazzino, semplicemente perché QUESTA è la sua vita da ragazzino. Che noi lo vogliamo o no, anche gli adolescenti sono soggetti politici, che lo vogliamo o no voteranno domani, e io dico per fortuna, perché se queste sono le nostre posizioni sul mondo abbiamo davvero bisogno di cambiare prospettiva.

Greta o dell'integrità del pensiero

Di Greta Thunberg stiamo continuando a parlare. Di lei, molto più che della manifestazione. Di lei come persona, molto più che dell’emergenza ambientale che dovrebbe essere il solo e unico centro del dibattito.

Perché? E perché si è scatenata una macchina del fango tra le più cattive e violente degli ultimi anni su di lei – sul suo corpo (lo sguardo di Greta, gli occhi di Greta, l’età di Greta…), sulla sua vita quotidiana (Greta che mangia su piatti di plastica in treno, Greta che salta la scuola…) - molto più che sul problema che ha sollevato? 

Certo, attaccare un tema così evidente e universalmente condivisibile come il riscaldamento globale è difficile, richiede competenze e un’autorevolezza che pochi di noi hanno, ma al di là di questo mi sembra che il tiro al bersaglio di questi giorni c’entri molto poco con un’eventuale presa di posizione anti-ecologica, quanto piuttosto con qualcosa di radicalmente profondo, incistato negli strati più intimi del nostro inconscio di utenti fb.

Il problema numero uno, a mio avviso, risiede nel fatto che una ragazza sia riuscita a portare in piazza milioni di persone. Una ragazza che con due-tre discorsi importanti e una campagna di sensibilizzazione nata in assoluta solitudine ha coinvolto ragazzi di 2083 città in 125 nazioni. Numeri da capogiro. Numeri riservati fino a oggi ai follower di attrici-modelle-influencer. Si sa, Chiara Ferragni smuove un mercato di migliaia di ragazzine che vogliono vestirsi come lei, pettinarsi bionde e boccolose come lei, pensare-parlare come lei. Fin qui tutto normale. Siamo abituati a gestire il femminile così. Se sei magra, se hai gli stivali con il tacco, le unghie dipinte e vai tre volte a settimana dal parrucchiere allora hai diritto a una visibilità che altri non hanno.

Questo modello non risparmia neppure la rappresentazione del femminile “impegnato”. Donne come Michelle Obama o Alexandria Ocasio-Cortez, che hanno una presenza politica e culturale forte, che trattano temi profondi e che mediaticamente hanno un carisma indiscusso, appartengono comunque a una dimensione di glamourizzazione evidente. Se non fossero le donne che sono (e grazie a dio che lo sono), potrebbero fare le attrici. La loro immagine è molto condiscendente verso la nostra idea di un femminile piacevole e quindi “interessante”.

Bene, a Greta Thunberg invece, con ogni evidenza, di essere condiscendente con la nostra idea di “femminile interessante” non frega proprio niente. Si veste in modo sobrio, non si trucca, non cambia pettinatura, sorride solo quando pare a lei. Cionondimeno è bella, è giovanissima, non ci porge neppure l’appiglio della asessualità che siamo abituati a riservare alla nostra immagine della donna di scienza (alla Levi Montalcini, per dire). Il carisma di Greta Thunberg è il carisma della bellezza pura, senza orpelli, del pensiero pulito, di chi pensa di avere delle cose da dire e che bastino quelle a giustificare la sua presenza nel mondo. Molti stanno cercando di addomesticare il suo volto rubricandolo alla voce Malattia (“ah, sì, ha quella faccia lì perché è Asperger, certo, adesso si spiega tutto”). Alcuni stanno cercando di depotenziarlo con il disprezzo (“mi inquieta, fa schifo, mi ricorda Mercoledì Addams”). Io trovo che sia solo e soltanto magnifico che una giovane donna abbia mostrato a tutti quanto può essere incredibilmente potente l’integrità del pensiero.

(abbiamo attribuito a questi testi, per distinguerli, due titoli che tuttavia non compaiono nei post originali).

*Isabella Mattazzi insegna Letteratura francese presso l’Università di Ferrara ed è ricercatrice associata presso il CNRS. È traduttrice editoriale dal francese e scrive per il supplemento culturale del Manifesto, per L’Indice dei Libri e per numerose riviste di settore.