Creare coscienza attraverso la scienza (e le api)

Dopo la presentazione di Api, sciami, alveari di Gioia Marchegiani (che potete leggere qui), alla quale si devono le splendide illustrazioni del libro, oggi a parlarne è Beti Piotto, agronoma ed esperta di biodiversità, che ha scritto i testi. Uscito a luglio, questo nuovo volume della collana PiNO, Piccoli Naturalisti Osservatori, dedicata alla divulgazione scientifica e al mondo della natura, è stato accolto con grande favore per  la chiarezza espositiva e il rigore dei contenuti di testi e immagini.

[di Beti Piotto]

Così come il minestrone non ci piaceva da piccoli, ma ora lo adoriamo, così da bambina non sopportavo il miele mentre ora lo trovo una delizia (quello di castagno poi…). Se da piccola vedevo le api come una minaccia, oggi sono stupita dalla loro organizzazione, unica nel mondo animale, e dalle loro capacità cognitive. Se malapena riuscivo a mandare giù il latte e miele, toccasana per il mal di gola, oggi mi affido ai prodotti dell’alveare per puro piacere o per risolvere alcuni problemi di salute. Il mio punto di vista nei confronti del mondo delle api mutò, infatti, quando scoprii che il veleno d’api mi sollevava (e mi solleva) dai dolori articolari.

Certi cambiamenti, anche quelli radicali, hanno bisogno di una spinta che indirizzi l’azione verso la strada giusta. Per Darwin, un vero monumento al dubbio - anche e soprattutto davanti al futuro matrimonio con una sua cugina -, la spinta (letterale!) arrivò dal padre che, veramente stanco delle indecisioni del figliolo nel campo degli studi da intraprendere, lo piazzò sul Beagle,  il brigantino che avrebbe compiuto un viaggio di esplorazione di cinque anni intorno al mondo. In questo viaggio Darwin finalmente scoprì cosa voleva fare da grande e noi gli siamo immensamente grati perché il suo lavoro rivoluzionario ha dato un senso alla biologia. Molto di più, però, ringraziamo l’energica spinta del padre.

Per Edward Wilson, invece, uno dei più grandi esperti della vita delle formiche nonché padre del concetto biodiversità, la spinta arrivò da un incidente. Da piccolo Wilson soffrì molto per il divorzio dei genitori, fatto che lo costrinse a vagare per numerose località degli Stati Uniti e a vivere un’infanzia in solitudine. Si distraeva pescando, ma un incidente con l’amo della sua canna da pesca gli danneggiò gravemente un occhio. Costretto a cambiare passatempo, si dedicò all’osservazione delle formiche diventando, col tempo, un’autorità indiscussa nel campo della mirmecologia.

Ora, senza volermi confrontare con questi giganti, la mia spinta al cambiamento è stata la scoperta dei benefici del veleno d’api che mi ha portato ad avere un atteggiamento molto positivo verso il mondo degli impollinatori e delle api in particolare. La mia gratitudine, quindi, si è manifestata attraverso lo studio di questo prodigioso insetto.

Torniamo al veleno. Le api producono una serie di sostanze complesse caratterizzate da spiccata attività biologica. Il veleno d’api, detto anche apitossina, è un liquido sintetizzato da una ghiandola presente nella cavità addominale delle api di sesso femminile. È la secrezione endogena delle operaie più anziane, prodotta appositamente per difendere l’alveare; anche la regina impiega il veleno per uccidere le rivali. I fuchi non producono veleno. Quando un’ape punge, l’apitossina diffonde un messaggio ferormonale di allarme che attiva la colonia nella difesa dell’alveare. Nel suo complesso l’apitossina, attraverso la melittina, sua componente attiva principale, è una sostanza antinfiammatoria, analgesica, vasomotoria e immunoattivante. 

Proprio per questo è principalmente impiegata in terapie per mitigare artrite e reumatismi, ma possiede altre notevoli potenzialità. L’impiego di veleno d’api per curare forme di artrosi risale a tempi molto lontani (Carlomagno, Ivan Il Terribile), ma lo studio sistematico inizia alla fine dell’Ottocento, soprattutto nei Paesi dell’Est, quando si scoprì che vi era un rapporto tra punture d’api e assenza di malattie reumatiche negli apicoltori. Nel 1974, ho fatto un corso d’apicoltura e il nostro professore di apicoltura sottolineava spesso questa correlazione. Allora, però, eravamo giovani e i dolori articolari non erano una preoccupazione, non sapevamo cosa fossero. I commenti del caro professor Katzenelson, quindi, sono finiti in un cassetto della memoria, rimasto ben chiuso fino all’arrivo di una lieve forma di artrosi che è stata rimossa con il veleno d’api. La mia gratitudine, quindi, si è manifestata attraverso lo studio di questo prodigioso insetto, del mondo degli impollinatori e delle api in particolare.

Da alcuni anni partecipo attivamente alle attività dell’Associazione Italiana Apiterapia e in questo ambito ho imparato molte cose. Sono impressionata dalla quantità di apicoltori presenti in Italia e mi diverto durante le manifestazioni che di solito si svolgono in località bellissime, dove si assaggiano tante delizie.

Così, insieme a Gioia Marchegiani, illustratrice eccelsa ed efficace di molte pubblicazioni, è venuta l’idea di un libro della collana PiNO che raccontasse attraverso immagini e testi rigorosi (quindi non attraverso una favoletta) il mondo organizzatissimo delle api, ancora in parte misterioso, dal quale, fra l’altro ci arriva un insegnamento fondamentale: tutto ciò che si fa, è finalizzato al benessere della comunità che nel caso delle api si chiama colonia (comprese azioni molto drastiche come l’allontanamento dei fuchi dopo l’assolvimento della loro funzione fecondante o la lotta tra regine).

Nel libro informazione e documentazione hanno come obiettivo anche quello di "creare coscienza attraverso la scienza", ovvero come autrici di divulgazione avvertiamo come inderogabile  il compito di spiegare l'importanza del servizio ecosistemico reso dall'impollinazione, servizio praticato da api, ma anche da numerosi impollinatori (soprattutto insetti), che consente la formazione di frutti e semi, sia in gran parte delle piante coltivate sia in moltissimi vegetali spontanei. Gli impollinatori vanno protetti perché sono l’ago della bilancia: quello che decide fra mangiare o non mangiare. Brutale, ma è così.