Smontare il mondo per rimontarlo migliore

[di Giovanna Zoboli]

Allora è andata così. Nel periodo della grande siccità, quando qui a Milano le piante stavano soffrendo moltissimo, mi è capitato di parlare con diverse amiche su cosa si poteva fare. Una di queste è stata Federica Buglioni, con la quale a un certo punto avevamo pensato pure di organizzare una manifestazione con tutti i partecipanti vestiti da alberi. Un giorno, in mezzo a questi deliri, lei mi ha detto: “Ci sono due miei amici molto battaglieri sul verde milanese. Se vuoi te li faccio conoscere. Sono Roberta Barzaghi ed Emanuele Breveglieri, che oltretutto hanno un laboratorio meraviglioso dove fanno un lavoro bellissimo.” E questo lavoro poi era lo Smonting.

  

Il laboratorio era davvero meraviglioso e loro due, fantastici. Durante quell’incontro abbiamo parlato degli alberi di Milano e di tante altre cose fra cui quello che facevano e di cui io non sapevo niente. Gran parte del loro lavoro è a contatto con bambini e ragazzi, con una forte componente educativa sui temi dell’ambiente. Perché lo Smonting sostanzialmente è questo: si prende un oggetto comune che non si usa più – un PC o un frullatore, un’aspirapolvere – e si inizia a svitare, staccare, sfilare, scollegare, estrarre, separare, finché non restano che viti, dadi, fili, sfere, molle, vetri, circuiti, motorini, altoparlanti, aste, tubi, calamite, avvolgimenti, resistenze, interruttori, guarnizioni, forme in plastica, ferro, rame, alluminio, acciaio, leghe varie. Poi si separano, e si pensa a cosa farne. Si possono usare per costruire nuove apparecchiature o oggetti, oppure si riciclano, e allora salta fuori tutta la tematica degli oggetti obsolescenti e delle materie prime di cui sono fatti. Da dove arrivano? Una volta che gli oggetti non servono più, che fine fanno? Possono servire ancora? Dove le si raccoglie? Chi lo fa? 

Per tutte queste ragioni, fare Smonting è un’esperienza formativa: non solo fa riflettere su quello che buttiamo e perché, ma nella sua fase operativa, quello dello smontaggio, impone osservazione e autocontrollo. Richiede di decidere cosa fare prima di cominciare, quale attrezzo utilizzare, come superare una situazione complicata. Magari di tornare indietro. E poi di rispettare le cose: smontare non è rompere, gli attrezzi vanno usati nel modo giusto, bisogna adottare precauzioni. Il tutto insieme ad altre persone, con la supervisione di un coach, e divertendosi, perché lo Smonting prevede un solo risultato: il successo. Ecco perché è un’ottima attività didattica.

Come è nato lo Smonting e perché si chiama così, lo hanno spiegato Roberta ed Emanuele, in un articolo sul nostro blog: «Smonting, nella sua forma più primitiva, nasce due decenni fa, durante un campo estivo a Milano: bambine e bambini avevano individuato, in un sottoscala, una serie di vecchi apparati elettrici ed elettronici e ci chiesero se potevano smontarli.

“Smontarli per fare cosa?” è stata la nostra risposta.

“Beh, per vedere come sono fatti dentro”. Una logica impeccabile. Così ci siamo organizzati con i primi attrezzi, i guanti, un sacco di entusiasmo e via. Da allora Smonting non si è mai fermato: sempre più bambine e bambini che si interessavano all’attività (il nome Smonting è una loro invenzione), noi sempre più “presi” nel cercare nuovi oggetti da disassemblare, nello scoprire cosa si trovasse al loro interno e come quello che si recuperava potesse essere riciclato o riutilizzato.»

Un po’ perché lo spazio laboratorio di Roberta ed Emanuele era incredibile e faceva venire voglia di stare ore a frugare in centinaia di cassettini e scatolini pieni di viti, chiodi, martelli, chiavi inglesi, bulloni, biglie, palline etc., un po’ perché le cose che dicevano mi sono sembrate veramente importanti, a un certo punto è uscita la famosa frase: sarebbe bello farci un libro. Poi però è passato un anno. In mezzo a tanti progetti non è mai facile trovare lo spazio per farne nascere un altro. Fra l’altro loro mi avevano prestato un libro bellissimo su questi temi, Unbored. The Essential Field Guide to Serious Fun. Insomma, presa dal senso di colpa, ho fatto su un pacchetto e ci ho infilato un biglietto, scusandomi di non essermi fatta sentire e di essermi tenuta il libro per tutto quel tempo. Finiva con la proposta di vederci di nuovo. E così è stato, questa volta anche con Paolo che, come me, è rimasto molto colpito dal laboratorio e dai suoi abitatori. Insomma, era arrivato il momento giusto per pensare al libro.

Non abbiamo mai ipotizzato di usare l'illustrazione, per visualizzare i contenuti di Osserva smonta ricicla ovvero l'arte dello Smonting. Che i testi dovessero essere accompagnati da fotografie era evidente.  Così, ci siamo rivolti a Giulia Bernardelli che con noi aveva già fatto le foto per Uovo sapiens, di Federica Buglioni. Un’esperienza riuscitissima. Solo che qui i soggetti da fotografare erano più difficili, non ci avrebbe supportato la sfacciata bellezza di frutti, foglie, fiori. Giulia comunque ha accettato di partecipare al progetto con un entusiasmo che non ci saremmo aspettati . Il tema di come sono fatti "dentro" gli oggetti tecnologici, ci ha detto, le piaceva moltissimo. Il suo contributo rivela, infatti, la generosità e l'attenzione che gli ha dedicato. Infine, su tutto, a organizzare, decidere, correggere, studiare le soluzioni migliori, fare e rifare, hanno vegliato la sapienza grafica e l’infallibile occhio austroungarico di Anna Martinucci, senza i quali, diciamolo, cosa mai faremmo?

Un'altra cosa ci è stata subito chiara, anche perché non l’avevamo mai fatta prima: parlare di tecnologia, cacciaviti, motori, energia, chip, fili elettrici, batterie, non sarebbe stata una passeggiata. Metterli su pagina, spiegarli, raccontarli, mostrarli, rendendoli attraenti, per un pubblico distantissimo da questi ambiti, dato che bambini/bambine e tecnologia sono agli antipodi nell’immaginario della gente (nostante bambini e ragazzi li usino e capiscano meglio degli adulti), ha richiesto l’immaginazione e gli sforzi congiunti di tutti. E una grandissima pazienza che, va detto, è un ingrediente indispensabile per fare i libri. Roberta ed Emanuele sono stati eccezionali ad accogliere tutte le nostre opinioni e i nostri dubbi su una materia che conoscevano come le loro tasche, e di cui noi sapevamo pochissimo. Ci hanno ascoltato e seguito, si sono fidati.

Insomma, questo libro, del tutto anomalo per noi, ci ha fatto sudare, ma ci ha anche dato moltissime soddisfazioni: fin dall’inizio siamo stati orgogliosi di averlo fatto e di come è venuto fuori. Oggi, per tutti questi motivi, aver vinto il Premio Andersen nella sezione non fiction, è stata davvero una grande felicità, un riconoscimento importante. E c’è anche un’altra ragione per cui siamo particolarmente contenti: il libro è uscito in una delle nostre ultime collane: Due occhi. Dieci dita pensata per insegnare ai bambini e ai ragazzi, attraverso diverse attività, a usare, insieme, mani, occhi e cervello. Due occhi. Dieci dita  propone libri che invitano alla creatività e alla concretezza, a essere curiosi della realtà, a conoscerla attraverso l’osservazione e la manualità, in un contesto culturale e sociale dove il virtuale sembra prendere sempre di più il sopravvento.

Quindi ringraziamo molto la giuria non solo per il premio a Osserva smonta ricicla ovvero l'arte dello Smonting, ma anche per la motivazione con cui ha descritto il libro. In poche righe centra esattamente il punto, riconoscendone l’essenza:

Per una proposta originale, capace di stimolare curiosità, invito all’azione e pensiero filosofico intorno a oggetti di uso comune, che diventano terreno di esplorazione del mondo. Per una riflessione ad ampio raggio – condotta con l’efficacia di testi e fotografie – sui materiali e le tecnologie che ci circondano, la loro efficacia, la loro obsolescenza. Per un’idea di educazione alla curiosità applicabile a tutti i campi esperienziali dell’infanzia.

La premiazione sarà a Genova, il 24 maggio, saranno presenti gli autori e, insieme, due Topepittrici.