Un teatro che parla al territorio

[di Barbara Scotti]

Sono stata molto felice quando, alcuni giorni fa, Giovanna Zoboli mi ha chiesto di scrivere un post sulla proposta che il Teatro alle Vigne di Lodi rivolge ai ragazzi. Lo sono stata non tanto e non solo perché Piera Rossi, la direttrice artistica, è un'amica con la quale in passato ho anche collaborato alla realizzazione di un piccolo festival, ma soprattutto perché, se pur a un occhio attento e sensibile come quello di Giovanna Zoboli, il lavoro (certosino, come lo definisce Piera Rossi durante la nostra chiacchierata) che da qualche anno viene portato avanti in questo teatro, non passa inosservato.

Piera Rossi ha trascorso la sua vita in teatro, rivestendo vari ruoli fra cui la direzione di festival come Autunno musicale a Como e Culture dei mari e la regia di due spettacoli tratti dai libri di Giusi Quarenghi E sulle case il cielo, edito da Topipittori e Io ti domando, edito da Rizzoli.

Piera Rossi al Teatro alle Vigne.

Approda per la prima volta alla direzione di un teatro tre anni fa e introduce subito alcune novità: le Officine del Teatro e il potenziamento dello staff attraverso l'inserimento di tre giovani specializzati in scienza dello spettacolo, musicologia e comunicazione e eventi.

Ci diamo appuntamento in teatro e con noi c'è anche Sara Rancati che si occupa dell'ideazione e della gestione delle Officine.

Ascolto un racconto entusiasta nel quale non si distingue nemmeno troppo fra la proposta per adulti e quella per bambini: si parla di teatro a prescindere da chi siano i destinatari e questo a me sembra molto bello.

Per Piera Rossi il teatro è una cosa viva, che si fonda sul racconto e sul lavoro artigianale. «Uno strumento che apre il cuore e la mente», incuriosisce e stimola ricerche personali ma che a volte è vissuto passivamente: si arriva, si vede lo spettacolo e si va via.

Da questa riflessione nasce l'idea di proporre degli strumenti che aiutino il pubblico ad andare nella direzione dell'indagine e della scoperta.

Per prima cosa si introducono i libretti di sala, un'idea semplice, concepita per approfondire la conoscenza del testo e dell'autore. Oggi sono diventati così popolari che vengono richiesti anche da chi non ha visto lo spettacolo.

Il passo successivo, con la nascita delle Officine, è quello di aprire il teatro e dare la possibilità al pubblico di esplorarlo.

Quella dell'officina–bottega-laboratorio è un'esperienza rimasta nella storia a testimoniare la dimensione artigianale dell'arte, il suo essere non solo e semplicemente prodotto da godere, ma anche qualcosa da praticare, da fare, mettendosi concretamente alla prova.

Le Officine, attraverso una serie di percorsi che riguardano la voce, il movimento, la recitazione, la lettura, hanno lo scopo di mostrare il funzionamento del teatro.

Immagini dai laboratori di Marco Muzzolon.

Le proposte sono rivolte agli adulti, ma anche ai bambini perché è proprio sui bambini, secondo Piera Rossi, che va fatto l'investimento maggiore: si è partiti il primo anno con un laboratorio creativo sulle maschere  per proseguire il secondo e terzo anno con un esperimento sul movimento legato alla percezione della musica.

Nella stagione 2017–2018 è stato aggiunto un percorso con lo scenografo Marco Muzzolon, già collaboratore del Teatro del Buratto: quattro incontri (nati da un'idea originale di Piera Rossi, Marco Muzzolon e Sara Rancati) legati allo spettacolo che i bambini vedranno in scena. Si parte dal foyer con il caschetto in testa per andare nelle quinte dove c'è il montaggio dello spettacolo: si assiste a una prova, alla sistemazione delle luci o a una prova fonica e durante il passaggio si apprende il gergo del teatro: le quinte, il soffitto, il sipario, l'arlecchino, il proiettore, la corda, il fondale ...

Immagini dai laboratori di Marco Muzzolon.

Sara Rancati racconta felice che i bambini si sono appropriati dello spazio del teatro e di un linguaggio specifico, sono partecipi, stanno in silenzio e hanno un'attenzione altissima. Vogliono scoprire e capire quello che vedono: fanno domande e provano in prima persona. Legare il percorso alla stagione è stata un'idea vincente e nella prossima, l'offerta verrà raddoppiata per soddisfare tutte le richieste.

Attraverso i percorsi è stato possibile instaurare un dialogo più diretto con le famiglie, un altro degli obiettivi di Piera Rossi che crede in un teatro che dialoga con il territorio e soprattutto con le famiglie e la scuola. Mi raccontano l'esperienza della rappresentazione di Becco di rame, una produzione del Teatro del Buratto. Lo spettacolo narra la vera storia di Becco di Rame, un’oca che ha perso il suo becco lottando contro la volpe per difendere il pollaio. Il veterinario del paese è riuscito a salvarla dopo un lungo intervento e a ricostruirle il becco con una protesi di rame.

Becco di rame.

Alcune insegnanti, stimolate dal racconto, hanno invitato a scuola il veterinario. Ogni bambino ha poi realizzato un modellino dell'oca e tutte le oche sono state esposte in teatro durante lo spettacolo. È stato un modo per consentire ai bambini di riconoscersi in un luogo e sentirsi protagonisti.

Un lavoro non facile quello rivolto alle scuole. Il punto di partenza (e la sfida) è il testo: nessuna concessione alle scappatoie, agli spettacoli didattici e didascalici, nessuna ricerca di un testo a partire da un tema ma la scoperta di un tema all'interno di un buon testo. E naturalmente richiesta di fiducia agli insegnanti. Una posizione che ha pagato con quattordicimila presenze lo scorso anno e alcune scuole, che si rivolgevano solo a Milano, tornate a vedere gli spettacoli a Lodi.

Per le scuole, il Teatro alle Vigne ha anche prodotto uno spettacolo dal titolo Bum ha i piedi bruciati, liberamente ispirato al romanzo Per questo mi chiamo Giovanni, di Luigi Garlando, e patrocinato dalla “Fondazione Giovanni e Francesca Falcone” e dalla dott.ssa Maria Falcone, con all'attivo già 42 repliche in giro per l'Italia.

Bum ha i piedi bruciati.

Nell'ambito della produzione per le scuole, quest'anno il teatro ha deciso di impegnarsi in una sfida ancora più grande che è quella di mettere in scena Le solitarie di Ada Negri in uno spettacolo dal titolo Ada. La solitaria in cui viene affrontato il tema della condizione femminile fra fine Ottocento e inizio Novecento e che vuole sottolineare due aspetti poco ricordati della poetessa lodigiana e cioè la sua prosa e il suo impegno sociale.

La risposta del pubblico ha confermato la validità dell'approccio: biglietti esauriti e abbonamenti che si rinnovano di anno in anno. La sfida è stata quella di portare un proprio percorso personale che ad un certo punto ha incontrato il gusto della città, come se la città, spesso definita dai suoi cittadini sonnolenta, lo stesse aspettando.

Laboratorio sulle maschere.