A quattr’occhi con Franz Kafka

Cosa significa illustrare un testo di uno dei più grandi scrittori del Novecento? Che ricerche comporta, quali riferimenti, che letture, quale libertà, che vincoli? Oggi Anais Tonelli racconta il complesso e lungo lavoro che le ha richiesto Il cavaliere del secchio, una delle nostre novità per la primavera 2021: un racconto di Franz Kafka, tradotto da Anita Raja, illustrato con una postafzione di Martino Negri. Di questa edizione ha scritto qualche settimana fa Giovanna Zoboli, qui.

[di Anais Tonelli]

Illustrazione di Anais Tonelli (matite colorate e papercut).

Confesso di aver letto per la prima volta il racconto Il cavaliere del secchio quando i Topi mi hanno contattato per illustrarlo. Con Giovanna ci si scherza su, ma affrontare i Salmi (Ascolta. Salmi per voci piccole, il primo albo che ho illustrato per i Topipittori) e poi trovarsi a quattr'occhi con Franz Kafka getterebbe chiunque in uno stato di angoscia ed euforia sbigottita. Un'illustrazione di Janet Ahlberg, che ho molto amato da bambina, descrive perfettamente la mia prima reazione alla proposta dei Topi:

Eppure mi sono ricomposta abbastanza rapidamente e ho iniziato a leggere e a documentarmi sul testo. Der Kübelreiter è il titolo originale di questo racconto breve del 1916 pubblicato nella sua versione definitiva sulla rivista Prager Presse, il mattino del natale 1921, giusto 100 anni fa. La struttura semplice, da fabula, nasconde complessità onirico-metaforiche e nello stesso tempo affronta tematiche realistiche legate alla contemporaneità storica dell'autore: c'è il riferimento alla drammatica situazione dell'inverno 1916 in Boemia, laddove il protagonista io narrante è alla ricerca disperata del carbone per scaldarsi e non morire di freddo, ma poi il secchio vuoto del carbone viene usato come un destriero per volare oltre e trasforma così la missione per la sopravvivenza in una «quête da cavaliere errante», come già disse Calvino nelle Lezioni Americane.

Quando inizio un nuovo progetto trascorro molto tempo a fare ricerca, mi nutro di immagini, suggestioni, aneddoti. Lascio sedimentare tutto quanto e pian piano riemergono elementi che diventano poi il tema su cui lavoro. Il problema con Kafka è che la ricerca tende all'infinito e rischia di trasformarsi nella tana del Bianconiglio, con deviazioni secondarie impervie ed esaltanti: un’ottima scusa per acquistare compulsivamente un sacco di libri e perdersi nell'immenso repertorio di immagini e autori che sono stati influenzati da Kafka.

Persino l’amato Charles Addams ha realizzato un'illustrazione del Cavaliere del secchio per il New York Times, il 9 febbraio del 1974.

Il cavaliere del secchio illustrato da Charles Addams (New York Times, 1974).

Così come il cavaliere ondeggiava sopra la città, volando verso il suo obiettivo, ma di fatto impossibilitato a raggiungerlo, io mi perdevo nel mondo del suo autore e accumulavo materiali, suggestioni, e idee. Mi sono infatuata di altre creature immaginate da Kafka  (come il gatto-agnello di Un incrocio, che è finito in copertina in braccio a Kafka bambino), ma anche dell’arte popolare Boema, dei costumi tradizionali, degli oggetti di uso comune e di tanti, tantissimi secchi per il carbone. Il racconto sfuggiva alla mia presa forse perché, nella sua apparente semplicità, è in realtà sospeso nell'indeterminatezza onirica: le montagne di ghiaccio sono metafora di una fine inevitabile e tragica, o sono un luogo di speranza? Il secchio si fa cavalcatura, ma poi la sua “leggerezza” spinge il cavaliere oltre i confini del reale.

Studi di Anais Tonelli sull'immaginario di Kafka.

Quello che mi era chiaro, forse sin dall'inizio, era la base cromatica: il blu che volevo fosse il colore predominante. Blu di Prussia, Bluish Grey, Indanthrene Blau, Sky Blue, Smoke Blue, Dark Indigo, tonalità fredde perfette per rendere sia l'ambiente fisico che l'etereità del cavaliere. Sapevo anche che avrei lavorato con la matita, magari con qualche dettaglio di rosso e giallo (Middle Cadmium Red, Yellow Ochre, Pastel Beige) per accentuare il contrasto tra il mondo del cavaliere e dei monti ghiacciati, ai quali in un certo senso lui da sempre appartiene, e quello confortevole e caldo della casa del carbonaio, dove la moglie sferruzza seduta sulla panca della stufa con la schiena piacevolmente al caldo.

Avevo inoltre realizzato diverse tavole in papercut, in cui apparivano gli elementi ricorrenti del racconto: il secchio, la pala, la megera, il cavaliere. Quando illustro, lo strumento che uso più spesso sono le matite colorate, perché mi piace controllare il gesto e lavorare l'immagine a poco a poco, per sovrapposizione, ma mi sembrava che il testo di Kafka, così ferente e limpido, cercasse una linea meno morbida e più netta. Il papercut mi ha permesso di sfogare la mia mania per i dettagli, ma anche di produrre immagini in cui il contrasto fra figura e sfondo fosse assoluto, con contorni più aspri. Lo stesso vale per gli studi a china: alla delicatezza del pastello contrapponevano un segno più ruvido e deciso, come il suono stridente del pennino sulla carta.

Matite colorate e papercut: la mania per i dettagli di Anais Tonelli.

Nelle mie ricerche iconografiche mi ha affascinato il Masopust (carnevale slavo), con le sue maschere: i Diavoli, la Morte Smrt, il Cavallo, il Cervo, l'Orso, la Bàba (una vecchietta con una gerla sulle spalle) e le ho immaginate abitare i monti ghiacciati, questo luogo-non-luogo di trascendenza.

Le tavole che ho realizzato sono fitte di presagi, presenze ultraterrene spiano il cavaliere nascoste dietro alberi nodosi, e popolano, come fantasmi, gli spazi bianchi attendendolo dall'altra parte. Una serie di testimoni silenziosi assiste al volo del cavaliere sopra la città e la strada: un gatto, dei bambini, creature propizie ai riti di passaggio. Quando il cavaliere arriva finalmente a destinazione ed implora la moglie del carbonaio di aiutarlo lei non è più in grado di vederlo, come se quel volo lo avesse irrimediabilmente mutato, reso invisibile.

Le maschere del Masopust (il carnevale slavo) che hanno ispirato gli abitanti delle montagne ghiacchiate nelle illustrazioni di Anais Tonelli.

Compagni di invisibilità del nostro protagonista sono anche i topi: il loro manto blu è ispirato al Bestiario della letteratura (1922) di Franz Blei, dove una creatura denominata Die Kafka è descritta in questi termini: «topo dal colore blu lunare, splendido ma difficile da vedere, che non mangia carne, nutrendosi solo di erbe amare. Il suo sguardo affascina, perché ha occhi umani».

Ad un certo punto della lavorazione avevo accumulato molto materiale (studi, schizzi, anche qualche tavola che ritenevo definitiva) ma il libro stentava a prendere forma compiuta. Molti schizzi sembravano già perfetti così, e c'era il rischio che perdessero la loro freschezza nella ricerca di una forma più definita. È stata Giovanna a trovare il bandolo della matassa, proponendo di organizzare le immagini secondo la struttura del libretto d'opera, nel quale al testo seguono gli studi dei personaggi, dei costumi, delle scenografie. Mi sembrava che questa ossatura potesse calzare perfettamente al racconto, mantenendone la complessità ma anche il mistero.

Schizzi preparatori di Anais Tonelli per Il cavaliere del secchio.

Con Anna (Anna Martinucci, eroica grafica dei Topipittori) e Giovanna abbiamo dunque ordinato il materiale per soggetto (il secchio, il cavaliere, la città, la strada, il carbonaio, la moglie del carbonaio, la casa del carbonaio, i monti ghiacciati e infine l'autore) e, una volta stabilito quante pagine dedicare a ciascun tema, abbiamo fatto una prima selezione. Dopodiché ho ripreso le immagini che ci sembravano interessanti ma troppo embrionali, dando loro una forma più compiuta, e ne ho realizzate di nuove destinate ad arricchire i “capitoli” che erano rimasti più spogli. 
Il montaggio delle immagini è stata un'operazione certosina e da funambolo, Giovanna e Anna hanno lavorato passo passo al mio fianco e hanno tenuto duro anche quando io mi incagliavo, e finalmente siamo arrivate a una versione definitiva, ma allo stesso tempo indefinita.

L'autore.

La moglie del carbonaio.

Grazie alla sua forma eterogenea e aperta, il libro non cerca di ingabbiare il mistero del racconto e del suo autore e vuole invece lasciar viaggiare la fantasia dei giovani lettori: che possano trovare, come in un puzzle, i tasselli per costruire le loro immagini e i loro mondi possibili e, perché no, impossibili.