Fra peluche e cinismo

Della bella rivista bimestraleGli asini. Educazione eintervento sociale abbiamo già parlato qui. Allora, questo intrepidogiornale era al suo secondo numero. Nei giorni scorsi abbiamoricevuto dal direttore, Luigi Monti, la notizia dell'uscita delnumero di settembre, l'undicesimo. In quarta di copertina, parolelucidissime che non si possono non sottoscrivere. Sono tratte daun articolo dal titolo Fra peluchee cinismo, di Giuseppe Montesano,scrittore, insegnante e filosofo napoletano, di cui vi riportiamo,in accordo con Gli asini, che ringraziamo, un lungobrano:  vi consigliamo caldamente di leggerlo. Se sieteinteressati ad abbonarvi a Gli asini, andate qui. In fondo all'articolo, l'indicedi questo numero, con tutti i contributi presenti.

Da Frapeluche e cinismo di Giuseppe Montesano


Io sonoun privilegiato: insegnando al liceo la mia platea è diversa da quelladelle scuole medie, degli istituti tecnici e professionali. Piccolae media borghesia. È più facile lavorare. Ma la vera realtà dellescuole tra Napoli e Caserta è quella dell’obbligo: lì la catastrofeè già avvenuta, nel senso che tutte le tecniche pedagogiche nonhanno senso quando intorno non funziona niente e la scuola non haun ruolo centrale nella società, ma ne è soltanto un’appendice;quindi il suo malessere è solo sintomatico di un male più vastoed enfatizzare le responsabilità della scuola è una fissazione dapolitici, per scaricare le responsabilità. Bisognerebbe stare piùzitti, fare quel che si può fare nel piccolo, nel quotidiano, farcircolare idee, far leggere, far vedere cose, sia ai piccoli che aigrandi: i ragazzi sono avidi di sapere, di conoscere, però non lo sannofinché non lo vedono, non lo vivono, non sanno quello che desideranodavvero. L’adolescenza è un’età in cui si può ancora cambiare, èforse l’ultima possibilità, ma quando si vede quello che viene offertoa chi potrebbe cambiare, si capisce che il risultato non può che esseresconfortante.

Loro, i ragazzi,continuano beatamente e tristemente e in modo depresso a essere ignoranti,non sulle cose scolastiche soltanto ma sul mondo, e qui si apre laquestione se sia la scuola a dover fare la parte della società, sedebba sopperire alle sue mancanze, se debba raddrizzarne le storture:io sinceramente credo di no. La scuola deve dire per esempio chi èPlatone, non può non dirlo, e non solo perché sta scritto nel miseroprogramma ministeriale, ma perché è il suo unico compito, la sua unicachance, deve spiegare la geografia astronomica, i terremoti, i pianeti,le cose elementari e importanti della cultura. Però si tratta di unpunto di partenza, quando invece è considerato il punto di arrivo,diventando così una stupida gabbia, e non un grimaldello per aprire lagabbia. Questo non succede solo perché molti insegnanti sono pigri,ripetitivi, figli di questa società e quindi uguali agli alunni, maanche perché gli alunni adolescenti hanno sì una grande potenzialità,che gli insegnanti, adulti, in genere non hanno più, ma questa energiaspesso non sanno nemmeno di averla e non sanno che possono usarla persapere e capire il mondo: tutto gli insegna, dalla scuola alla famigliaalla società, che il mondo devono solo accettarlo senza capirlo. Poitra gli insegnanti ci sono i soliti “incomprensibili”, come lichiamo io, persone che spontaneamente hanno voglia di resistere, dimettersi in gioco, di usare la propria vita per fare qualcosa, perchéavvertono la sensazione di essere altrimenti dei vigliacchi. Credoche questo valga per tutti, non solo per studenti e insegnanti, e sequalsiasi persona che vive qua in Campania avvertisse profondamentequesto turbamento, si comporterebbe diversamente già con i figli a casa,con le altre persone: non va dimenticato che i ragazzi vengono educatiper strada, in discoteca, in mille altri modi, ma soprattutto a casa,in famiglia, dove per famiglia io però intendo una cosa malefica,che qui è ancora molto più forte di quanto si immagina: la famigliaallargata, l’ambiente. Non a caso i grandi gruppi criminali si chiamano“famiglie”, quella cosa che tende a risucchiarli nel già fatto, giàvisto, già vissuto, già pensato.


Isole aGomorra

Il familismo èossessivo, una specie di sistema, di meccanismo, fatto per riassorbirequalsiasi cosa metta in crisi questa catastrofe organizzata che va avantisulla base di un equilibrio folle, delirante se visto dall’esterno,ma normale per chi ci vive dentro; è una forma di normalizzazionedell’assurdo che tende anche ad “aiutare” perversamente le persone,purché non mettano in discussione questo modello culturale. Peresempio, la scuola in certe zone del casertano dice all’alunno dinon preoccuparsi, spiega che in cambio del fatto di non dare fastidiola vita sarà comoda, è semplicemente un meccanismo quotidiano dellasocietà che si è completamente impadronito di un’isola, perchéla scuola è un’isola, e dal mio punto di vista farebbe meglioa restare un’isola: visto che non possiamo avere la “scuola chevogliamo”, allora meglio isolata piuttosto che ingoiata da questo tipodi società locale e forse ormai globale.
È meglio l’isolamento da questa società dell’illegalitàlegalizzata che toglie ai ragazzi il respiro, gli toglie qualsiasi formadi diversità possibile; i grandi titoli dei giornali parlano sempredel folclore criminale, non parlano mai della cosa più interessante,cioè l’illegalità diventata legale sia tecnicamente, nella società,ma soprattutto nella testa delle persone.


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È una mutazioneprofonda e grave, che rende difficile ogni discorso, ogni ragionamento,perciò da queste parti diventa difficile arrivare al piano etico: edè per questo che da queste parti «etica» è una parola ipocrita,utilizzata da coloro che ne sono la negazione; una parola che piùviene detta, ripetuta, utilizzata dal gruppo familista – che vadal politico all’ultimo dei custodi di edifici pubblici – e menodiventa reale nei comportamenti, nei gesti, nella vita quotidiana dellepersone. Ma anche nella dimensione privata, nelle relazioni affettive trai ragazzi, con le famiglie, che spesso sono o disastrosamente assenti oiperaffettive in senso falso: “Faccio finta di darti tutto perché inrealtà non ti sto dando niente di essenziale”, oppure conflittuali inmaniera aperta, totale: “la giungla è fuori casa e io la porto anchedentro”, anche se questo è più raro.
Quello che una volta si chiamava proletariato osottoproletariato ha gli stessi comportamenti della borghesia caramellosae fasulla: comportamenti tipici di ceti sociali falsificati e falsi pernatura e storia, quelli della borghesia culturalmente intesa (“fattii fatti tuoi e arraffa quel che puoi tramite parenti e politici”)si spostano dentro la giungla dell’ex proletariato o “popolo”,il che non ammorbidisce la giungla, né la coltiva, né funziona dalenitivo, ma aumenta soltanto la scissione dentro le persone e tra lepersone. 

Andate, ma davvero, per esempio comeinsegnanti, a Scampia o al Parco Verde o al Villaggio Coppola: i ragazziniche nella criminalità ci vivono da sempre anche se non sono tecnicamente“criminali” sono completamente spaccati a metà, tra l’orsetto dipeluche comprato all’ipermercato e lo spaccio pomeridiano nei luoghidelle periferie coatte, tra bisogno di affetto morboso, infantile, conun’età mentale e affettiva di tre anni, e un’età reale, fisica, diquaranta, e quaranta vissuti nella totale alienazione da bello e bene. Unragazzino di tredici anni di certe scuole medie di Scampia oscilla traun bambino affettivamente disastrato e un adulto disastrato, per cui haun cinismo da adulto, il peggiore possibile, e nello stesso tempo unafragilità morbosa dal punto di vista affettivo: veramente un miscugliotragico.Il ragazzino che vorrebbe essere cullato e amato è lo stessoche dice al compagno “devi morire, ti uccido”, che utilizza la leggedel più forte, l’unica filosofia nuova che si sta spandendo dal basso,il che è terrificante, perché questa era la filosofia predatoria esemi-segreta delle classi alte del liberismo ideologico, mentre adessoè filosofia di massa. Di fronte a questo forse valgono sempre le stessecose, cioè le isole, le minoranze, i singoli, che però non devonorestare soli. “Là dove sarete in tre, io ci sarò”, recita un passodegli Apocrifi; non troppi, perché presto diventano massa, ma non unosolo, e nemmeno due, cioè la coppia: il Cristo avventuroso e taglientedegli Apocrifi sa che la coppia può diventare l’inizio di ogni trappolafamilista, l’origine di ogni egoismo cieco. Nello stesso tempo il Cristostraccione non chiede mai astratti e impossibili sacrifici, e dice diamare il prossimo “come se stessi”, non ipocritamente più di sestessi: chiede un lavoro psicologico su di sé, non chiede la menzognauntuosa e politica della religione. E qui, senzaalcuna coltivazione delle persone e dell’io, la violenza divenutafilosofia inconscia e incosciente (ma ormai attraverso il liberismoideologizzato e vincente anche apertamente propagandata) disgregale regole non per farne altre, ma per sopravvivere in mezzo allemacerie. Altrove forse la violenza è più attutita, ma le dinamiche ele mentalità sono identiche, da almeno trenta quarant’anni questoposto è diventato come tutti gli altri.