Storie per una scuola felice

[di R. Tiziana Bruno]

La nostra scuola è felice?

È una domanda un po’ provocatoria, ma utile per accendere riflessioni sull’importanza di stare bene a scuola. Un aspetto, quello del benessere, di fondamentale importanza per l’apprendimento, come spiegano le neuroscienze. Eppure, mai abbastanza indagato.

Il mondo della produttività invade anche il campo dell'educazione, imponendo di apprendere molte cose in fretta. All'organizzazione scolastica è richiesto di adeguarsi: si prevede un susseguirsi di discipline affiancate da progetti vari, in una sorte di consumismo cognitivo, con un'attenzione spasmodica ai risultati immediati. Gli insegnanti avvertono una forte pressione, perché sanno di dover ottenere risultati brevi in tempi brevi, mentre i tempi naturali dell'apprendimento sono lenti. Alla luce di questi aspetti, diventa arduo immaginare una scuola felice. Si può cambiare rotta?

L’azione educativa implica soprattutto dare senso al desiderio. L’essere umano è desiderante per definizione, non smette mai di desiderare finché è in vita. Desidera cose, ma soprattutto desidera corrispondenze affettive, gesti che gli dicano che la piena realizzazione di sé è possibile, in armonia con quanto lo circonda. E se l’elemento desiderio è così fortemente connaturato all’esistenza umana, l’educazione non può prescindere da esso. Anche perché, quando il dovere di studiare è staccato dal desiderio, si traduce in un sacrificio infelice e inutile, e la scuola diventa un ambiente fatto solo di muri, registri e voti. A questo bisogna aggiungere che ogni apprendimento possiede anche una dimensione etica: le virtù della pazienza, dell’attenzione e della crescita relazionale. Sottovalutare o eliminare la dimensione etica comporterebbe una serie di rischi, fra cui l’omologazione del pensiero.

Ma come trasmettere i contenuti attivando, al contempo, il desiderio di conoscere e le abilità emotivo-relazionali indispensabili per vivere e progredire?

Uno strumento privilegiato che abbiamo a disposizione è senz’altro la lettura condivisa di storie. L’arte del racconto, confluita poi nella letteratura, è forse il più antico strumento per lo stimolo del progresso umano. E la funzione altamente formativa della lettura si evince dai risultati che genera quando viene praticata costantemente. Di questi risultati ho creduto fosse importante raccogliere testimonianza in un libro.

È nato così il saggio Fare scuola con le storie, patrocinato da ICWA – Associazione Italiana Scrittori per Lettori Giovani, che offre una panoramica dei piccoli-grandi passi compiuti dai docenti italiani nel difficile cammino verso una scuola felice.

Si tratta una ricerca condotta in tutte le regioni d’Italia, finalizzata a scoprire come le storie dei libri possano operare una rivoluzione nel mondo scolastico, negli istituti di ogni ordine e grado. Grazie ai libri, l’eterna magia del racconto può essere ripetuta e moltiplicata ovunque, divenendo uno strumento per insegnare le discipline in modo nuovo e più efficace, e per ispirare l’amore verso il mondo naturale, quel Giardino da cui tutti ci sentiamo esiliati e dove tutti aspiriamo a tornare.

Le 120 esperienze raccolte nel saggio costituiscono non soltanto una fotografia dell’impegno di docenti, dirigenti e genitori all’interno della scuola, ma anche uno strumento di riflessione sulle enormi potenzialità didattiche della letteratura giovanile.

I piccoli hanno grandi domande da porre. Le loro giovani menti chiedono di conoscere il mondo in profondità: Perché esiste il tempo? Perché siamo nati? Cos’è la felicità? Qual è il senso della morte?

Si tratta di quesiti filosofici, nel senso autentico del termine, ovvero domande che nascono dal bisogno di fare luce sulla complessa realtà che ci circonda.

Domande che riguardano soprattutto la dimensione ‘umana’ e, il più delle volte, non è possibile attingere alle nozioni strettamente scientifiche per trovare risposte. È necessario andare oltre, intrecciando le conoscenze umanistiche con quelle scientifiche e tecnologiche, in un percorso di ampio respiro, per accompagnare bambini e ragazzi nel difficile viaggio dentro la complessità del mondo. Il linguaggio della letteratura permette al nostro cervello di elaborare e comprendere esperienze e informazioni.

Conoscenze e competenze non servono a nulla se non si innestano nello sviluppo del senso di umanità, esigenza che è propria di ogni allievo, a qualunque età. La formazione non può essere intesa come un semplice potenziamento della “prestazione”, ovvero la preparazione a competere nella vita. In questo modo si rischia di crescere nel corpo, restando però infantili nel pensiero perché non si è mai esercitata la riflessione profonda.

Grazie alle storie dei libri possiamo invece creare un laboratorio di pensiero per indagare la complessità del mondo, da molteplici punti di vista. Possiamo discutere di guerra e del bisogno di pace, e sperimentare che i conflitti è possibile risolverli con garbo, non per forza con la clava o con l’atomica. Possiamo interrogarci sul significato dell’uguaglianza e sulle differenze sociali, nonché sui grandi temi che riguardano l’umanità. Possiamo fare arte e filosofia, ma anche scienza e logica.

Questo è quanto emerge dal mosaico di racconti dei docenti che hanno partecipato alla ricerca di Fare scuola con le storie. Dalla scuola dell’Infanzia fino alla Secondaria, gli insegnanti testimoniano in che modo è possibile integrare la didattica frontale, avviando un processo di rinnovamento della didattica, volto a migliorare il clima di classe e abbattere le diseguaglianze.

Le storie di educazione alla lettura contenute nel saggio sono tutte diverse tra loro, a riprova della creatività messa in campo dai docenti. E testimoniano che, nonostante la mole di problemi da cui spesso è schiacciata, la scuola italiana possiede ancora un cuore vivo e pulsante.

  

Impossibile elencarli in un articolo, ma i racconti dei docenti meritano di essere letti con attenzione uno per uno. C’è chi descrive nel dettaglio le reazioni dei bambini durante la lettura, chi approfondisce il rapporto parola-illustrazione, chi inventa attività efficaci e sorprendenti, chi racconta le proprie emozioni che incrociano quelle dei ragazzi.

Un tema che emerge spesso è quello della biblioteca, articolato in forme diverse, a riprova che non è qualcosa di statico, ma piuttosto un’idea collegata al movimento.

Il maestro Michele Longo, per esempio, descrive la costruzione della sua ‘bibliotechina’ di classe con dovizia di particolari, una descrizione che incrocia quella delle emozioni da lui provate insieme ai bambini. Perché tutto acquisti un senso profondamente ‘umano’, non puramente tecnico, e produca crescita e cambiamento.

E il cambiamento è un altro tema ricorrente nei racconti dei docenti, a sottolineare ancora una volta l’idea di movimento collegata alla lettura. Non a caso Giorgia Atzeni, docente di scuola Secondaria, intitola il suo racconto “La metamorfosi” e descrive un percorso in cui si serve della letteratura fiabesca per risvegliare nei ragazzi e nelle ragazze il fascino per l’ascolto. Anche il docente Paolo Romano, sempre alla Secondaria, è fortemente attratto dall’idea di cambiamento e racconta la meraviglia negli occhi dei suoi ragazzi, mentre da “Le Metamorfosi di Ovidio” legge a voce alta la scena in cui Fetonte va dal padre nella reggia del Sole e gli chiede di guidare il cocchio con cui combina un sacco di guai, bruciando alcune regioni della terra e ghiacciandone altre.

La fotografia che emerge dal saggio Fare scuola con le storie è entusiasmante e infonde speranza, ma è vero anche che servirebbe, per dare maggiore efficacia agli sforzi dei docenti, un impianto scientifico su cui innestare le singole iniziative. Partendo da una formazione, diffusa e capillare, bisognerebbe introdurre la lettura narrativa nella scuola come abitudine. Non come attività soggetta a valutazione numerico-quantitativa, ma piuttosto facendo attenzione che risulti un momento fisso della giornata o della settimana scolastica, anche in collaborazione con le famiglie. Gli ultimi due capitoli del libro contengono una proposta in tal senso, insieme al parere di studiosi e ricercatori. La speranza è che venga presa in considerazione da chi gestisce la scuola a livello nazionale.