Indovina cosa?

Ultimissima novità: Che cos'è di Paolo Ventura, fotografo e artista. Un bellissimo cartonato che è anche il primo libro espressamente pensato dall'autore milanese per bambini molto piccoli.

[di Paolo Ventura]

Pensando all’origine di questo libro, mi vengono in mente due cose: il treno e il mio dentista.

Il treno. Da bambino, fino ai 16 anni circa, ho trascorso tutte le mie vacanze estive in un vecchio casolare sperduto sulle colline nei dintorni di Arezzo, ad Anghiari. Mio padre, che odiava la macchina, ci faceva prendere il treno. Io, i miei fratelli, mia madre, un’infinità di bagagli, il cane, insomma, una transumanza. Mio padre prenotava un intero scompartimento di quei treni vecchi e lenti, che allora si chiamavano “rapidi”. Mi ricordo il viaggio infinito, Fidenza, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Firenze, Prato e, finalmente, Arezzo. “Arezzo, stazione di Arezzo”, diceva la voce dell’altoparlante. Era l’annuncio dell’inizio delle vacanze! Questo viaggio lungo mezza Italia, però, era organizzato da mio padre con una serie di giochi (in questo era bravissimo).

Quello che più mi piaceva, e che noi fratelli facevamo per ore, lo chiamavamo “indovina cosa?”: si prendeva un foglio e ognuno di noi, a turno, disegnava una forma; gli altri dovevano indovinare e, se non lo capivano subito, si andava avanti a disegnare altri elementi fino a quando qualcuno non indovinava il soggetto. Mia madre disegnava sempre l’elefante (penso lo facesse apposta per tornare a leggere il suo giornale in pace). Io ero bravo con le forme, mio fratello Andrea era bravissimo con tutto e mio padre con i personaggi storici. Ricordo una volta in cui fece solo un farfallino e io dissi: Freud! Per un attimo calò il silenzio. La famiglia mi guardò con occhi diversi: avevo 12 anni e a scuola ero un disastro, ma quell’esaltante sensazione di esser visto come un piccolo genio durò fino a quando tutti gli occhi si girarono verso la copertina del giornale che stava leggendo mia madre, dove, ovviamente, c’era la faccia di Freud con il nome sotto.

Il dentista. Ho ereditato, penso, alcune cose buone da mio padre, ma anche i denti che si cariano spesso. Ho passato ore e ore dal dentista, per anni. Ho il terrore del dentista, la saletta d’attesa con il caldo soffocante d’inverno, la gente che bisbiglia, le riviste dei rappresentanti di protesi e dentifrici e i quadri più brutti che abbia mai visto. L’unico modo in cui riesco a difendermi da questo orrore è estraniarmi; apro la bocca, chiudo gli occhi e creo le mie immagini, così non sento più nulla, il rumore, l’odore di bruciaticcio... Ecco, così è nato questo libro! Penso che la noia, la paura, una certa, sottile angoscia siano per me la condizione ideale per creare.

Dal quaderno di idee di Paolo Ventura.