I regni dell'immagine/11. Vivian Maier

Alla fine del filmAlla ricerca di Vivian Maier in sala, due serefa, c'è stato un applauso. Non è cosa frequente che si applaudaal termine di una normale proiezione cinematografica. Peròpuò capitare. È un applauso senza destinatari, perché nessunodegli autori e dei protagonisti è li per raccoglierlo, se non ilpubblico stesso. Insomma è un applauso strano, impellente, ma pienodi assenze. Così gratuito che suona un po' surreale.
Nelcaso di questo film, una conseguenza adeguata alla storia raccontata:una vicenda pazzesca, al limite della credibilità, improbabile, eppurevera e per questo entusiasmante, spiazzante, struggente, inquietante,fiabesca, miracolosa. La storia della donna più riservata del mondo edel ragazzo più curioso del mondo, riuniti dal destino, per un caso,a un'asta di vecchie fotografie. La storia parte da qui: in quellascatola ci sono negativi di meravigliose fotografie in bianco e nero di unfotografo senza nome.


Il ragazzo che ne entra in possesso, John Maloof, che poi è anche l'autoree il regista del film (insieme a Charlie Siskel), spiega di avereacquisito a colpo d'occhio la capacità di vedere da lontano il valoredi una cosa grazie a una lunga frequentazione dei mercatini dellepulci. Che quei negativi valgano, perciò, lo capisce subito e licompra in blocco. Qualche tempo dopo, si mette a indagare e scopre cheappartengono a una donna, Vivian Maier.



Charlie Siskel
CharlieSiskel
e Charlie Siskel,, spiega diavere acquisito a colpo d'occhio la capacità di vedere da lontano ilvalore di una cosa grazie alla sua lunga frequentazione dei mercatinidelle pulci. Che quei negativi valgano, perciò, lo capisce subito eli compra in blocco. Qualche tempo dopo, si mette a indagare e scopreche appartengono a una donna, Vivian Maier

Chiè Vivian? La prima traccia di lei trovata daJohn è un necrologio uscito su un giornale qualche giorno prima. Ed èsignificativo che la scoperta di questo essere enigmatico avvenga, inmodo romanzesco, nel momento della sua scomparsa al mondo. Continuandole sue ricerche, sempre più coinvolto dalla personalità che lascianointravedere le migliaia di immagini scattate (alla fine risultanoessere 150 mila), John scopre, stupefatto, che Vivian non ha svolto laprofessione di street photographer,come le sue immagini perfette farebbero pensare. Per tutta la vitaè stata una bambinaia, prima a New York e poi a Chicago. E questo èsolo il primo dei tanti, continui misteri di un'esistenza trascorsa inmezzo agli altri nel segno del nascondimento, della dissimulazione,del silenzio e della solitudine.


Mentre John ricostruisce la vita di Vivian, a cui finisceper consacrare la propria, saltano fuori oltre che scatoloni suscatoloni di negativi, scatole su scatole piene delle cose più varie:biglietti di autobus, ricevute, comunicazioni dell'erario, lettere,bigiotterie, vestiti, camicie, giornali... Perché Vivian Maier,che di sé, delle proprie origini e della propria storia riuscìsempre a non far trapelare nulla, oltre che fotografa in incognito(lei si definì una sorta di spia), fu, secondo le parole di Maloof,una 'collezionista di cose inutili'.

PerchéVivian, che proteggeva se stessa dietro una reticenza maniacale (anchecon le poche persone che le furono amiche, nonostante le stranezze,il carattere spigoloso, a tratti minaccioso), ebbe una vocazione,un genio assoluto per il ruolo che si era scelta e che perseguì confedeltà: quello di testimone. Testimone di cose, persone, istanti,stati d'animo, caratteri, drammi, occasioni, conflitti; in una parola,testimone di tutto quello che incrociava il suo sguardo vorace. Unacapacità di visione e di attenzione penetrante, infallibile, la sua,alla quale, osservando le sue foto si direbbe non sfuggisse alcunaangolatura di quel che osservava.

“Avevauna comprensione esatta della natura umana, della fotografia e dellastrada” osserva uno dei fotografi intervistati sulla sua operache, a pochi anni dalla scoperta, è entrata fra le più importantidella storia della fotografia (nonostante le istituzioni ufficialituttora fatichino a riconoscerne il genio).
Questa personacosì schiva e difficile era capace di avvicinarsi agli altri egrazie alla Rolleiflex che non abbandonava mai (e in compagniadella quale si avventurava ovunque senza timore), di entrare incontatto con quel che erano, creando un spazio e un tempo in cuipotevano essere a loro agio con se stessi, meglio in cui potevanoessere se stessi.

Fra lemolte persone intervistate che ebbero la ventura di conoscere efrequentare Vivian Maier, numerosi furono i bambini, oggi adulti,di cui lei si occupò, e molti i loro genitori o parenti. Anche inquesto caso, i pareri su di lei appaiono singolarmente discordanti: peralcuni, i bambini furono la grande passione di Vivian (ne fotografò amigliaia, restituendo una visione dell'infanzia forte e profonda). Conlei, osserva la madre di uno di loro, la vita era sempre avventurosa,imprevedibile. Ma questa donna sapeva anche essere terribile, avevaossessioni, durezze, tratti di vera e propria crudeltà, un latooscuro percepito da tutti coloro che la conobbero e la amarono.
Alcune di queste persone si chiedono, nel corso del film, comefacesse una persona così creativa, dotata di  intelligenza ecapacità superiori a quelle di coloro per cui lavorava, a non sentirsifrustrata, facendo una vita da bambinaia.

Unagiovane donna, una delle ultime bambine accudite dalla Maier, rifletteinvece che quella vita Vivian l'aveva scelta e organizzata accuratamente:era il modo in cui voleva vivere, quello che le permetteva di nonscendere a compromessi. Ciò che le consentiva di proteggere sestessa dietro un anonimato che era la condizione prima della suamissione di testimone, prima ancora che di fotografa. Facendo labambinaia, come spiega Maloof, poteva disporre di tempo e dellapossibilità di “stare fuori”. Di attraversare il quotidianosenza distrazioni, come una persona qualunque, che era la condizioneimprescindibile per la sua creatività, l'unica cosa, cioè,che, probabilmente, la interessava.

VivianMaier era assolutamente consapevole del valore del proprio lavoro,non era ingenua o naif: sapeva di essere molto più che brava. In unalettera definisce le sue foto, senza falsa modestia, 'capolavori'. Equanto fosse profondo, acuto, il suo sguardo lo si capisce dagliautoritratti, bellissimi, che si fece, a centinaia. Così toccantinella loro onestà e verità, da lasciare senza parole.
Insomma, se ci riuscite, non perdete questo film. Oltre cheraccontare, benissimo, una storia di rara bellezza, ha il meritodi mettere le immagini all'altezza che dovrebbero sempre avere eche dovrebbe essere sempre ben chiara, nella testa di chi, qualunquetecnica abbia scelto, ne sia artefice.