Le radici della nostra umanità

Pino Boero, Una storia tante storie. Guida all'opera di Gianni Rodari (Einaudi Ragazzi, 2010).

«È una gran pena dover parlare di Gianni Rodari al passato, dover avvicinare al suo nome due date: 1920-1980, per segnare un cammino compiuto e concluso. Certo, poche esistenze furono illuminate da un umore piú gaio e generoso e luminoso e costante della sua. Questo libro, che Rodari ha consegnato all’editore pochi giorni prima di lasciarci, non è un commiato, ma la conferma che il suo sorriso continuerà a farci compagnia». Con queste parole, in quarta di copertina, Italo Calvino presentò Il gioco dei quattro cantoni, pubblicato da Einaudi, appena dopo la scomparsa di Gianni Rodari.

Commenta Pino Boero in Una storia tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari: «La commozione non impedisce a Calvino di fornire alcune preziose indicazioni di lettura dell’opera rodariana, mettendo a fuoco l’estrosa leggerezza dell’invenzione, ma anche il gusto del dettaglio preciso e minuzioso. Calvino riconosce dunque in Rodari almeno due delle sue proposte per il prossimo millennio: leggerezza ed esattezza.»

Il 23 ottobre 2020 ricorrono i 100 anni dalla nascita di Gianni Rodari. Il 2020 è stato anche l’anniversario dei 40 anni dalla morte e dei 50 anni dalla attribuzione del Premio internazionale Andersen, considerato il Nobel per la letteratura infantile. Fra le diverse pubblicazioni uscite (in questo blog Costanza Buttinelli ha recensito lo studio su Rodari della storica Vanessa Roghi), il saggio di Pino Boero su Rodari è sicuramente fra quelle imprescindibili per chi voglia affrontare la complessità di questa figura di scrittore, poeta, giornalista, intellettuale.

Pino Boero, fra i maggiori studiosi e conoscitori di Gianni Rodari, è stato professore ordinario di Letteratura per l’infanzia e Pedagogia della lettura presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova, e dal 2018 è uno dei due Vicepresidenti della Fondazione Museo Arti e Industrie che ospita il Parco della fantasia Gianni Rodari. Il suo saggio, diviso in otto capitoli e corredato da accurati apparati critici, si configura come una guida puntuale e approfondita alla conoscenza del pensiero e delle opere di Rodari: dalle filastrocche, ai romanzi, dalle favole alle novelle, al teatro, ai saggi e agli articoli destinati a un pubblico adulto.

Notissimo e celebratissimo, Gianni Rodari è presente in scuole, biblioteche e librerie con titoli che hanno venduto centinaia di migliaia di copie in Italia e all’estero. La sua opera, oltre a cambiare il modo di scrivere per i bambini e i ragazzi, ha contribuito a rivoluzionare il modo di guardare all’infanzia e alla letteratura per l’infanzia. Tuttavia, come spesso accade a figure che acquisiscono una tale notorietà, il culto del personaggio ha rischiato, negli anni, di sostituirsi alla conoscenza dell’opera, favorendone usi superficiali. Una sorta di saccheggio maldestro che riduce un lavoro importante a formule stereotipate, slogan buoni per tutti gli usi, annullandone il carattere più autentico e rivoluzionario e cancellandone le ragioni di uno spessore fatto di genio, ma anche di ricerca, letture, capacità di interrogarsi, profondità di sguardo e letture, metodo, anticonformismo, competenze, umiltà e senso di responsabilità. Il merito maggiore dello studio di Pino Boero è, a nostro avviso, quello di portare l’incontro con Gianni Rodari all’altezza che gli compete, scongiurando il rischio di appiattirne la figura a una bidimensionalità che è anticamera a un consumo di bassa lega e nessuna importanza. Esattamente il contrario di quello per cui Rodari ha studiato e lavorato per tutta la vita: studio e lavoro, oggi, più che mai vivi e importanti per ampiezza e profondità.

Illustrazione di Bruno Munari per le sue Favole al telefono (Einaudi Ragazzi, 2007; 1a ed. Einaudi, 1962).

Il saggio di Boero, uscito nel 1992 per Einaudi, e nel 2010 per Einaudi ragazzi, torna oggi in libreria ampliato e aggiornato dal punto di vista critico e bibliografico. Larghissimo spazio – meritoriamente, considerata la scarsa attitudine al confronto con i testi originali che oggi impronta gli studi universitari – è dato ai testi stessi di Rodari – racconti, fiabe, filastrocche, articoli - dai più noti ai meno conosciuti, riportati con generosità e corredati da commenti e disamine che mettono disposizione del lettore riferimenti, ispirazioni, contesti, ragioni, creando così la possibilità di una comprensione tridimensionale e articolata. Grande attenzione è riservata alla formazione dell’intellettuale e dello scrittore, di cui è messa in luce la vastità degli interessi e delle letture, delle esperienze e delle curiosità, confluiti in quella capacità tipicamente rodariana di creare fra ambiti diversi cortocircuiti creativi, con assoluta libertà e nessun timore relativo a eventuali infrazioni nei confronti di discipline, accademie e saperi costituiti.

Illustrazione di Bruno Munari per Il Pianeta degli alberi di Natale (Einaudi Ragazzi, 2008; 1a ed. Einaudi, 1962).

Il saggio di Pino Boero si presenta come una necessaria lettura per coloro che desiderano avvicinare gli scritti e il pensiero di quella che è stata una delle figure più brillanti del secondo Novecento italiano, sebbene ancora non abbia ricevuto il posto che merita nella letteratura italiana, a causa dei noti pregiudizi nei confronti degli scrittori per ragazzi. Su questo aspetto riflette Boero: «Resta comunque il fatto che l’attenzione riservata a Rodari dalla critica letteraria “grande” non era stata cosí elevata quanto avrebbe meritato e riflettendo sul perché, Tullio De Mauro e Alberto Asor Rosa concordavano nel fornirci una risposta. Il primo, all’indomani della morte di Rodari, titolava su l’Unità “Perché fu tanto ignorato” e avanzava questa ipotesi: “Anche un silenzio può essere significativo. Il silenzio degli addetti ai lavori della nostra critica letteraria ufficiale è a modo suo eloquente. La nostra critica e storia letteraria [...] è tetramente monolingue. [...] Rodari era [invece] plurilingue perché a ogni pagina rimetteva in gioco le istituzioni linguistiche consolidate. Metteva in urto una parola con l’altra [...]”. Asor Rosa, dal canto suo, partendo dalla constatazione che la nostra cultura umanistica considerava quella per l’infanzia una letteratura di serie B con fini piú pedagogici che letterari, si allineava con De Mauro e sottolineava che il motivo principale risiedeva “in un certo sospetto verso quel carattere fantastico-provocatorio che [Rodari] ha sempre avuto, ma soprattutto da un certo momento in poi, quel suo stare costantemente fuori degli schemi dal punto di vista della ricerca formale ed espressiva, quel suo rifiuto di una modellizzazione concettuale rigida”. In definitiva, la sua emarginazione nasceva dalla sua difficile collocazione di scrittore all’interno degli “schemi storiografico-letterari” in uso per delineare la storia della letteratura del ’900.»

 Illustrazione di Beatrice Alemagna per A sbagliare le storie (Emme Edizioni, 2020).

Illustrazione di Gaia Stella per Bambini e bambole (Emme Edizioni, 2019).

Illustrazione di Simona Mulazzani per Favole al telefono (Einaudi Ragazzi, 2013).

A chiusura di questa segnalazione, vi proponiamo in lettura un brano dal capitolo sesto, L’altro Rodari: giornalista e operatore culturale. Ringraziamo il professor Boero e la casa editrice Einaudi Ragazzi per averci permesso la sua pubblicazione:

 

«Per quanto riguarda gli interventi critici sulla letteratura per l’infanzia, si potrà cominciare col proporre un testo, inserito fra le pagine de Il Giornale dei Genitori, da lui diretto dal 1968 al ’77; si tratta dei 9 Modi per insegnare ai ragazzi ad odiare la lettura:

  1. Presentare il libro come una alternativa alla Tv.

  2. Presentare il libro come una alternativa al fumetto.

  3. Dire ai bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di piú.
  4. Ritenere che i bambini abbiano troppe distrazioni.
  5. 
Dare la colpa ai bambini se non amano la lettura.
  6. 
Trasformare il libro in uno strumento di tortura.

  7. Rifiutarsi di leggere al bambino.

  8. Non offrire una scelta sufficiente.

  9. Ordinare di leggere.

I 9 Modi per insegnare ai ragazzi ad odiare la lettura appaiono esemplari non solo per chiarezza espositiva, ma anche perché toccano tutte quelle ben radicate convinzioni dello scrittore, che il lettore ritrova sia nella sua produzione critica che in quella creativa. Non bisogna mai demonizzare e cadere nel moralismo dei contrasti fra veicoli tradizionali di comunicazione per l’infanzia e mezzi moderni; sugli anatemi, sulle scomuniche si sono costruiti castelli di menzogne, la presunta morte del libro e la disaffezione alla lettura da parte delle nuove generazioni è stata attribuita nel tempo alla letteratura d’appendice o d’avventura alla Salgari, al fumetto, al cinema, alla televisione, al computer, al videogame, al cellulare, ai social network; abbiamo, insomma, assistito a processi sommari, tutti tesi a celare dietro obiettivi facili e appariscenti altri problemi piú consistenti, dal mancato rapporto fra genitori e figli all’utilizzazione della letteratura per l’infanzia a fini didattici e moralistici. Rodari, insomma, dà robusti colpi di piccone a un’idea di scuola che inevitabilmente finiva per condizionare anche la produzione letteraria per bambini; si capiscono cosí i suoi reiterati interventi a favore della fiaba, non solo di quella popolare della cui utilità pedagogica era tanto convinto da entrare in conflitto con le tesi dell’estrema sinistra che la volevano reazionaria e passatista, quanto della fiaba d’autore, sia quella anderseniana, cui si riconosceva debitore, che quella moderna alla Argilli. Si capisce cosí anche la ragione della sua Enciclopedia della favola, ma si capisce anche l’interesse per un autore, illustratore, cantastorie come Emanuele Luzzati, cui Rodari in uno dei suoi ultimi scritti riconosceva il dono del plurilinguismo: «Ogni volta ho cordialmente invidiato a Lele la naturalezza con cui adopera tanti linguaggi diversi: le parole, le immagini, il teatro, il cinema, la ceramica, i burattini [...] È come se uno non avesse una sola lingua madre, ma tre, quattro.»

Illustrazione di Emanuele Luzzati per Il libro dei perché (Editori Riuniti, 1984).

Partire dalla fiaba, utilizzandone tutte le possibilità, era uno dei fatti per lui pedagogicamente piú interessanti e la stessa Grammatica della fantasia – straordinaria summa della cultura rodariana – non ignora il problema, che anzi viene opportunamente inserito nel piú ampio contesto del rapporto adulto-bambino: «Prima di tutto la fiaba è per il bambino uno strumento ideale per trattenere con sé l’adulto. La madre è sempre tanto occupata, il padre appare e dispare secondo un ritmo misterioso, fonte di ricorrenti inquietudini. Di rado l’adulto ha tempo di giocare con il bambino come piacerebbe a lui, cioè con dedizione e partecipazione completa, senza distrarsi. Ma con la fiaba è diverso. Fin che essa dura, la mamma è lí, tutta per il bambino, presenza durevole e consolante, fornitrice di protezione e sicurezza [...] Mentre il fiume tranquillo della fiaba scorre tra i due, il bambino può finalmente godersi la madre a suo agio, osservare il suo viso in tutti i particolari, studiarne gli occhi, la bocca, la pelle... La voce della mamma non gli parla solo di Cappuccetto Rosso o di Pollicino; gli parla di se stessa [...] A che cosa gli serve ancora la fiaba? A costruirsi strutture mentali, a porre rapporti come “io, gli altri”, “io, le cose”, “le cose vere, le cose inventate”. Gli serve per prendere delle distanze nello spazio (“lontano, vicino”) e nel tempo (“una volta-adesso”, “prima-dopo”, “ieri-oggi-domani”). Il c’era una volta della fiaba non è diverso dal c’era una volta della storia, anche se la realtà della fiaba – come il bambino scopre prestissimo – è diversa dalla realtà in cui egli vive.»

L’interesse rodariano per la fiaba non è che la manifestazione piú evidente dell’attenzione dello scrittore verso l’universo delle comunicazioni dirette – nell’età contemporanea – all’infanzia; concludendo la bellissima relazione al convegno collodiano, ad esempio – nonostante Franco Cambi noti che «a Rodari sfuggono, di Collodi, molte cose: la sottile fantasia metaculturale, la radicale ambiguità del messaggio, gli aspetti di critica istituzionale anarchica [,] la componente utopica [,] la complessa struttura semantica» –, egli indica con grande semplicità, ma con altrettanta efficacia le ragioni dell’attualità di Pinocchio:

Ricordo ancora la voce della mia maestra delle elementari che ci leggeva Pinocchio, alla fine della mattinata come premio, se eravamo stati buoni. Era un’ora molto bella. La maestra leggeva bene, eravamo disponibili e distesi, di voti buoni o cattivi non c’era piú rischio. Era un bel modo di stare insieme.

Conosco maestri d’oggi che leggono invece Pinocchio non alla fine, ma all’inizio della mattinata, non come un momento di riposo, ma, al contrario, per mettere in movimento le energie della mente e della fantasia, per ridestare, se volete, lo spirito, dopo il riposo notturno, come la sveglia o la mamma hanno destato il corpo. Questo mi sembra il modo migliore. Terminata la lettura, quei maestri dicono: «E ora sotto con le cose serie. Problema...» La cosa piú seria era proprio quella lettura, dopo la quale le energie ridestate si mettono in movimento, in ogni direzione. Prima nella parola. Si commenta, si discute. Nella discussione può darsi che un argomento emerga tra gli altri, nasca un problema reale su cui indagare. Pinocchio sbalordirebbe di un fatto simile: eccolo diventato, nientemeno, maestro, animatore di attività, suggeritore di un lavoro interessante... eccolo anche dimenticato, ma come si può dimenticare un momento della crescita, conservando la ricchezza conquistata. Il libro come momento della vita infantile, della vita reale, non di quella vita per finta cui spesso si riduce la scuola. È la sola strada per la quale egli possa farsi amare. Altrimenti – mai non sia – anche Pinocchio, istituzionalizzato, finirebbe per diventare uno di quei libri che gli adulti impongono ai bambini, perché fa parte del loro sistema di valori. Sarebbe un brutto giorno quello in cui i bambini rifiutassero Pinocchio, come certi studenti piú sventati che rivoluzionari rifiutano Dante o Ariosto. Pinocchio ha ancora molte cose da dire, come dimostra questo stesso convegno. Vorrei che potesse continuare a dirle soprattutto ai bambini per i quali è nato, per rallegrare e arricchire la loro vita.

Illustrazione di Francesca Ghermandi per Le avventure di Cipollino (Editori Riuniti, 2000).

È una conclusione aperta che favorisce la rilettura di altre sue considerazioni dedicate alla letteratura contemporanea per l’infanzia:

[...] penso che sia necessaria, oggi, una sintesi teorica nuova, che tenga conto di tutti i fenomeni nuovi e del ritmo dei mutamenti determinati principalmente dai nuovi mezzi di comunicazione. I classici manuali di letteratura infantile ci servono sempre meno. Le teorie che muovono da altre teorie, i libri che nascono da altri libri, ci servono sempre meno; abbiamo bisogno di riflessioni fresche, sui fatti, sulle cose, fuori degli schemi culturali tradizionali che la realtà ha fatto invecchiare,

ma consente di ribadire la sua fiducia nella civiltà delle parole anche sotto forma di poesia:

[...] anche questa poesia esile esile ha aiutato i bambini a sentire, se non ancora a capire chiaramente, che il loro ruolo nel mondo non dev’essere quello di chi accetta la realtà bell’e fatta, di chi deve solo eseguire, consumare e obbedire, ma è un ruolo di produttori, di creatori, di trasformatori del mondo. Non importa se usciti da scuola non faranno piú poesie: certo, è piú facile che conservino il bisogno di poesia; in ogni caso la poesia sarà stata per loro un esercizio di libertà, un’educazione alla libertà i cui frutti dureranno a lungo

e di prolungare lo sguardo fino alla nascita del libro, «arma essenziale» del pensiero moderno:

Che cosa possiamo trovare nei libri che valga la pena di esser cercato, che non possa esser trovato altrove, e che, se mancasse, renderebbe piú povero un mondo senza libri? Innanzitutto, io credo, il nostro stesso passato, cioè il nostro spessore, le radici della nostra umanità.

Illustrazione di Valerio Vidali per l'edizione statunitense di Favole al telefono: Telephone Tales (Enchanted Lion, 2019).