Immaginare, scrivere, narrare. Uno studio sulla scrittura creativa a scuola è un saggio di Raimonda Maria Morani, Cristina Coccimiglio e Federico Longo della collana Ricerche Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), di Carocci editore, che attraverso differenti approcci e campi del sapere - antropologia, linguistica, pedagogia, psicologia, didattica, estetica, letteratura - presenta la scrittura come attività composita, a partire soprattutto dalle parole di insegnanti e scrittori, e delle esperienze realizzate nel passato e nel presente in diverse realtà sociali, culturali ed educative. Si tratta di un saggio molto ricco, in cui la scrittura (e la lettura), praticata con diverse finalità – espressione di sé, gioco, conoscenza, palestra di creatività e narrazione – viene proposta attraverso un ventaglio di voci ed esperienze (tutta la seconda parte del saggio è dedicata al dialogo con loro), come strumento di straordinaria vitalità educativa. Fra i diversi insegnanti e scrittori chiamati riflettere in queste pagine, insieme a Giusi Marchetta, Luisa Mattia, Nerina Vretenar, Ugo Cornia, Stefano Bordiglioni, Nicola Cinquetti, ci sono Antonella Capetti, Silvia Vecchini e Tiziana Bruno, autrici di tre saggi fortunati della nostra collana dedicata alla formazione. Inoltre, il sesto capitolo del saggio, Diventare albero. (Ri)scrivere nella scuola primaria, di Raimonda Morani, è dedicato all’analisi di un esercizio di scrittura proposto da Antonella Capetti ai suoi alunni, a partire della poesia di Giusi Quarenghi Se fossi albero, (dalla raccolta E sulle case il cielo, illustrata da Chiara Carrer). Siamo molto contenti che le esperienze di scrittura di cui queste tre autrici hanno trattato nei loro saggi da noi editi siano entrate a far parte di un lavoro collettivo così interessante, ampio e articolato, entrando in una rete di conoscenze condivise sempre più ampia.
Vi proponiamo un brano tratto dalla Prefazione al saggio, Conversazione con Bernard Friot*. Ringraziamo l’editore e gli autori del libro e in particolare Raimonda Morani, per averci permesso la sua pubblicazione.
Le immagini di questo post vengono da Exercise Book Archive e dall’archivio Quaderni Aperti.*
1. Sulla centralità della scrittura
Un tempo si lavorava molto sulla scrittura, anche se non è mai stato un argomento del tutto centrale; ora si parla molto più di lettura perché si discute dei metodi di apprendimento. In Francia c’è un dibattito che potrei definire emozionale ma poco razionale e sulla scrittura c’è proprio poco.
Mi pare che la scrittura sia una questione importante, soprattutto nell’adolescenza, perché è un’età in cui c’è uno sviluppo molto forte del linguaggio e c’è la necessità di comunicare nuove esperienze.
Secondo me ci sono due o tre cose che cambiano molto il rapporto con la didattica della scrittura. Una cosa è scrivere per bambini, un’altra scrivere con i bambini. La cosa più importante però è capire come leggono, perché diversi rapporti con la lettura generano diversi rapporti con la scrittura.
Parto dalla dichiarazione di Rodari che dice «Tutti gli usi della parola a tutti», penso anche alla capacità di trasmettere oralmente, di esprimere, di conversare e ritengo che sia un peccato aver dimenticato l’arte della conversazione che richiede naturalmente la capacità di sviluppare argomenti interessanti, di trovare le parole giuste, ma anche di dialogare. Penso anche all’arte della dialettica, che è un confronto con le parole. Sembra strano partire dall’orale, ma è fondamentale perché rappresenta l’inizio. La scrittura ci permette di fermarci a riflettere sul significato delle parole, di fissare dei termini che nel dialogo volano senza che il locutore sia consapevole dell’effetto che fanno.
Mi sembra che la scrittura narrativa abbia una funzione speciale che chiamerei vitale, nel senso che ogni storia, ogni racconto, è una metafora. Una metafora nel senso dell’etimologia della parola, perché è un modo di trasportare un significato, un messaggio che non possiamo esprimere direttamente, un modo indiretto di trasmettere e comunicare. Dunque una maniera di dare senso alle esperienze e alle emozioni e anche una possibilità di comunicare queste esperienze o emozioni agli altri.
Si tratta di educare, come diceva Bruno Munari, l’individuo creativo. Scrive in Fantasia: «L’individuo è creativo e quindi in continua evoluzione e le sue possibilità creative nascono dal continuo aggiornamento dell’argomento della conoscenza in ogni campo». Mi sembra importante questa idea di educare l’individuo creativo con le parole. Quanto alla poesia, ricordo la definizione di Rodari che dice «la poesia è la più alta forma di conoscenza e di esplorazione del linguaggio». Vuol dire che è un laboratorio perché è una parola concentrata; la poesia è davvero il modo di sperimentare tutti gli usi della parola. È anche una scuola di ascolto perché richiede di fermarsi per dare spazio a ogni parola per capire che la parola cambia significato quando cambia il contesto. Il rapporto tra parola e silenzio indica che la parola riempie un silenzio. Ci sono il prima e il dopo della parola, c’è qualcosa che succede in questo silenzio e in questo spazio.
Sketchbook (Buenos Aires, Argentina, 1968-1969).
Quaderno di esercizi con annotazioni personali e pensieri (Pechino, Cina, 1977-1978).
2. La scrittura a scuola
A scuola si devono creare situazioni di parole, situazioni comunicative diverse ogni giorno, perché non si può imparare “in teoria”. È nella pratica che si impara a parlare e a scrivere; naturalmente cito sempre Rodari perché penso che la lettura sia un momento di vita. Questo concetto è un po’ forte, ma si può dire che anche la scrittura è un momento di vita. Se è solo un esercizio, un momento scolastico senza scopo, non ha senso per l’alunno e non si capisce perché egli debba fare lo sforzo di imparare a scrivere. Direi che la prima cosa è predisporre situazioni comunicative molto diverse e poi creare le condizioni per riflettere su quello che è successo durante queste esperienze. Naturalmente non basta, questa è la prima tappa. Solo dopo l’insegnante può far riflettere sulle strategie utilizzate, su quello che funziona meglio rendendo consapevole quella che all’inizio è solo una pratica spontanea. Vale anche per la “scrittura creativa”: basta dare uno spunto e i ragazzi si dimostrano molto creativi perché hanno già assorbito tante strutture e tante tecniche narrative attraverso la lettura, i racconti oppure le storie. Il compito degli insegnanti è di renderli consapevoli delle tecniche che usano. Secondo me è molto più efficace partire da un testo libero che chiedere ai bambini di seguire un modello, perché dare una consegna molto rigida riduce la creatività dei bambini e soprattutto il senso di comunicazione dell’atto di scrittura.
Le tecniche vengono assorbite in un modo incredibile. Lavoro molto sul rapporto con la scrittura: quando faccio un laboratorio e inizio una collaborazione con una classe il primo passo è sapere qual è il rapporto dei bambini e dei ragazzi con la scrittura, qual è la loro storia personale e perché, in certi casi, hanno incontrato ostacoli che vanno ricostruiti e risolti. Per esempio, chiedo ai bambini di scrivere per dieci minuti a partire da frasi come questa: “Un giorno mio padre, mia madre, mio nonno, mia nonna, mio zio, una persona qualunque mi ha detto...”. Devono continuare il testo per dieci minuti e scrivere senza troppi pensieri. Dopo parliamo di cosa è successo, di come si sono sentiti in quel momento, parliamo del processo e del rapporto con la scrittura. Alla fine emergono tanti elementi per riflettere su come scrivono e, a partire da questo spunto, risulta che utilizzano strutture molto diverse. Per esempio, c’è un “catalogo di io”, ci sono naturalmente molti testi per cui posso pensare che io è davvero l’alunno che racconta un’esperienza personale. Una volta in un laboratorio in Svizzera c’era un ragazzo che ha fatto parlare un marziano e poi tra questi due estremi c’erano tante sfumature. Vuol dire che a partire da questi testi possiamo lavorare sulla nozione di narratore in prima persona.
Nei ragazzi s’incontra sempre un uso molto particolare del dialogo. Portano la loro esperienza e il mio compito di insegnante o di scrittore è di analizzarla con loro per carpire quello che già sanno senza averne consapevolezza. È incredibile! Anche quando lavoro con bambini di 6-7 anni mi rendo conto che molti elementi della narrazione sono già presenti e secondo me è meglio partire da quello che già c’è piuttosto che inserire aspetti nuovi perché forse, in quel momento, non tornerebbero utili.
Parto dall’esperienza dei bambini e poi arrivo ai testi scritti. Tempo fa, per esempio, ho fatto un piccolo laboratorio di poesia. Non mi ricordo quale fosse lo spunto che ho proposto, comunque uno spunto molto aperto. Un bambino ha scritto una poesia sonora solo con il gioco di suoni senza senso, senza testo; era un alunno di otto anni. Quindi posso far avvicinare questo bambino alla poesia contemporanea (a chi prima di lui ha provato una sperimentazione simile), posso farlo arrivare alla poesia per adulti perché riconoscerà subito quel tipo di testo, visto che ha provato a scriverlo anche lui.
A me piace lavorare in un modo che definirei cooperativo con il bambino. Faccio un esempio: molto spesso prendo una frase breve di un testo come nucleo per inventare una storia, la prendo da un testo letterario e poi i ragazzi, da soli o in gruppi, inventano una storia a partire da questo nucleo. La dinamica di base è semplice: creare una serie di domande: “Ma perché ci sono due personaggi? Quali sono questi personaggi? Qual è il loro rapporto, in quale ambiente dicono questa frase?”. Si può sviluppare una storia. Dopo leggiamo quella originale e troviamo sempre legami tematici. È straordinario, anche se il testo è stato scritto in un ambiente diverso, con una cultura diversa, ci sono sempre relazioni molto forti tra le storie inventate dai bambini con le loro esperienze e la storia scritta dallo scrittore perché in fondo abbiamo in comune l’esperienza umana. La più importante di tutte. In verità l’abbiamo tutti in comune ed è quello che ci permette di leggere un romanzo del Seicento, per esempio.
Dopo la scrittura e la lettura arriva il momento in cui possiamo riflettere e paragonare i testi, cercare quali sono gli elementi comuni tra le nostre storie e la storia originale, e naturalmente tutto quello che è diverso, anche nelle tecniche di scrittura. Penso sempre alla citazione di uno studioso di didattica della lettura e della letteratura canadese che dice: «Non è il lettore che deve essere interrogato sul testo è il lettore che deve interrogare il testo». E penso che sia giusto anche per la scrittura.
Dobbiamo aiutare i bambini a interrogare i propri testi, i testi che hanno scritto loro perché in verità non è il primo passo il più difficile; la rielaborazione di quello che è stato scritto è più complicata.
Perché far scrivere, o meglio, aiutare i bambini a scrivere un racconto non è così difficile. Dare tecniche per inventare una storia è già una cosa diversa, ma comunque la cosa più complessa – una volta che il testo è concluso – è dare gli strumenti giusti per analizzare quello che è stato scritto. In questo senso la didattica della lettura e della scrittura sono molto legate. L’una dipende dall’altra, deve sempre essere un’andata e un ritorno.
Diario personale (Jaipur, India, 2006-2011).
Tema di un bambino di quinta elementare di Macerata, 13 ottobre 1971.
*trascrizione di una conversazione avuta con lo scrittore Bernard Friot nel mese di marzo 2021.
*Quaderni Aperti è un progetto nato nel 2004 che promuove la raccolta di quaderni di scuola da tutto il mondo. Quaderni Aperti nasce con l’obiettivo di valorizzare i contenuti di un archivio partecipato di materiale scolastico in costante espansione attraverso lo sviluppo di progetti che promuovano la conoscenza dell’identità locale, stimolino il ruolo attivo dei cittadini (e in particolare delle nuove generazioni) nella produzione culturale e favoriscano l’integrazione tra diverse culture e generazioni.